Ambiente e Natura

I miei primi… dieci anni (4). Figurine e trasporti

di Pasquale Scarpati

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 Per la terza parte, leggi qui

Con gli istruttori invece, era tutt’altra musica. Innanzitutto si entrava a far parte della… CCL (no CGL). Antico sindacato dei… bambini! Infatti alla maniera del sindacato degli adulti, prima ci si contattava (C).
– Addo’ vai? – chiedevo a chi era di passaggio – Vangh’ a Sant’Antuòn’ – rispondeva. Poi si contrattava (C).

Era il tempo delle figurine (sì, perché ogni gioco aveva il suo tempo: non si giocava sempre alla stessa maniera tutto l’anno!) – Tien’ i figurine d’i calciatori? Facimm’a cambio d’i doppioni?Tieni: Losi, Manfredini, Charles, Boniperti, Schiaffino, Liedholm, Nordhal, Vinicio, Pesaola – Proseguivo.
In realtà non ero tifoso di nessuna squadra: non le conoscevo né le potevo conoscere poiché non ero affezionato alla monumentale radio. Avevo altri giochi a cui pensare e di cui parlare: erano i miei!
Mi interessava invece non avere doppioni per la mia costosa e sudata collezione di figurine (non solo perché avevo lavorato, ma anche perché era piuttosto difficile che i genitori ponessero mano alla saccoccia per questi sfizi).


Cominciai a sentire e poi a capire di calcio quando misi piede stabile sulla terraferma.
– Vulimm’ pazzia’ (vogliamo giocare)? – diceva lui.
Trovavamo una panchina o uno scalino di marmo sporgente di una casa, al riparo dal vento (cosa un po’ rara soprattutto d’inverno):

Dovevamo decidere se piegare le figurine quasi alla metà (a connola) ma in modo che rimanessero in bilico, oppure semplicemente i bordi su due lati. In genere questa era la soluzione che ci piaceva di più perché ci sembrava che le figurine non si rovinassero molto. Ma era anche quella più faticosa per acquisirle perché ci voleva più forza per farle capovolgere. Come dire: per le cose piacevoli si fatica sempre un po’ di più! Sorgeva poi un ulteriore problema: la loro vetustà. In effetti qualcuno possedeva delle figurine molto vecchie, lacere, consunte simili a quelle pezze vecchie, logore, dai colori sbiaditi, sfrangiate sui bordi. Sembravano chill’ abbatiell’ (immaginetta della Madonna del Carmine) che nonna Civitell’ (detta Carlina perché moglie di nonno Carlo) portava sempre con sé sul petto.
Ovviamente erano più morbide rispetto a quelle nuove dai colori accesi, sgargianti con il viso del giocatore, bello, sorridente, ma nessuno le voleva anche se qualcuno cercava di intrufolarle nel mazzo. È una costante di tutti i tempi: esiste sempre il solito furbetto che s’intrufola o cerca di intrufolare qualcosa nel mazzo! Non c’è niente da fare!

Oltretutto essendo moscia (floscia, molle) era difficile da piegare. E già l’aria tra noi cominciava a rannuvolarsi! Si creava il mazzetto. Si decideva quante figurine bisogna mettere in palio: ad esempio da cinque in su per ognuno. Intanto si stava attenti se non vi fossero doppioni e quelle vecchie di cui ho già detto. Poi si piegavano come era stato stabilito. Una volta piegate si poggiavano sul cemento o sul marmo e si faceva la conta di chi avrebbe dovuto battere per primo.
Battere!? Sì, con il palmo della mano accuppùta (ad arco) bisognava dare un violento colpo di fianco al mazzetto, senza assolutamente toccare le figurine. Quelle che si capovolgevano completamente divenivano di proprietà di chi aveva battuto. Quindi: si soffiava prima nel palmo della mano come per… riscaldarla un po’ e poi si… batteva con forza.

Poi toccava all’amico e così via fino all’esaurimento del mazzetto e poi si ricominciava, se si ricominciava. Stranamente quando rimanevano poche figurine era più difficile farle capovolgere perché bisognava dosare il colpo. Essendo infatti poche, con un colpo troppo violento si rotolavano più volte e si rischiava che si mettessero di nuovo a pancia all’aria, rendendo inutile lo sforzo prodotto.
Le ultime figurine erano la mia specialità! Però qualcuno più furbescamente alla fine pretendeva di cambiare le regole del gioco! Avrebbe voluto pizzicarle con il dito bagnato di saliva, sollevarle in alto e lasciarle cadere. Altra discussione.

Terminato il mazzetto, logica vuole che si iniziasse un altro turno. E invece, ma non sempre, così come succede tra gli adulti, si finiva… col litigare (L).
Come si diceva: CCL.. !
Già durante il gioco si cominciava a discutere: – Tu hai messo la mano troppo vicina ed hai toccato le figurine! – Quella figurina era capovolta! Quando rimaneva in bilico.

Praticamente si incominciava ad appiccicarsi (litigare). Mani doloranti, rosse, brucianti come il fuoco. Se qualcuno era capatosta e non voleva sentir ragione: dalle parole si passava ai fatti.
Prima le spinte, poi i pugni ed i càuce (calci) come i canguri. Quello scappava.
Tutto finito? Nient’affatto. Si era semplicemente allontanato per trovare gli… alleati: delle pietre. Esse, numerose, di tutte le forme e peso, stavano lì nel gran mucchio di terra nei pressi del “ruttone” di Sant’Antonio (più o meno all’altezza dove oggi sostano in bella vista i numerosi bidoni dell’immondizia) per la costruenda “Banchina Nuova”.

Così in base alla forza e alla distanza si poteva scegliere l’arma di… getto! E iniziava una bella sassaiola. Qualche ficozza me la sono buscata, ed insieme ad essa l’onnipresente resto di mia madre! Il più delle volte in questi casi la facevo franca perché lei non riusciva ad acchiapparmi e poi, una volta smaltiti i suoi bollenti spiriti tutto tornava tranquillo.
Il peggio arrivava quando mi azzoppavo. In quel caso non potevo correre, quindi…
Ma quelli erano naturalmente… giochi da maschi! Facevano parte, comunque, delle… regole del gioco, come di ogni gioco che si rispetti a qualsiasi livello ed in qualsiasi tempo.
Niente male: era questo il modo naturale e materiale di socializzare fin dalla fanciullezza! Oggi si socializza, per lo più, anche in modo immateriale.
Ma, udite udite… seguitemi, venitemi appresso.
In quella palestra, a volte, per noi bimbi, si organizzava anche un corso di… ballo. Quando infatti su Corso Carlo Pisacane passava la banda musicale riempiendo l’aria di allegre marcette, noi ballavamo davanti ad essa marciando e danzando a suon di musica. Così, quando ciò si verificava all’imbrunire, senza ombra di dubbio avremmo potuto dire di… ballare con le stelle! (chi ha detto di aver inventato qualcosa di nuovo? Sic!).
Era sicuramente una musica ben diversa e sicuramente più piacevole di quella di cucchiarelle, battipanni, scupliaturi (canne con in cima uno strofinaccio per togliere la polvere negli angoli in alto delle stanze) o cinghie dei pantaloni!

Il lockdown dei mezzi di comunicazione

A parte che la tv quasi nessuno l’aveva e nell’Isola vi era un solo, uno solo, telefono pubblico (unico in tutta l’isola!) situato nella biglietteria della Span al molo Musco, pochi erano i mezzi di locomozione ad eccezione del “cavallo di San Francesco” che procedeva, spesso, senza i ferri (senza scarpe), coadiuvato da qualche altro quadrupede per chi lo possedeva. Ma per ironia della sorte quel quadrupede era dotato di ferri. Era un mondo proprio alla… rovescia!
Eh, già – ha detto una persona – Innanzitutto quello procedeva con quatto zampe e poi il suo nome era pertinente alle sue mansioni. Tra gli uomini invece spesso accade il contrario: si porta un nome ma le mansioni non sono adatte ad esso!
Che razza di discorso! Quest’ultimo però, nonostante tutte queste “attenzioni”, qualche volta forse stanco dello sfruttamento ossessivo, delle continue sollecitazioni, delle nervate sulle natiche, “scioperava” all’improvviso, di sua iniziativa senza ascoltare alcun sindacato: s’impuntava o imboccava soltanto la strada a lui conosciuta, infischiandosene dei richiami del padrone! Insomma: era proprio
… un ciuccio! Non capiva proprio niente di niente! Avrebbe potuto anche sgroppare, liberandosi del carico umano o del materiale. In tal caso non conveniva neppure stare nelle sue vicinanze e soprattutto nella parte posteriore: un calcio improvviso avrebbe potuto portare seri danni a qualche intelaiatura del “cavallo-umano”! Diveniva pertanto pericoloso come un… infiltrato!

Pochi altresì erano i trasporti pubblici, ed in orari che oggi diremmo impossibili. Lo sappiamo bene noi:, isolati…. sull’isola (non poteva essere altrimenti se si guarda alla terminologia!) quando oltretutto in alcuni giorni ‘u vapore (unico mezzo di collegamento con la terraferma) detto anche postale, era del tutto latitante, non per le avverse condizioni meteomarine ma perché così era previsto nell’orario.
Ha osservato una persona: – Per questo le lettere, le cartoline e le cartoline postali (chi le ricorda?) impiegavano giorni, mesi se non anni prima di giungere al destinatario!
– Oggi sicuramente ciò non accade più – ha aggiunto guardandomi maliziosamente. – C’è internet – gli ho risposto con un filo di voce.
Intanto in terraferma (mi son chiesto molte volte perché noi, isolani ed isolati, l’abbiamo chiamata così: forse perché quella sta ferma nei suoi propositi mentre noi siamo stati e siamo tutt’ora… “vagabondi”: una volta lì (ma per poco lasso di tempo), una volta qua, una volta là !?) c’era chi doveva percorrere chilometri a piedi (anche lui/lei senza scarpe) per potere salire sull’unica corriera che transitava (se transitava!) una sola volta al giorno. Si viaggiava ancora come al tempo della diligenza. Aveva soltanto cambiato nome!

[I miei primi… dieci anni (4) – Continua]

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