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I miei primi… dieci anni (2). Le pagelle

di Pasquale Scarpati

Per la prima parte, leggi qui

Dunque, ho dato questo sottotitolo:
Le gloriose pagelle della scuola di una volta

La pagella di terza elementare dell’Autore      

Sul frontespizio di tutte le pagelle si legge:

  1. Figlio “di”… voglio chiarire: perché se il padre era defunto si scriveva “fu”( vigeva la “patria potestà”).
  2. La scuola elementare si chiamava Marconi (conserva lo stesso nome?)
  3. Non so se la via dov’era ed è ubicata si chiami ancora De Luca Vincenzo
  4. La data riportata è quella di alcuni giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico successivo (es. 29/9/1953) L’anno scolastico iniziava, infatti, il 1° di ottobre ed era costellato da numerose feste (già il 4 si festeggiava San Francesco: patrono d’Italia), soprattutto religiose (vorrà dire qualcosa?).
  5. Sul retro della pagella della 3a elementare c’è un bollo forse sanitario (vuol dire che avevo fatto la… “bona”? Il vaccino antivaiolo?).
  6. Non riesco a decifrare la firma del direttore (come si chiamava?)

Passando nello specifico delle singole pagelle, nell’interno, voglio porre in evidenza:
Nella pagella della seconda (così come in tutte):

a) – L’ordine delle materie: al secondo posto, infatti, (dopo religione) vi era l’educazione morale, civile e fisica. Di seguito il “lavoro” [Vorrà dire qualcosa per quei tempi?] Penso che questa mia domanda induca a qualche riflessione.

b) – Che fin d’allora dimostravo la mia scarsa propensione per le arti grafiche e la scrittura (sempre pessima. Dopo aver conosciuto il greco, l’ho autodefinita : “cacografia”: una schifezza o “zampe di gallina” come la definiva mio padre).

c) – In calce, a destra, la firma del maestro Totonno Scotti che ricordo volentieri pur essendo stato abbastanza severo (o tale è rimasto impresso nella mia memoria). Qualcuno ha un ricordo del maestro diverso dal mio? Si sa: i ricordi molto spesso sono un po’ evanescenti perché sono riposti in un cantuccio, laggiù in fondo, nella gerla che ognuno di noi porta sulle proprie spalle.

d) – Si nota che la valutazione era trimestrale ed i voti erano “secchi” senza alcun giudizio esplicativo.

Che forse, dico forse, gli insegnanti erano un po’ “avari” nella valutazione: difficilmente assegnavano voti alti! Forse perché il loro stipendio, come sempre, era” magro”? Forse perché anche loro si attenevano a quei duri tempi in cui scarziare (risparmiare) su tutto era un imperativo categorico? Ovviamente: nient’affatto. La valutazione scaturiva – sic et simpliciter (non si andava molto per il sottile) -, da ciò che l’alunno dimostrava e mostrava. A scuola, infatti, bisognava non solo portare i compiti fatti ma bisognava essere soprattutto “ordinati”: quaderni a posto, pennini, carta assorbente, colori, matite, niente inguacchi (scarabocchi, macchie di inchiostro, non superare la striscetta rossa del margine del foglio, un po’ giallino, di quaderno dalla copertina nera, ruvida) con l’inchiostro nero che stava lì nel calamaio nero inserito nel banco scuro (anch’esso!) di legno e, come tutti i mobili di pregio, “intarsiato” da chi vi si era seduto in precedenza ed anche da chi vi si sedeva in quel momento (i pennini questa funzione avevano!).
Ma perché tutto… nero?
– Reminiscenze di un recente passato oppure quello è il colore che dà una parvenza di serietà e soprattutto di severità? – Si è chiesto qualcuno.
Io, semplicemente, penso che è il colore dove lo sporco è meno appariscente! Ma l’inchiostro serviva anche per un carnevale che si protraeva tutto l’anno: viso a pois, gambe a pois. Da ciò scaturivano “balli” non voluti e per nulla apprezzati: mazzate anzi scellate (botte da orbi).
Ecco perché al secondo posto compariva: L’educazione morale, civile e fisica e al terzo posto il lavoro!Come nella scuola così nel mondo del lavoro dove ai piccoli apprendisti si chiedeva tanto, altrimenti subivano (nell’ordine): improperi, scappellotti, ceffoni, e alle brutte calci in c… Altresì nella scuola per gli alunni riottosi ricorrevano: bacchettate sul palmo della mano e perché no anche sulle nocche (spesso l’insegnante teneva ferma la mano dell’alunno per non far andare il colpo a vuoto: rischiava non solo di “sprecare” energie ma di farsi male a sua volta!), tirate d’orecchio; per noi anche tirate di basette.
Il poverino ritornava, mogio mogio, al suo posto scuotendo la mano rossa, dolorante o strofinandola sulla stoffa del pantaloncino corto. Sguardo triste o torvo nei confronti del compagno che l’aveva fatta franca. Ma soprattutto preoccupato perché se la cosa fosse venuta a conoscenza dei propri genitori, essi non si sarebbero precipitati dall’insegnante per protestare, ma gli avrebbero dato… il resto”.
Ma “stranamente” nessuna lacrima, né lamento se non, a volte, durante le bacchettate. Forse che le lacrime non esistevano? O forse si custodivano soltanto per il decesso dei propri cari?
Brutti tempi perché al bimbo era vietato piangere! Se piangeva era perché desiderava qualcosa come leccornie, caramelle, gelato o altro… Allora accadeva che, dopo essere stato strattonato, arrivavano sì le caramelle ma sotto forma di… ceffoni.
Qualche volta, ma solo qualche rara volta, veniva accontentato, altrimenti (si diceva): “Diventava… viziato e sbalestrato (indisciplinato)!

Le nonne, come sempre, erano quelle più… generose.
Struscianne i paposce (pantofole sdrucite e logore, risalenti alla generazione n…) casa casa, ’a scialletta grigia ’ncoppp’i spall’, i capelli grigi annodati cu’ tupp’ (cipolla), aprivano la “credenza” polverosa ed offrivano al nipote dagli occhi vogliosi nientemeno che: ’na bella fichesecca (una o due!) – eh sì! Di più avrebbero potuto provocare ’u pandeche! (mal di pancia violento con diarrea), ’na mustarda, ’nu sciusciu’ (lecca, lecca).
Ma, se il bimbo non si accontentava, doveva possedere l’abilità di “sgraffignare, rubacchiare” l’agognata leccornia. In tale occasione se la nonna se ne fosse accorta, avrebbe da una parte, un pochino ma non troppo, rimproverato il nipote: “Ehee… Non si fa” – ma dall’altra sarebbe stata intimamente contenta perché quello dimostrava “vivacità ed anche di… saperci fare”, capace di stare, in futuro, in mezzo alla gente.
Insomma non si dimostrava ’nu turz’ (persona tonta e da poco).
Educazione da…. Spartiate! (VI secolo a.C.)

In compenso, però, i bimbi potevano guadagnarsi (non si regalava nulla o quasi!) le leccornie, anzi esse letteralmente “grandinavano” dall’alto: i durissimi e “violentissimi” confetti degli sposi di cui ho già scritto. “Lieto romore”, avrebbe detto Leopardi.
Ma quando il bambino si faceva male anche da solo o dopo aver litigato con qualche compagno (botte o lanci di pietre), l’onnipresente “resto” si abbatteva sul poverino come ’a ionta (l’aggiunta) del pane. Quello, come il ladro, stava appostato in agguato, dietro l’angolo perché “Tu là non ci dovevi andare”… Tu “cu’ chillu llà nun c’he ’a i’ (tu con quello con ci devi andare)!
Come dire ’ncopp’u cuott’ acqua vulluta (sopra il cotto ci aggiungi l’acqua bollita! o mettere il sale sulla ferita!).
Nessuno andava a protestare dall’altro genitore né tanto meno si rivolgeva alle forze dell’ordine per questo. Solo e soltanto responsabilità soggettiva.
Poi, smaltita l’ira, eventualmente, una carezza! Il bastone e la carota? Il pianto era ammesso soltanto nell’inconsapevolezza delle fasce o per qualche siringa (puntura) obbrobriosa. Neppure per i nefandi clisteri!

Chiasso o ciucciaggine? Tutti braccia conserte sul banco! Qualche insegnante puniva l’alunno riottoso facendolo mettere in ginocchio dietro la lavagna oppure nel secondo caso lo poneva all’ultimo banco con le orecchie d’asino.
L’educazione o il riscatto, quindi, si svolgevano coram populo. Una sorta di sinergia o interdipendenza tra chi educava ( genitori, parenti, insegnanti, gente comune: tutti dovevano sapere) e gli “educandi”.
Ci si chiede: la sinergia tra le parti esiste ancora oggi? O si cerca e si preferisce demandare sempre e soltanto “all’altra parte” tra cui la scuola?
Ma perché si era così “duri”? Inconsciamente e sostanzialmente credo, per… paura. La medicina, ad esempio, non era progredita come quella di oggi per cui bastava una semplice caduta per “rovinarsi” per tutta la vita. A questo si aggiunge il costo delle cure comunque a pagamento in un momento in cui, purtroppo, c’era penuria di denaro.

La pagelle di seconda e terza elementare di Scarpati Pasquale (frontespizio e interno; in formato .pdf):

Pasquale Pagella 2^ elementare

Pasquale pagella 3^ elementare

I miei primi… dieci anni (parte seconda) – Continua

 

3 Comments

3 Comments

  1. silverio lamonica1

    13 Gennaio 2022 at 11:07

    Caro Pasquale, ho scoperto che abbiamo avuto lo stesso maestro di scuola elementare: Antonio (Tatonno) Scotti. Però essendo io un po’ più “grandicello” di te, frequentai la scuola elementare “Guglielmo Marconi” in via Parata (ora Palazzo del notaio De Martino) e poi nei locali della Torre dei Borbone fino all’anno scolastico 1951/52. Essendo io un ragazzino molto tranquillo, non ricordo di aver avuto mai punizioni “severe” da parte del maestro. Ricordo una sola bacchettata nel palmo della mano, perché non imparai a memoria una poesia. Ma fu più una carezza che una vera e propria bacchettata, che però moralmente mi fece ancora più male.
    Attualmente la scuola elementare (oggi primaria) fa parte dell’Istituto Comprensivo Carlo Pisacane, assieme alla scuola dell’infanzia (materna), alla secondaria di primo grado (media inferiore) e secondaria di secondo grado (Istituto Tecnico per il Turismo). Si tratta di un unico istituto “verticalizzato” che comprende i vari ordini di scuola ed è frequentato da oltre 300 alunni complessivamente.
    Gli uffici di dirigenza e segreteria si trovano nell’edificio di Via Vincenzo De Luca (già Via Parata) assieme alle classi di scuola dell’infanzia e primaria, solo provvisoriamente, in attesa che vengano ultimati i lavori al plesso scolastico di Santa Maria, Via delle Pezze.
    Il “nostro” direttore didattico si chiamava Vito Castronuovo, originario della Basilicata, se non erro. Allora le scuole elementari di Ponza dipendevano dal Circolo Didattico di Gaeta.
    La tua pagella di terza elementare risale all’anno scolastico 1954/55. Ebbene, quello fu l’ultimo anno che gli alunni della scuola elementare di allora, studiarono coi programmi del 1945, introdotti in Italia ad opera degli Alleati e l’ispiratore fu il pedagogista americano Carlton Washburne, della scuola del filosofo John Dewey, il quale si trovava in Italia a seguito delle truppe americane. https://www.museodellascuola.it/wp-content/uploads/2015/10/08-I-programmi-del-1945%E2%80%A8%E2%80%A8Programmi-di-studio-per-le-Scuole-Elementari%E2%80%A8%E2%80%A8PREMESSA-I-programmi-che-seguono-sono-sorti-dalla-necessita.pdf
    Spero di aver risposto, almeno in parte, ai tuoi quesiti.

  2. isidorofeola

    13 Gennaio 2022 at 18:45

    Quello che Pasquale definisce “bollo sanitario”, posto sul retro della sua pagella di terza elementare,se non ricordo male era un bollo che veniva emesso dal consorzio antitubercolare. La mia maestra elementare, Lola Ciorra Tipaldi, moglie del maestro Totonno Scotti, consegnava ad ognuno di noi che lo volesse, e dopo avere avuto autorizzazione da mamma e papa, un blocchetto contenente dieci bolli del costo unitario di dieci lire. Dopo qualche settimana veniva riconsegnato alla maestra il blocchetto vuoto e 100 lire del costo dei francobolli. Chi non li aveva “venduti” tutti riconsegnava il blocchetto con i francobolli invenduti e 10 lire per ogni francobollo che era riuscito a “piazzare”. Anche il parroco, don Michele Colaguori, parlava di questa iniziativa durante le “prediche” domenicali. Gli acquirenti erano mamma e papa, i nonni, gli zii; l’uso che se ne faceva era prevalentemente quello di attaccarlo sul retro delle lettere per “chiudere meglio la busta”; uno lo tenevamo quasi tutti attaccato sulla copertina di un quaderno a quadretti. L’iniziativa forse la ricordo per due – tre anni. Mi sembra che il compenso per tutti fosse una matita (nu’laps’).

  3. Pasquale

    14 Gennaio 2022 at 07:01

    Caro Silverio e lettori
    Grazie al vostro contributo, ricordo che una volta: a) La scuola fu tirata a specchio; b) gli insegnanti furono molto attenti a come vestivamo: grembiule in ordine, colletto e fiocco in ordine, calzini in ordine, capelli in ordine; c) già da alcuni giorni ci avevano fatto imparare la canzoncina: battiam , battiam le mani, arriva il direttor….. Insomma c’era quell’agitazione, anche festosa, dei grandi eventi. Era prevista la visita del direttore che non stava in sede ma veniva da Gaeta! Quindi un evento eccezionale! Ricordo anche che entrò brevemente in classe e , se non erro, indossava un vestito grigio chiaro, mi pare che non fosse alto, un signore di mezza età, dico mi pare. Frequentavo la 4 o 5 elementare! Di nuovo vi ringrazio e soprattutto mi piace questa bella collaborazione! Un caro saluto Pasquale

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