Scrittori

Invecchiare con arte

proposto dalla Redazione

 

Non è un mistero che il corpo redazionale di Ponzaracconta non sia composto da pischelli di primo pelo né da giovanette en fleurs. E neanche l’età media dei lettori del sito – sia detto senza offesa – è più tanto verde. Ne prendiamo atto e leggiamo insieme questo bell’articolo ripreso da la Repubblica di ieri mercoledì 12 gennaio che ci offre anche l’occasione di fare la conoscenza con uno scrittore mai comparso su queste pagine, di cui si può leggere qualche notizia a fondo pagina.

La sottile arte di invecchiare
di Alberto Manguel

Scoprire il corpo che cambia, inventare una nuova routine
Ritrovare l’esperienza del tempo che passa nella lettura dei classici
Il racconto in prima persona di uno scrittore

L’Italia sta invecchiando, ma non è detto che sia un male. Il Belpaese viene subito dopo il Giappone nella classifica delle nazioni con più anziani. Mi ricordo, in occasione della mia ultima visita a Firenze, di essermi arrampicato faticosamente fino a San Miniato al Monte e di aver notato uomini e donne più vecchi ma più agili di me che mi superavano, evidentemente abituati fin da piccoli a emulare gli stambecchi. Faccio indiscutibilmente parte della popolazione attempata del pianeta, ma ancora non riesco a capacitarmi di non essere più l’adolescente che mi guarda da foto scattate in luoghi e tempi remoti.

Conosco con esattezza il momento in cui sono diventato vecchio. Fu il 15 novembre 1999 o giù di lì, otto mesi dopo il mio cinquantacinquesimo compleanno. Vivevo a Calgary, nella provincia canadese dell’Alberta. L’inverno era cominciato presto e i marciapiedi erano ricoperti di ghiaccio. Stavo portando un vassoio di muffin alla mia vicina quando, proprio davanti alla sua porta di casa, scivolai sul ghiaccio e caddi. Forse per proteggere i muffin, stesi in avanti le braccia e le mie gambe scivolarono all’indietro facendomi cadere in avanti, con conseguente strappo dei muscoli addominali. Cercai di rialzarmi e tutto quello che riuscii a fare fu sollevarmi con cautela a quattro zampe e arrivare, come un cane malfermo, fino alla casa della mia vicina. Non sentivo un gran dolore, ma nelle settimane successive un’ombra nera, come uno sversamento di petrolio, dilagò sulla mia pancia; non riuscivo nemmeno a piegarmi in avanti per allacciarmi le scarpe, o a sollevare le braccia per pettinarmi i capelli. Pian piano, l’ombra sparì, ma da allora non sono più riuscito a usare i muscoli addominali come si deve. Come in una Gestalt rovesciata, il mio corpo mi stava annunciando la sua presenza attraverso l’assenza progressiva delle sue componenti. La mia identità comincia e finisce con il mio corpo, che fosse presente alla fine o assente all’inizio. Ora scopro parti del mio corpo che non sapevo esistessero, una terra incognita che sono costretto a esplorare come un viaggiatore stanco e disilluso.

Adesso il piacere deriva principalmente dal pensare, e i sogni e le idee sembrano più ricchi e chiari. La mente vuole dare piena prova di sé, ma il corpo, come un tiranno deposto, rifiuta di farsi da parte e insiste per avere attenzioni costanti: morde, prude, preme o cade in uno stato di torpore o di sfinimento ingiustificato. Una gamba si infiamma, un osso si raggela, una mano si blocca e un dolore non meglio precisato mi punzecchia in qualche punto delle viscere, distraendomi dai libri e dalla conversazione, e perfino dal pensiero stesso. Da giovane, mi sentivo sempre solo, perfino quando ero in compagnia di altri, perché il mio corpo non mi assillava mai, non sembrava mai qualcosa di distinto da me, un ignominioso doppelgänger . Era assolutamente e indivisibilmente il mio unico io, singolare, invincibile, che non proiettava ombra, come Peter Schlemihl. Ora, perfino quando sono solo, il mio corpo è sempre lì, come un visitatore indesiderato, che fa rumore quando voglio pensare o dormire, che mi pianta il gomito nel fianco quando me ne sto seduto o me ne vado in giro. La morte non mi spaventa; il dolore sì.
Cicerone, che non mi è mai piaciuto come personaggio, fin da quando lo studiavamo al liceo, ha degli sprazzi di intuizione. Mettendo in bocca le sue parole all’ottantaquattrenne Marco Porzio Catone in un dialogo sulla vecchiaia, gli fa dire di aver sempre seguito la Natura come la migliore delle guide. «Non è verosimile che essa abbia descritto bene tutte le altre parti della vita», aggiunge, «per poi buttare giù l’ultimo atto, come un poeta senz’arte». Non ha tutti i torti. Nessun lettore può immaginare un libro che ama senza un’ultima pagina: il libro infinito immaginato da Borges è un orribile incubo. Vogliamo posticipare le ultime parole il più a lungo possibile, ma sappiamo che devono esserci. Monsieur de Fontenelle, all’età di novantanove anni, era seduto accanto al fuoco assieme a sua sorella, di pochi anni più giovane.
«Ah, Monsieur de Fontenelle», esclamò lei. «La morte si è dimenticata di noi!». Monsieur de Fontenelle si mise il dito sulla bocca e sussurrò: «Sssh!».

Le uniche richieste pressanti che mi ha fatto il mio corpo dalla prima adolescenza e fino a qualche anno fa erano di natura sessuale. Chaucer dice che l’Indolenza è il custode che introduce gli uomini nella dimora di Venere: l’allegoria suona vera per me, nel senso che, a voler essere del tutto sinceri, gli svaghi sessuali mi hanno reso indolente in tutto il resto. Almeno fino ai trent’anni, tutto il resto, ogni altro genere di esplorazione, veniva in secondo piano rispetto al persistente godimento del corpo. Ora rimane una sorta di interesse archeologico per il sesso, attraverso la memoria, attraverso la narrazione, attraverso i piaceri estetici della contemplazione. Il corpo ha surrettiziamente rimpiazzato gli impulsi sessuali con piagnucolosi appelli all’attenzione per le articolazioni, i tendini, l’apparato urinario. Come una casa in cui viviamo da troppo tempo, ogni giorno c’è una cosa nuova da riparare.

Cerco di tenere a bada il tempo in un luogo seguendo certi rituali: i preparativi la sera prima per la colazione del mattino dopo, sgombrare la mia scrivania e disporre penne e libri in ordine simmetrico, la sequenza di scarpe, mascherina e cappello prima di uscire a fare una passeggiata nel mio quartiere.
Leggo Dante al mattino, un saggio a colazione e un romanzo giallo prima di andare a letto. Scrivo ogni giorno fino all’ora di pranzo e prendo appunti nel pomeriggio. Vado al mercato tutti i sabati. C’è un elemento di eternità nella routine. Il segreto di Shangri-La e l’eterna giovinezza dei suoi abitanti era che non cambiava nulla nella vita della lamasseria (1) in cima alle montagne del Tibet, come nel castello della Bella Addormentata. Il sonno, naturalmente, è il fratello della Morte, ci dice il poeta di Gilgamesh.

Ma la routine non può impedire le tormentose trasformazioni della mia fisionomia. Credo di riuscire a ricordare di quando vidi per la prima volta la mia faccia nello specchio dell’armadio di mia madre, da bambino. La faccia che vedo adesso tutte le mattine è irriconoscibile per me. Ho una foto dei miei trisnonni appesa alla parete della mia camera da letto e ho sempre pensato che lui avesse un aspetto remoto. Ora trovo che gli assomiglio: le stesse borse sotto gli occhi, lo stesso sopracciglio corrugato, la stessa barba, la stessa aria distante. Cerco invano il viso che resta aggrappato alla mia mente, l’adolescente occhialuto con grandi orecchie e l’aria spaventata che ero una volta, ma è come se qualcuno avesse scarabocchiato sopra l’immagine, disegnando linee grosse sopra una superficie che fino a quel momento era intonsa.

Cicerone faceva dire a Catone che l’età anziana è naturalmente portata a parlare troppo. Lo so. Forse il motivo è che da giovani proviamo costantemente cose nuove, ci lanciamo nel mondo, mentre da vecchi la memoria del mondo irrompe e ci sommerge, e le parole e le immagini straripano. Monsieur de Fontenelle (ancora lui), quando il suo medico gli chiese come si sentisse rispose: «Provo una certa difficoltà d’essere».
La domanda di Amleto (2) non regge: è limitata. Essere con difficoltà, essere sottoposti ai capricci di un corpo brontolone, essere meno agili, meno capaci fisicamente, più vigili, più curiosi. Di questo, sono immensamente grato.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

Immagine di copertina. Klimt Le tre età della donna; fu dipinto nel 1905

Alberto Manguel

Note (a cura della Redazione)

(1) – Lamasseria: monastero di monaci buddisti

(2) – To be or non to be – Essere o non  essere

Alberto Manguel (Buenos Aires, 1948) è uno scrittore e traduttore argentino naturalizzato canadese.
Nato a Buenos Aires, Manguel trascorre i suoi primi anni di vita a Tel Aviv, dove il padre presta servizio come primo ambasciatore argentino presso lo Stato d’Israele. La sua prima lingua è l’inglese, insieme al tedesco, parlato con la sua governante. Solo a partire dai sette anni, quando la sua famiglia rientra in Argentina, comincia a parlare abitualmente la lingua spagnola.
All’età di sedici anni, mentre lavora alla libreria Pygmalion di Buenos Aires, ha un incontro fondamentale con un cliente particolare, Jorge Luis Borges che, ormai cieco, gli chiede di leggere ad alta voce per lui, a casa sua. Sarà uno dei lettori di Borges tra il 1964 e il 1968 [estratto da Wikipedia. La biografia (e l’elenco completo delle opere) su Wikipedia]. 

2 Comments

2 Comments

  1. Luigi Maria Dies

    13 Gennaio 2022 at 07:54

    Buongiorno.
    Non vivere bonum est, sed bene vivere (Seneca lettere a Lucilio)
    Bella persona questo Alberto Manguel. Non l’ho incrociato nelle mie letture. Ho cercato di capire se fosse sposato. Mi sembra di no. Ho cercato frettolosamente e mi sono interrotto quando ho letto che nel 2020 si è trasferito a Lisbona, città alla quale ha donato la sua biblioteca di 40.000 volumi per farne un Centro internazionale sulla lettura. Non ha figli. I libri si lasciano ai figli.
    Per il resto una vita vissuta con grande impegno e ottimi risultati. Ma dispiace quel neo di cominciare a sentirsi vecchio ad iniziare dai 55 anni. Anche se si capisce che il rammarico è relativo soprattutto al parametro della fisicità. Ma c’è il rischio che focalizzarsi troppo sul corpo allenta e rallenta tutte le prestazioni della sfera emotiva. Guai a lasciar languire la mente e l’anima. Guai a rinunciare alle emozioni.
    Qui non ci sto. Non ho approfondito il personaggio Manguel, non gli voglio attribuire nulla di cui non ho conoscenza. Ho curiosato solo sul fatto se avesse o meno figli. Ho il mio punto di vista al riguardo. I figli non ti fanno invecchiare. Con i figli hai bisogno di essere vivo tutti i giorni. Io quando mi guardo allo specchio vedo loro. Sono, è vero, fortunato. Non so ancora cosa siano i segnali che lancia il corpo di cui parla Manguel. La vecchiaia la attraverso, la vivo, con tutti i suoi giorni in più che ci saranno, ma non è un peso, non me la voglio caricare sulle spalle.
    Ci sono esempi di personaggi che, vivendo per i giovani e per educarli e formarli, non hanno avuto il tempo di invecchiare o sentirsi vecchi.
    Vivere bene va inteso nel senso di vivere una vita impegnata nel ricercare e nel trasmettere il bene e il bello che la somma degli anni di cui siamo carichi ci ha permesso di discernere ed acquisire.
    Vivere dunque non deve essere l’unico scopo di chi vive, ma, vivere bene, è il buono del vivere. Lo scopre chiunque lo faccia rivolto all’altro. Poco o tanto, siano essi i figli o che siano gli allievi o che sia il prossimo.
    Essere aperti al prossimo non fa invecchiare, non fa invecchiare soprattutto la mente. Almeno non con la velocità con cui invecchia chi guarda solo se stesso. In questa redazione proiettata costantemente all’esterno non vedo vecchi.
    Ciao, Luigi.

  2. vincenzo

    14 Gennaio 2022 at 12:40

    Mi ritrovo molto nel modo di scrivere autoironico di Manuel.
    Bellissimo scivolare sulla neve con un vassoio in mano e scoprirsi vecchi!

    Al contrario c’è gente che nasce vecchia. A 15 anni è super istituzionalizzata, a 20 anni si sposa e poi casa-lavoro e chiesa. Tanti figli.
    “Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi”.

    Un mio amico si è sentito vecchio a 40 anni perché un giorno giocando a pallone ha scoperto di non riuscire a fare “la mezza rovesciata”.
    Un mio collega a 54 anni mi ha detto: “Quella mattina ho scoperto che firmando il registro non vedevo bene la casella della firma. Ho capito che dovevo cominciare ad usare degli occhiali”.
    “Sai Vincenzo – mi ha detto un altro – dopo i 40 anni se quando ti svegli al mattino non senti un nuovo dolore vuol dire che sei morto”.

    I figli non fanno invecchiare?

    Un mio amico poeta mi dice che lui è un eterno bambino. Sempre in cerca di avventure, di nuove passioni, alla ricerca del bello, dell’amore.
    Questo mio amico non ha figli.

    Io gli chiedo: “Amico, come va la pressione?”

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