di Pasquale Scarpati
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Questi appunti di Pasquale non sono fuoritempo; cioè… se lo sono è solo colpa della Redazione che ha temporeggiato. Lui li aveva inviati prima di Natale! Però poi ha inviato anche tante altre cose che per un motivo o per l’altro hanno avuto la precedenza.
Ma siamo ancora in tempo per gustare i suoi ricordi “proustiani” (l’affermazione è mia e me ne assumo le responsabilità).
Nella corrispondenza che abbiamo in corso mi ha detto che questi scritti gli sono stati innescati da scambi avuti con Luigi Dies (non il parroco e neanche in sogno, ma con il nipote).
Sandrorusso
Panorama dei Conti con lo sfondo del porto. In primo piano il tetto della casa di mia nonna
Le zeppole
A Sant’Antonio Abate (1) s’accid’u puorc’ (si ammazza il maiale). È un po’ un controsenso se ci si pensa: vallo a spiegare al maiale!
E’ una festa a tutti gli effetti. Viene dopo la vendemmia e dopo Natale.
A Natale si friggono le zeppole. Son belle, croccanti. Con o senza zucchero. Ben cresciute. Con quelle punte sporgenti, anche se la forma è irregolare, sembrano mine antinave. Le prendo calde calde per una di quelle punte. Affondo i denti nella pasta e… crac! un boccone che subito sparisce.
Nonna si è alzata alle tre del mattino, ha messo la solita scialletta grigia sulle spalle, ha annodato le cordicelle d’u mandasine (il grembiule), ha sistemato velocemente i capelli, ha lavato il viso nel catino con l’acqua limpida (ma fredda) ed ha scoperchiato il recipiente, ’a scafaréa su cui avevo riposto un panno pesante.
La massa si è alzata bianca, gonfia, pronta per essere divisa e cucinata. Velocemente ne prende un pezzo, lo stacca mentre “ fila” perché non vuole separarsi dalla sua massa e immediatamente lo mette nell’olio bollente. Il pezzo prima affonda e poi risale in superficie con una corona di mille bollicine che allegramente lo circondano e… viva la libertà, assume la forma che vuole; a volte anche un po’ “strana” che subito viene notata e suscita risate.
Quelle risate gravide di gusto! Perché l’atmosfera è pregna di cose semplici ed è pacata, tranquilla.
Lei, la palletta dalla forma strana, quando diviene dorata, dice: Prendimi, son pronta! Viene sollevata dalla schiumarola e fatta sgocciolare fino all’ultima goccia di olio. Poi viene riposta su un pezzo di carta paglia, gialla, molto spessa per smaltire l’olio in eccesso.
Poi nonna tenta di riporla in una capiente zuppiera. Dico tenta perché qualcuna, quella che più mi stuzzica, nel transito, viene afferrata da mani voluttuose e portata, ancora bollente, alla bocca.
Pieno di sonno mi sono alzato ed ho seguito la luce gialla, calda e tenue che proviene dalla cucina. Penso sia quella del lume a petrolio (’a luce, l’energia elettrica non arrivava ancora ai Conti). Lo vedo spento, invece. Sta poggiato su un piccolo tavolino (oggi si usa dire così) che io ho chiamato ‘il tavolino dei litigi’. Intorno a lui, infatti, più di due persone non ci possono sedere.
Durante il pranzo a noi bambini piace utilizzarlo per una sorta di privacy. Ci sentiamo più raccolti, più liberi, lontano dalle chiacchiere degli adulti che a noi non interessano per niente.
Però quando a casa di nonna stiamo in tre, Giuseppe e Mario e io, si finisce col litigare. Giuseppe e io in genere ci coalizziamo ma ciò non piace agli adulti che intervengono energicamente, con decisione ed il più delle volte ci costringono a rinunciare al tavolino ed a sederci insieme a loro. Ecco ciò che succede quando si litiga senza giungere ad alcun compromesso: si usa la forza! Con la conseguenza che a soccombere sono sempre i più deboli, nel mio caso i più piccoli!
Quel chiarore non era il lume, ma era dovuto al fuoco che arde nel forno.
Nonna dice: – Aspetta che ci metto lo zucchero.
– Ma qua’ zucchere!? – Quelle servono per la colazione quando si fa giorno! Ma oramai si sono raffreddate e hanno perso buona parte di quella croccantezza! Sono buone lo stesso!
Anche zio Aniello è sceso dal mezzanino (soppalco) e ride di gusto vedendo che la palleggio da una mano all’altra e soffio su di essa come toro infuriato. Ma quella è tenace e non ne vuol sapere di raffreddarsi per intero. La mordo lo stesso, ma in bocca la passo da una parte all’altra e rischio di screpolarmi il palato. Non me ne curo… E’ troppo buona ed è, per l’ora, una colazione un po’ particolare.
Assaporo il tepore della cucina anche perché il fuoco nel forno è vivo come fiamma e come suono. Scoppietta, infatti, e a me piace alimentarlo per guardare le lingue che si alzano prima in ordine sparso e poi convergenti tutte in un’unica direzione.
Nonna dice: – Vavatténne ’u liétt’ ca fa fridde! – Ma a me piace quell’atmosfera. Sto in pigiama ed ho indossato anche una vecchia giacca che forse era appartenuta a nonno Rafèle. Non ho freddo. In quei pochi oggetti della vecchia cucina messi in ordine ma sparsi, appesi sulle pareti e in quegli odori misti tra muffa e spezie – ah, l’odore particolare dell’origano ponzese! – provo quella sensazione di benessere che fa star bene con se stessi e con gli altri.
Nulla è più buono dell’odore buono del focolare! Non è evento di tutti i giorni. Penso: – Il letto! Anzi il lettone, che cos’è?
È un letto enorme, alto. In tanti cugini ne fruiamo, specialmente durante la vendemmia: a capo e a piedi. Ovviamente non mancano i càuci e gli scherzi. Insomma ogni pretesto è buono per far confusione con il conseguente intervento degli adulti. Anche in quell’occasione l’atmosfera si riscalda e si prova la bella sensazione di appartenere ad una famiglia, ad una comunità.
Nonna non lo usa più da quando è morto nonno Rafèle. Lei dorme in un lettino nella stanza adiacente. Oramai ’a cecagna (la sonnolenza) m’è passata.
Cardogna, il volpino, vuole le coccole che puntualmente arrivano. Sta in braccio un pochino, scodinzola. Gli gratto la testa. Ha il pelo corto ed ispido. Lui alza il musetto, se non lo accarezzo. Dopo un po’ scende e se ne va. Esce da un buco fatto apposta per lui nella zanzariera. Forse deve fare qualche bisogno. Dopo un po’ ritorna, felice, starnutendo e mi si piazza di nuovo ’n’zin’ (in grembo) se sono seduto.
Indaffarati, giunge il livido chiarore dell’alba. Tardi ma arriva e rischiara il cielo là verso oriente con la pallida luna ed una stella che luccica che sembra sospesa nel cielo. Lo spicchio di mare è liscio come l’olio ed il cielo è terso. Dopo un po’ si tinge di rosa pallido. Mi piace.
Sto per uscire quando nonna mi porge un cappotto che mi copre totalmente. Zio Aniello scoppia a ridere di gusto e dice: – Pare ’nu prèvt’.
Per tutta risposta, mi volto verso di lui ed accenno ad una benedizione sui generis come ho visto fare tante volte a ’u parricchiane. Ridiamo insieme e Cardogna abbaia, contento.
Sto appoggiato al muretto della curteglia e ammiro… a destra i vigneti del Ciglio e del Pagliaro prendono forma, mentre a sinistra le case multicolori rimangono ancora nell’ombra con i loro archi e le loro curteglie. Le finestre sono chiuse ed anche gli sportelli dei vetri, ma già lungo la strada qualche asino arranca e un cane fa sentire la sua voce a cui rispondono altri suoi simili. È un coro di latrati: anche loro hanno voci diverse. Tace il gallo, forse impaurito e neppure la gallina fa coccodè perché non è il tempo delle uova.
Nonna insiste affinché rientri. Il freddo comincia a incunearsi anche attraverso ’a tonaca, il cappottone o forse il tepore è svanito.
Rientro, ma oramai il forno e la cucina (a carbone e a legna) sono spenti e danno un senso di malinconia mentre, con il freddo, gli oggetti appesi o quelli riposti assumono un’altra dimensione ed un altro aspetto. Sono freddi anche loro. Le pareti anche se spesse ed il tetto che pure è a cupola non riescono ad addomesticare il freddo che piano piano si insinua. Ma di ritornare a letto non se ne parla.
Mi sto godendo l’atmosfera di Natale e soprattutto la casa di nonna. Lei, che non sa stare con le mani in mano, appicci’u rasiér’ (braciere).
Quatte pennecill’ (sarmenti secchi di vite), un pezzo di carta, ’nu micciariéll’, e via di nuovo… le lingue di fuoco che questa volta, sull’aia prendono direzioni diverse. Intendono scappare per ogni dove. Ma nonna le raduna sventolando con energia un pezzo di cartone o un ventaglio che tiene lì a portata di mano. Questo ha un manico di legno e sta appeso ad un chiodo. E’ un elememto fondamentale in cucina: dà l’abbrivio ad ogni cosa. Si sventola sotto lo sportellino della cucina dove viene riposta la legna o il carbone oppure per accendere ’u rasiér specialmente durante le giornate umide quando il fuoco stenta, non ne vuol sapere di alzarsi anche lui pigro ed indolente o forse, come gli uomini, ama dormire e poltrire. Nonna soffia e borbotta, dice: – ’Sta craunèlla è chiena d’acqua!
Si vede che era una partita scadente oppure qualcuno per farlo pesare di più ci ha aggiunto una bella dose di acqua fresca!
Ma alla fine la fiamma deve arrendersi, non deve poltrire, deve fare il suo dovere: riscaldare il corpo ed il cuore. Però come compenso vuole che la si guardi spesso e si sia costantemente vicino a lei, magari allungando le mani intirizzite.
Non si può, infatti, distogliere lo sguardo da lei che è viva né ci si può tanto allontanare. Soprattutto se su di esso, soprattutto nel pomeriggio, si mettono ad abbrustolire quattro scorze di arancio o mandarino per profumare la casa e quattro fave secche che sono le noccioline del tempo.
Poi, dopo che ha terminato di rassettare la cucina e dopo avere riposto la capiente padella di rame: – Vuoi duie turtaniéll’? – mi chiede.
In verità non li gradisco. Non sono croccanti come le zeppole ma piuttosto gommosi. Non sanno di niente se non fosse per il vino cotto che ha il sapore tra il dolce e l’aspro. Non le rispondo per non farle dispiacere perché so che ci tiene ad offrire tutto ciò che possiede.
Nota (a cura della redazione)
(1) – Sant‘Antonio abate è considerato il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.
[D’inverno (1). Le zeppole – Continua]
Seguiranno altri due camei di Pasquale:
– ’A via vecchia e
– ’U puòrc’