Ambiente e Natura

L’angolo di Lianella/18. Pirati saraceni e tesori sulle coste del Lazio

di Amelia Ciarnella

 

Nei tempi antichi le carceri italiane, come quelle di altri paesi del mondo, erano poco meno che sepolcri e solo raramente l’incarcerato riusciva a sopravvivere a lungo, poiché le celle erano scavate nella roccia o nel sottosuolo al buio e il poveraccio non vedeva nemmeno la luce del giorno. Ecco perché quando riuscivano ad evadere si buttavano ovunque, poiché posti peggiori delle carceri non ve ne erano.

Io penso che i primi pirati del mare, prima di diventare tali, erano dei rapinatori o addirittura degli assassini, che dopo aver fatto qualche rivolta collettiva dentro qualche caverna dov’erano rinchiusi incarcerati, siano riusciti a fuggire in blocco e per evitare di tornarci, si siano poi avventurati in mare, certi di potersela cavare senza problemi, poiché nessuno si sarebbe mai sognato di inseguirli, per timore di lasciarci le “penne”. Il mare di allora era pericolosissimo e quasi completamente sconosciuto. Così, dopo aver superato il rischio di essere catturati, si risvegliò in essi quella cattiveria, che ognuno di loro già aveva insita nell’animo e cominciarono ad avvicinarsi ai luoghi isolati lungo la costa, sbarcando all’improvviso, terrorizzandone gli abitanti, rubando e arraffando tutto ciò che più gli piaceva, sequestrando soprattutto le donne, specie se giovani e belle, per poterle vendere come schiave. La povera gente di allora era veramente indifesa. Non esisteva nessuno Stato e chi si ribellava veniva ucciso subito sul posto. Perciò non c’era scelta, o cedere o morire.

Col passare degli anni, il mare cominciò ad essere frequentato da qualche sporadica nave che veniva regolarmente attaccata dai pirati, divenuti espertissimi nel fare arrembaggi. La pirateria di allora diventò famosa come terrore dei mari. Quando costoro andavano all’arrembaggio di una nave, dopo aver preso tutto e tutti, uccidendo senza pietà chi si ribellava, distruggevano l’imbarcazione affondandola o bruciandola e dopo si dileguavano velocemente.

Per molti anni il mare fu dominato quasi esclusivamente dai pirati i quali “mareggiando, mareggiando” scoprivano continuamente posti nuovi, dove sbarcavano sempre di sorpresa spaventando, picchiando e uccidendo gli abitanti e nessuno poteva permettersi di fare e dire niente.

Così facendo, arrivarono anche sulla costa Laziale che piacque moltissimo a questi pirati saraceni, che non erano altro che popoli di origine araba. E pensando di poter ritornare per potersi rifare una nuova vita, magari come persone perbene, depositarono diversi sacchetti di monete d’oro sotto le radici di querce, convinti di tornare molto presto per godersi tutto il maltolto ai poveri malcapitati. Ma nessuno di essi tornò più. E quei sacchetti di monete d’oro furono trovati casualmente da tre o quattro persone del posto che ne beneficiarono e vissero nel benessere per tutta la vita.

La nostra zona minturnese fu visitata moltissime volte da costoro che vi si fermarono, cercando anche di familiarizzare con alcuni abitanti, ma non so come si conclusero tali amicizie. So soltanto che nessuno di essi andò a cercare i sacchetti di monete d’oro sepolti sotto le querce. Perciò non erano stati loro a lasciarli e nemmeno lo sapevano. Infatti quei sacchetti di monete d’oro furono trovati da tre famiglie del nostro circondario, che ne trassero enormi benefici.

La prima famiglia che diventò ricchissima con le monete d’oro dei pirati faceva l’attività dei carbonai. Vale a dire tagliavano gli alberi, li bruciavano, ricavandone del carbone che poi vendevano al dettaglio o all’ingrosso. E proprio tagliando o scavando gli alberi, trovarono alcuni sacchetti di monete d’oro che cambiarono completamente la loro vita.

Un’altra fortuna insperata toccò al proprietario di un favoloso vigneto, impiantato dai suoi antenati un centinaio di anni prima e l’intera famiglia viveva e aveva sempre vissuto col ricavato dei prodotti di quel vigneto. Però nella vita, come ben si sa, ci sono spesso degli alti e bassi. E per questioni economiche, il capo famiglia era finito nelle mani di un gruppo di usurai “truffaldini” che erano riusciti a pignorargli quello splendido vigneto, buttandolo nella disperazione.

Però prima di consegnare a quei furfanti il suo vigneto, il poveraccio, con la morte nel cuore e una rabbia disperata nell’animo, pensò di sradicare tutte le viti, una per volta, per non lasciarglielo bello e curato come era sempre stato. E mentre eseguiva quel lavoro, ricordando il suo passato e ogni momento di gioia vissuto su quel vigneto nel corso degli anni, insieme ai suoi genitori, ai suoi nonni, ai suoi figli, pensieri che gli passavano nella mente come in un film, all’improvviso accadde un miracolo. Proprio sotto la vite che stava scavando, sentì qualcosa di duro e diverso dal solito terreno e subito dopo sollevò un bel sacchettone di monete d’oro che gli riempirono il cuore di una gioia immensa. Quindi smise subito di scavare le viti e si precipitò a casa sua per dare alla famiglia quella magnifica notizia.

II giorno successivo si recò dagli usurai e con somma soddisfazione saldò il suo esoso e fastidioso debito, augurandosi di non rivederli mai più. Lasciandoli molto sorpresi e con la curiosità di sapere come era riuscito a saldare il suo esorbitante debito in così breve tempo.

Un altro sacchettone di monete d’oro finì nelle mani di una giovane vedova molto povera che viveva quasi di elemosina e tutti gli abitanti del paese ne furono oltremodo felici.

Nei tempi di allora e fino a quelli di mia nonna, le ragazze si sposavano molto presto e già a sedici anni potevano avere dei figli. Una giovane donna, appena ventenne, si ritrovò improvvisamente vedova a causa di un brutto infarto occorso al suo giovane marito e dovette affrontare con coraggio una situazione difficilissima perché non aveva nessun parente che potesse aiutarla ed era rimasta sola con cinque figli da custodire e soprattutto da alimentare. E lei purtroppo era poverissima.

A quei tempi la vita si svolgeva solo in campagna e dall’alba al tramonto il paese rimaneva completamente vuoto. La giovane donna, insieme ai suoi cinque bambini, il più grande dei quali aveva poco più di dieci anni, dalla strada principale del paese poteva vedere se dalle finestre aperte vi erano le solite salsicce appese al soffitto ad asciugare, o formaggi appesi al muro. In quel caso, agile e magra, si arrampicava come un gatto staccando dal muro o dal soffitto formaggi salsicce e altro per buttarli giù dalla finestra, dove i figli affamati che aspettavano sulla strada subito raccoglievano e divoravano perché la fame era tanta.

Ovviamente, dopo brevissimo tempo, furono avvertiti i carabinieri che si recarono sul posto, accertando la pietosa situazione di quella povera mamma appena ventenne con cinque bambini da nutrire e ne ebbero una gran pena. E dopo averle dato un piccolo aiuto in denaro i carabinieri le consigliarono di non farlo più, facendo un appello a tutti gli abitanti del paese di aiutare in qualche modo quella povera e giovane mamma bisognosa.

Così da quel giorno in avanti quando qualcuno tagliava un albero o una quercia, veniva chiamata quella giovane mamma con i cinque bambini appresso, che ne scavava con grande fatica le radici, che le venivano poi regalate, per riscaldarsi insieme ai suoi cinque figli. Ma un bel giorno mentre scavava una radice di quercia molto grande, spuntò fuori un bel sacchettone di monete d’oro, che lei raccolse senza rivelarlo a nessuno. La notizia, però, si seppe lo stesso in tutto il paese ma ognuno mantenne il segreto per sé per evitare che il proprietario della quercia potesse accampare qualche diritto. Infatti tutto il paese lo seppe tranne lui, come spesso succede quando un marito viene cornificato.

Da quel momento la vita di quella giovane mamma migliorò notevolmente, anche se apparentemente rimase sempre la stessa. Riuscì a gestire ogni cosa con prudenza, saggezza e intelligenza, educando i suoi cinque figli nell’onestà e alla semplicità e appena il più grande raggiunse il diciottesimo anno di età, lo mandò in America, d’accordo con un lontano parente che, dietro pagamento, lo fece in qualche modo studiare, procurandogli anche un lavoro. Così un figlio per volta, quella mamma semplice senza nessuna cultura, ma molto saggia e di buon senso, riuscì a mandare in America i suoi cinque figli, dove fecero senz’altro una vita migliore e dove si sistemarono costruendosi ognuno la propria famiglia. La mamma invece morì felice nel suo paese, soddisfatta per aver dato ai suoi figli un avvenire economicamente sicuro e sereno lontani dalla miseria di quei tempi.

Così, alla fine, anche i pirati saraceni contribuirono indirettamente a fare un’opera buona.

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