Scrittori

L’Orca (2). Furono fiaschi, ora sono acclamati come capolavori

proposto da Sandro Russo

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Per l’articolo precedente, strettamente correlato, leggi qui: La riscoperta dell’Orca

Sfrutto fino all’ultima notizia il paginone del Corriere della Sera riemerso dalle nebbie del passato, con queste note che completano l’articolo di George Steiner su Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo e Il giorno del giudizio di Salvatore Satta.
Per analogia con questi due capolavori misconosciuti si parla qui di altri romanzi e autori che hanno avuto un analogio destino: sottovalutati all’uscita e rivalutati successivamente…

Melville, Svevo, Màrai e gli altri: i fiaschi che divennero classici
di Paolo Di Stefano

George Steiner associa il nome di D’Arrigo a quello di Salvatore Satta. Sono ambedue, secondo il critico, scrittori che non sfonderanno all’estero, nonostante il loro valore. In realtà ebbero problemi editoriali anche in Italia.
Horcynus Orca, annunciato nel ’61 con un altro titolo, dovette aspettare fino al ’75 per vedere la luce da Mondadori: non certo per colpa dell’editore, ma perché D’Arrigo, di ritocco in ritocco, finì per dilatare la revisione dai quindici giorni previsti a quindici anni (!).

Il caso dello scrittore-giurista sardo è altra faccenda: il suo romanzo, Il giorno del giudizio, che circolò inutilmente nelle redazioni delle maggiori case editrici, uscì postumo, nel ’77, presso la Cedam, di Padova, specializzata in pubblicazioni di carattere giuridico. Ma nel giro di due anni fu Roberto Calasso a pescarlo dall’oblio e a rilanciarlo, con successo, per l’Adelphi.
Diceva Vanni Scheiwiller che un editore italiano avrebbe potuto benissimo sopravvivere grazie ai rifiuti delle grandi case editrici. Non è il caso di ricordare i soliti Lampedusa e Morselli. E anche vero che spesso, come è accaduto per D’Arrigo, non c’è niente di più inedito dell’edito. La verità di questa massima banalissima fu sperimentata bene da Italo Svevo, che pubblicò a proprie spese nel 1892 il primo romanzo, Una vita, e nel 1898 il secondo, Senilità, senza ottenere il minimo successo. Dovettero passare quasi trent’anni perché lo pseudonimo dell’impiegato triestino uscisse dalla ristretta cerchia familiare, grazie al concorso di sponsor d’eccezione come Joyce e Montale. Eppure, nonostante la fortuna quasi immediata de La Coscienza di Zeno, volendo riproporre Senilità ai suoi lettori, Svevo dovette fare i conti con un triplice rifiuto (Mondadori, Treves, Cappelli) e accontentarsi dell’editore milanese Mancale che accettò la pubblicazione solo a condizione che l’autore contribuisse alle spese.

E si pensi, ancor prima, al «fiasco pieno e completo» de I Malavoglia nel 1881, nonostante i successi ripetuti dei precedenti romanzi verghiani. Del resto, lo dice sempre Steiner, in letteratura «il gradimento è spesso assurdamente arbitrario».
A proposito di Moby Dick, Melville fu accusato da un editore di essere un truffatore che voleva spacciare per romanzo popolare una «rapsodia blasfema pesantemente ispirata ad atei abietti quali Lutero e Voltaire» Per tutta la vita Melville fu condannato all’oblio dai più, la critica lo considerò un pazzo delirante e tutto ciò che gli riuscì di ottenere in vecchiaia fu un posto alle dogane di New York fino alla morte. Il successo letterario sarebbe arrivato postumo.
Strane cose accadono in letteratura. Anche in tempi recenti. Sàndor Màrai viene pubblicato in Italia già negli anni Trenta (da Baldini & Castoldi), ma pochi se ne accorgono. E bisognerà aspettare ancora una volta la bacchetta magica di Calasso perché, nel ’98 diventi un bestseller.

Herman Melville (1819-1891), autore di «Moby Dick»Italo Svevo (1861-1928), autore de «La coscienza di Zeno»Sàndor Màrai (1900-1989), autore del romanzo «Le braci»

Come Kundera, edito da Mondadori sin dal ’69, ma arrivato agli onori delle classifiche grazie a un tormentone di Roberto D’Agostino in una celebre trasmissione televisiva dei primi anni ’80.
Può succedere che un autore come Mario Soldati debba aspettare un decennio per vedere il suo America primo amore passare dalle 500 copie di Bemporad (1935) alle molte edizioni einaudiane.
Può succedere, chissà perché, che il vecchio Pinchon improvvisamente diventi un autore di culto al suo ennesimo titolo tradotto in Italia. Può succedere che Camilleri debba aspettare i suoi settant’anni per superare le due-tremila copie e balzare verso le centinaia di migliaia. Può succedere che Beckett venga disastrosamente proposto da un editore scolastico dopo 42 rifiuti e che l’editore francese di Murphy riuscisse a venderne la bellezza di sei copie in dodici lunghi mesi.
E’ potuto succedere che Se questo è un uomo vendesse solo 1400 copie con l’editore torinese Da Sila, prima di ritornare da Einaudi (dopo il rifiuto del ’47) e diventare quel che è diventato.
Può succedere davvero di tutto.

Ritaglio da Il Corriere della Sera del 4 novembre 2003

Il mostro marino riveduto e corretto
Il romanzo di cui parla George Steiner, Horcynus Orca, è il capolavoro di Stefano D’Arrigo (Alì, Messina, 1919 – Roma, 1992). Pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 1975, il libro, molto discusso dalla critica, è ora riproposto da Rizzoli in una nuova edizione (1096 pagine, 25 €).
L’introduzione è di Walter Pedullà che ha curato le opere di Stefano D’Arrigo in collaborazione con la vedova dello scrittore, Jutta Bruto D’Arrigo. Il volume viene presentato con alcune inedite correzioni d’autore.

Il romanzo racconta la vicenda di ’Ndrja Cambrìa, marinaio della fu Regia Marina, sbandato dopo l’8 settembre 1943 che percorre le spiagge calabresi diretto a Cariddi, suo paese natale. L’intera storia si compie nell’arco di tre giorni. A traghettare ’Ndrja in Sicilia è Ciccina Circè “femminota” che contrabbanda il sale fra le due sponde dello Stretto. Il reduce avverte però che sta addentrandosi nel regno delle ombre, dove ritrova tutta una serie di persone a lui legate, dal padre, Caitanello, a sua moglie, l’Acitana, morta da anni.
A ’Ndrja compare una realtà stravolta, deformata, e davanti a Cariddi emerge l’Orca, “che dà la morte, mentre lei passa per immortale: lei, la Morte marina, sarebbe a dire la Morte, in una parola”. Gli antagonisti dell’Orca sono i delfini – le fere – descritti come mai prima, tra i personaggi principali del romanzo, insieme ai pellisquadre (singolarmente e in gruppo), i rudi pescatori di Cariddi. Pellisquadre, pescatori d’esperienza, rotti a ogni tempesta, cosiddetti perché hanno la pelle come lo ‘squadro’, cioè lo squalo, che in dialetto prende il nome da ‘squadrare’, ovvero lisciare e pareggiare il legno ruvido con la cartavetrata; pelli, quindi, come carta-vetro. E come le pelli, i caratteri (leggi qui).

Dimenticato dalla critica  e poco conosciuto, forse, Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, ma non su Ponzaracconta, in cui figura come il romanzo più analizzato e citato, da due esegeti/appassionati: Sandro Russo e Tea Ranno.
Qui di seguito i link agli articoli che raccontano del romanzo e dei suoi personaggi…

Horcynus Orca sul Sito:

Di Sandro Russo

Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (1)

Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (2)

Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (3)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (4)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (5)

 

Di Tea Ranno

Horcynus Orca. Ritratti di donne (1)

Horcynus Orca. Ritratti di donne (2). Le fere, la deissa

Horcynus Orca. Ritratti di donne (3). Marosa (prima parte)

Horcynus Orca. Ritratti di donne (4). Marosa (seconda parte)

 

[L’Orca (2). I fiaschi che ora sono capolavori – Continua]

1 Comment

1 Comment

  1. Antonietta

    28 Gennaio 2022 at 19:56

    Una bella interessante panoramica sugli insuccessi d’autore, grazie Sandro

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