Ambiente e Natura

First cow. “Gli uccelli il nido, il ragno la tela, gli uomini l’amicizia”

di Sandro Russo

 .

Mi ha chiesto una persona con cui sono in corrispondenza – non un amico del giro stretto che avrebbe già saputo la risposta – che quando legge le mie (chiamiamole) recensioni si aspetta sempre – anzi già sa – che parlerò di un “film bellissimo, da vedere assolutamente”. Possibile che siano tutti così eccezionali?
Così ho dovuto spiegare di nuovo come e perché molti anni fa avevo fatto un accordo con i miei vecchi maestri della Scuola di Scrittura Omero – Paolo Restuccia e Enrico Valenzi, grazie! …ovunque voi siate! – che avrei scritto di cinema (come mi chiedevano, oltre che di piante e di viaggi), ma soltanto di film che mi erano piaciuti.
Ho troppo rispetto (ammirazione/soggezione) del lavoro che sta dietro e intorno al film, delle persone che sono state a pensarci su, che hanno perso il sonno e la pace per ogni scena, per ogni soluzione trovata. E comunque, a parte la soggettività del giudizio e i limiti di comprensione, non mi sarei sentito di esprimere giudizi negativi. Preferivo perciò parlare solo dei film che mi erano più piaciuti. E ancora mi attengo a questo criterio.
Perciò scrivo di First cow – La prima vacca, di Kelly Reichardt (1), 2019, passato velocemente nelle sale, ma rintracciato successivamente su Mubi.
Film importante. Presentato in anteprima mondiale al Telluride Film Festival nel 2019 e in concorso alla Berlinale nel 2020, First Cow ha vinto il premio come Miglior Film al New York Film Critics Awards 2020, e ora arriva finalmente in Italia in esclusiva su Mubi, piattaforma digitale del cinema d’essai e indipendente.

Gli uccelli il nido, il ragno la tela, gli uomini l’amicizia
(William Blake)

Abbiamo imparato – ci hanno insegnato – che analogamente all’incipit di un libro, così le prime scene di un film o il modo in cui sono presentati i titoli di testa, danno delle indicazioni molto importanti, spesso anticipatrici dell’intera opera.
La frase di William Blake posta a epigrafe del film che abbiamo visto l’altra sera – come da segnalazione trans-nazionale di Nazzareno Tomassini, grazie, Naz! – è una bella sintesi del film.
Sarà un film sull’amicizia. Bene. Ma è anche un film sulla frontiera, sulle origini del sogno americano e i suoi ‘peccati originali’. Anche un film sul passare del tempo, con un occhio ‘speciale’ alla natura, per come è fotografata.

Per prima cosa sfrondiamo il campo agli equivoci. La vacca è proprio una vacca-mucca da latte, senza nessun intento metaforico, ma si chiama Evie, per una analogia almeno ironica con Eva. Ed è appunto la prima vacca fatta arrivare per un capriccio – il Governatore, inglese, gradisce del latte, nel thè delle diciassette – in una regione fredda dove vacche non ne sono mai viste.
Siamo in Oregon nel 1820 (2). Il film narra la storia di due pionieri, un cuoco ed un cinese. Il primo si chiama Otis Figowitz ma lo chiamano Cookie; il secondo si chiama King Lu ed è un americano-cinese di seconda o terza generazione, con spiccato spirito imprenditoriale. Cookie ha salvato la vita al cinese in un momento di bisogno. Si incontrano anni dopo in un villaggio di frontiera.
I due, consolidata la loro amicizia e decisi a mettersi in affari – specie il cinese, che intravede la possibilità di mettere a profitto le abilità di cuoco e pasticciere dell’altro -, nottetempo, vanno a mungere la mucca del Governatore e cominciano a produrre dolci e crispelle, cercando di fare soldi per realizzare i loro progetti. Ma non andrà tutto liscio.

Orion Lee e John Magaro, gli attori del film

Il film comincia lungo un fiume, su cui naviga una nave mercantile, ai giorni nostri.
Nel sottobosco lungo la riva una ragazza con il suo cane stanno cercando funghi. Improvvisamente il cane comincia a scavare e scopre delle ossa; la ragazza continua l’opera e mette allo scoperto due scheletri vicini.
Stacco sul fiume: lungo di esso transita ora una chiatta d’altri tempi. Nello stesso posto un uomo barbuto sta cercando anche lui funghi… Siamo tornati indietro nel tempo di 200 anni! (3).

 

YouTube player


Siamo “alla frontiera”, in un luogo ai margini della civiltà… sempre dalle parti del cinema western (4), ma il punto di vista è del tutto diverso. Forse per la mano femminile alla regia, la vita dell’avamposto, per quanto rude e difficile, è resa in modo tenero e delicato.
In una capanna di assi di legno, appena fuori dall’abitato, i due protagonisti creano un ambiente domestico accogliente, tagliando legna per il fuoco e mettendo fiori sulla mensola; e il rispetto profondo di Cookie verso il mondo naturale, dalle tenere chiacchiere con la mucca durante la mungitura, agli animaletti nel bosco da rigirare sulle loro zampe.

Non più gli spazi sterminati che hanno contribuito alla fortuna del genere western, ma una prospettiva più ristretta; un’attenzione ai piccoli gesti, ai volti; niente epopea dell’eroe ma la difficoltà del vivere quotidiano, il clima freddo, il lavoro prevalente del commercio di pelli (di castori… che non finiranno mai).

Ci sono tutti i temi portanti dell’America, quelli che costituiranno le fondamenta del “mito americano”: la libertà, l’intraprendenza, la natura generosa, il sogno di un futuro migliore, la capacità premiata, perfino la figura dell’inglese odioso; e insieme la violenza, la sopraffazione. Il tutto filtrato come dalla speranza che avrebbe potuto andare diversamente. La fine della storia si incarica di distruggere l’illusione nel tempo/spazio del film.
Tutto è sfrondato di retorica e di eroismo. La regista Kelly Reichardt e lo sceneggiatore Raymond scelgono un approccio intimo, facendo emergere il lato umano di personaggi che si rapportano alle altre persone, alla natura, agli animali, in un continuo – più sguardi che parole -, eppur eloquente dialogo. Uno scambio lontano dalle logiche del capitalismo (tanto meno dell’attuale neoliberismo), perché costruito sul valore fondamentale della solidarietà reciproca.

First Cow è un film lieve, tenero e toccante, che agisce sotto pelle e punta tutto sulla forza delle immagini. È in qualche modo cinema di resistenza, nella maniera in cui rifugge ogni facile soluzione narrativa, lavora sulla dimensione temporale e punta tutto sull’essenzialità di una riflessione sociopolitica che agisce su più livelli e colpisce duro a visione conclusa.
Si tratta di una riflessione che ho visto emergere anche in altre “narrazioni del margine”, nei film precedenti di Reichardt e in quelli di Chloé Zhao, in particolare in Nomadland, l’altro grande western (seppur contemporaneo) della stagione cinematografica (Cristina Resa in https://it.ign.com/).
“È veramente notevole come un’opera così teorica, costruita su un equilibrio sottilissimo tra tecnica e arte, non risulti assolutamente fredda ma, al contrario, riesca a coinvolgere tanto a livello emotivo. Naturalmente, come altri film di Reichardt, First Cow non è adatto a qualunque tipo di pubblico. È necessario prendersi il proprio tempo, immergersi nell’atmosfera ovattata e farsi trasportare” (sempre Cristina Resa, che condivido completamente).

Note

(1)First Cow (2019) è tratto da The Half-Life, romanzo di Jonathan Raymond giocato su due piani temporali. Co-sceneggiatore di First Cow insieme a Kelly Reichardt, Jonathan ha collaborato con la regista anche in Old Joy (2006), Wendy and Lucy (2008), Meek’s Cutoff (2010) e Night Moves (2013). Altri film della regista: River of Grass (1994); Ode (1999) mediometraggio; Certain Women (2016). Così abbiamo la filmografia completa: otto opere

(2) – All’epoca in cui si svolge il film l’Oregon era sotto il protettorato inglese: nel 1843 si costituì un governo autonomo nell’Oregon Country, e il Territorio dell’Oregon fu creato nel 1848; l’Oregon divenne il 33º stato degli USA il 14 febbraio 1859.
Il nome deriva dal francese ouragan (uragano), nome dato dai cacciatori di pellicce francesi al fiume Columbia a causa della rapidità delle sue acque

Il fiume Columbia (Columbia River) è un corso d’acqua che scorre dal Canada agli Stati Uniti attraversando gli stati di Washington e dell’Oregon, prima di sfociare nell’oceano Pacifico nei pressi di Astoria.


(3) – Scatta a questo punto l’idea di uno spin off possibile. Nel giro del cinema e delle serie televisive si parla molto di spin off  (letteralmente “ruotato via”, “al di fuori”), con riferimento ad un elemento che si diparte da un corpo principale. È un’opera derivata, sviluppata da un’opera primaria, tipicamente una serie televisiva, un film, un fumetto o un videogioco, che mantiene l’ambientazione dell’opera originaria ma narra storie parallele focalizzando l’attenzione su personaggi diversi, spesso secondari nell’opera di riferimento (Wikipedia).
E allora… Non sarebbe intrigante mettere insieme i (tanti) modi con cui il cinema visivamente ha dato l’idea dello scorrere del tempo. Nella scrittura è facile enunciare: “Tot anni prima…/dopo…”, ma il cinema ha sue proprie modalità espressive che a volte si esprimono con modalità geniali. Lancio l’idea, ma è un lavoro impegnativo

(4) – Il film offre un interessante spunto per considerare cosa il genere Western ha rappresentato per il Cinema. Da mito fondativo dell’immaginario americano…  Poverini non ne hanno avuti altri sottomano… né Dei o Eroi, né la Guerra di Troia, né Romolo e Remo e di quello si son dovuti accontentare. Dai film della Frontiera di John Ford e Howard Hawks, fino alla de-mitizzazione degli stereotipi, passando per la riabilitazione antropologica degli indiani (agli inizi erano “i cattivi ” per eccellenza): Soldato Blu (Soldier Blue, Ralph Nelson; 1970), Un Uomo chiamato cavallo (A Man Called Horse, Elliot Silverstein; 1970) Balla coi lupi. (Dances with Wolves, diretto e interpretato da Kevin Costner; 1990); fino  alle aperte irrisioni: Gli Spietati (Unforgiven, del 1992, prodotto, diretto e interpretato da Clint Eastwood…  proprio Clint Eastwood, chi l’avrebbe detto!) e I fratelli Sisters (The Sisters Brothers, di Jacques Audiard; del 2018)… Carrellata necessariamente manchevole, giusto per dare un’idea scegliendo tra mille titoli)

***

Appendice del 29 gennaio a uno scambio di commenti con Annalisa Gaudenzi (cfr. commento di Sandro Russo)

Idillio, di Guy de Maupassant

 

7 Comments

7 Comments

  1. Nazzareno Tomassini

    28 Gennaio 2022 at 21:55

    Grazie Sandro, per la citazione. Su questo film avremmo potuto scriverci un libro. Per me è come se avessi visto un film su com’era Roma prima dei Romani. Per noi che, come diceva un mio amico, siamo cresciuti a pane e cow-boy, è stata una vera sorpresa, quasi da non credere. Soprattutto ora che giudico terribili i film western di una volta, dove anche l’eroe buono alla fine era un cattivo pure lui, perché ammazzava a pistolettate i cattivi ufficiali (e non è un caso se ancora oggi gli americani che tengono un revolver in casa sono un’infinità).
    Ma forse è un film illusorio, come se volesse dirci: guardate com’era bello prima… ma non era vero.
    Concludo ridendoci su: ma che cretino quel padrone inglese che fa ammazzare i due “ladri”. Avrebbe invece potuto sfruttare la loro capacità e aprire una bella pasticceria. Che è comunque quello che hanno fatto gli USA dopo… the last cow.
    Un saluto
    Naz

  2. Annalisa Gaudenzi

    29 Gennaio 2022 at 09:36

    Grazie mille Sandro! Per mie ragioni personali, non potrò perderlo… poi sono curiosissima: come faceva a continuare a produrre latte la vacca, se non aveva il toro che provvedeva ad ingravidarla sistematicamente? Ma la fantasia è anche questo (anzi, forse considerato il tema, si potrebbe dire l’estro)

    • Sandro Russo

      29 Gennaio 2022 at 10:37

      Per le “ragioni personali” posso fare la spia ai lettori? Psss psss… Leggete qui!
      Nel film viene detto che le vacche erano due e in più c’era anche un vitello per la proiezione futura; ma al viaggio aveva resistito solo Evie.
      Per l’altro aspetto non sono un esperto, ma credo che per le mucche da latte basti la mungitura continuativa (con relativo stimolo ormonale della prolattina – PRL, innescato dalla mungitura o dalla suzione) per mantenere la produzione di latte. Anche per le balie professioniste funzionava così, in altri tempi

  3. Sandro Russo

    29 Gennaio 2022 at 17:50

    Partendo da lontano, siamo arrivati a parlare di latte… e di balie.
    Poi Annalisa Gaudenzi vive a Parigi…
    È bastato questo per far scattare l’associazione!
    Il racconto è nella mia antologia di tutti i racconti di Maupassant, ma è stato più rapido andarlo a cercare in rete, e prepararlo come documento di Word. Lo allego all’articolo di base.
    E’ una perla, tra le molte della collana dei racconti dello scrittore francese. Di sole tre pagine

  4. Annalisa Gaudenzi

    30 Gennaio 2022 at 10:45

    Carissimo Sandro, prezioso come sempre!
    Accipicchia che racconto. Ora capisco perché la mia mamma (ai tempi) mi aveva “selezionato” il Maupassant 😉 Grazie davvero del bel suggerimento…
    Piuttosto, perdonami, non voglio apparire scortese, ma insisto: la produzione di latte nei mammiferi è dettata da ormoni e non è perenne. La stessa “mucca da latte” si esaurisce ad un certo punto (qualche mese dopo il parto) e deve essere di nuovo inseminata. Allego un articolo più esaustivo. Questa ragione spiega la posizione dei Vegani. In buona sostanza, il latte per essere prodotto prevede che sia mandato al macello un vitello. Quindi… non se ne esce…
    https://www.essereanimali.org/2015/09/6-verita-sul-latte-non-conosci/

  5. Annalisa Gaudenzi

    30 Gennaio 2022 at 11:25

    E visto che l’articolo del nostro Sandro, inizia con “Gli uccelli il nido”, mi sia permessa una ulteriore precisazione.
    La confusione sulla produzione perenne credo possa essere ingenerata da un altro caso: le uova. In linea generale le galline producono uova, per natura. Sempre e comunque, finché sono in età. Esattamente come noi donne… il famoso nostro ovulo che ogni mese se non viene fecondato ecc ecc. Ma quello è appunto un altro ciclo.
    Le galline ne producono tantissime, di uova, non sono mammiferi, il processo è differente, ma il principio di fondo è molto somigliante. In ogni caso l’uovo non fecondato non è un pulcino destinato a morte. In questo sono speculari a noi.
    Purtroppo però anche gli allevamenti di pollame non sono esenti da crudeltà. Ma con meccanismi diversi.
    A Parigi si vende un uovo al Monoprix (una catena come le nostre Conad o Coop o Pim) che sulla scatola recita: “l’oeuf qui ne tue pas la poule”. Molto molto venduto. Ma che significa: “l’uovo che non ha ucciso la gallina”? Intrigata, ho scoperto che dietro c’è una ricerca pluripremiata iperinnovativa, unione di una università francese e una tedesca, che ha messo a punto un sistema che evita di far nascere pulcini di sesso maschile, che come noto vengono tritati subito da vivi, per divenire mangime (non servono, non fanno uova), e consente alle ovaiole (le polle più sfruttate) di non divenire carne di scarto (dopo tanto lavoro!). In Italia – a livello industriale – ahimè non sono riuscita a trovare nulla del genere…
    Un articolo per assaggiare l’argomento:
    https://www.lefigaro.fr/societes/2018/12/11/20005-20181211ARTFIG00034-chez-monoprix-les-poules-pondeuses-de-luxe-ont-droit-a-leur-maison-de-retraite.php
    Se poi avete curiosità (simpatia?) per questi pennuti, suggerisco anche questa lettura, che fa sorridere e pensare. Il gallo Marcello e i 5 mesi di prigione per averlo… Buona domenica, a qualsiasi specie apparteniamo
    https://www.leparisien.fr/faits-divers/notre-coq-marcel-a-ete-massacre-une-petition-reclame-justice-pour-l-animal-tue-pour-son-chant-17-08-2020-8369157.php

  6. Sandro Russo

    31 Gennaio 2022 at 20:33

    Cara Annalisa,
    ho aspettato, per rispondere, di avere elementi certi che ho recuperato oggi del mio amico veterinario Marco. Mi ha confermato la funzione della prolattina – ormone dell’ipofisi umana come bovina -, che viene stimolata dalla suzione e dalla mungitura (analogamente a quanto accade nelle specie umana limitatamente alla suzione, vedi la consuetudine delle balie). Per le vacche in particolare, la lattazione dopo un parto si può mantenere fino a circa sei mesi, poi la qualità decala, fino a che il secreto non è più latte ma solo siero. A questo punto gli allevatori istaurano un periodo di pausa – detta “l’asciutta” -, di durata variabile, dopo di che programmano una nuova gravidanza. E poi chi l’ha detto che il vitello, maschio e femmina che sia, deve essere per forza ucciso?
    Ma non difendo certo le aberrazioni del mercato o degli allevamenti intensivi (il punto di partenza è stato tutt’altro!).
    Come pure non entro nella polemica animalista e nelle argomentazioni dei vegani, che hanno molte buone ragioni, ma anche punte di fanatismo!
    Del tema e dei libri sull’argomento si è già scritto (molto) sul sito: per citare solo alcuni articoli:
    Quinto. Non uccidere (prima parte)

    Quinto. Non uccidere (seconda parte)

    Il piacere di uccidere (che include in file.pdf il racconto breve “Caccia proibita”Killjoy, di F. A. Javor (1963) (…da non perdere! Cambia il modo di vedere le cose!)

    Categorie in evoluzione (3). L’alimentazione (1)

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top