Scuola

Campa cavallo… (2). Domande, risposte, citazioni

di Luigi Maria Dies

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Per la prima parte, leggi qui

Adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his quae in usu habemus aut audiunt aut vident («penso che i ragazzi nelle scuole diventino stupidi del tutto, perché non ascoltano o vedono niente che abbia a che fare con la vita quotidiana»
[Dal Satyricon di Gaio Petronio Arbitro (27 d.C – 66]

Sono proprio i nostri ragazzi. Niente di nuovo sotto il sole.
Non fa eccezione lo stesso Encolpio, che mentre attacca le inefficienze dell’istruzione scolastica, si mostra affetto da tutte le tare tipiche dello scholasticus, lo studente delle scuole di retorica: il suo discorso è «una minestra di cavolo riscaldata» (crambe repetita), come Giovenale definisce le prove di eloquenza di cui sono capaci gli scolari, una di quelle che rischiano di uccidere ogni giorno i poveri professori nelle scuole.

Del resto anche Seneca, affrontando la questione dal punto di vista della filosofia morale, mette in guardia il discepolo Lucilio dai pericoli di una cultura segnata dal superfluo, che si perde nei rivoli di sottigliezze fini a se stesse («come in tutte le cose, anche negli studi soffriamo di mancanza di misura: impariamo la lezione non per la vita ma per la scuola» (non vitae sed scholae discimus).

Se ne ricava che, oggi, come nell’età del principato la scuola è lo specchio di una cultura priva di autenticità, irrimediabilmente lontana dalla realtà storica e sociale. Sembra un film già visto, con il finale scontato.
Si ripete ciclicamente ogni fotogramma del passato.
Eppure c’è il colpo di scena.
La storia dell’umanità tira fuori, in ogni epoca, dalle pieghe di tanti di questi miseri e sconfortanti scenari, improvvise eppure sempre attese figure di uomini che non si sono arresi.
Uomini destinati quasi sicuramente al martirio ma altrettanto sicuramente all’immortalità.
Fari che si accendono per non più spegnersi.
Il male trionfante, al contrario, ha una vita effimera.
Sarà esso stesso a divorare i suoi bassi eroi. Ed essi saranno cancellati dalla memoria dei popoli. E non solo i malvagi, con loro anche gli inetti. Evitiamo allora di assimilarci a queste inutili figure. Evitiamo di esservi associati dalle inutili domande che a loro poniamo. Gridiamoglielo in faccia o facciamoglielo sottilmente capire, poco importa, alla luce dei fatti, di quanta poca stima sono accreditati. Quanta poca fiducia ispirino.

“Studiamo”. “Lavoriamo”. Che sia di fino o che sia al bersaglio grosso, l’impegno concreto, l’esempio dato col sacrificio, potrebbe stimolare e sostenere lo spuntare di qualcuna di quelle figure salvifiche, oggi, tanto invocate ed attese.
Forse la scuola è a terra, anzi, senza forse. Ma non i giovani, cosi maltrattati in ogni occasione.
L’immagine dei giovani oggi esce distrutta in tutti i confronti con chi li vede crescere. Genitori, parenti, educatori, autorità morali e civili.

Riporto qui di seguito delle citazioni da un breve video di Franco Nembrini (1) del CMC – Centro Culturale Milano

“Una civiltà è tale quando riesce ad educare, far crescere e trasformare in forze positive giovani che altrimenti sarebbero solo destinati ad essere carne da macello per bande rivali, a divenire cioè polvere il cui unico destino può solo essere l’oblio”.

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La prima citazione: “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità e non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni. Non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola sono cattivi”.

La seconda: “Non c’è più alcuna speranza per l’avvenire del nostro paese se la gioventù di oggi prenderà il potere domani poiché questa gioventù è insopportabile, senza ritegno, spaventosa”.

La terza: “Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori: la fine del mondo non può essere lontana”.

La quarta: “Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore. I giovani sono maligni e pigri. Non saranno mai come la gioventù di una volta. Quelli di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura”.

È una tragedia in atto, una Caporetto. Il futuro che diventa buio totale? Niente di più sbagliato.
La prima citazione riporta parole di Socrate: siamo nel 470 avanti Cristo.
La seconda sono parole di Esiodo: 720 avanti Cristo.
La terza citazione, quella della fine del mondo che non può essere lontana, è di un sacerdote dell’antico Egitto: 2000 avanti Cristo.
E l’ultima è un’incisione su un vaso d’argilla dell’antica Babilonia: questa volta siamo a 3000 anni prima di Cristo.
Non è finito nessun mondo.
Finiscono gli imperi, i regni, le dittature. Finisce una storia ma non La Storia.
Non è che per questo dobbiamo essere meno preoccupati del presente.
Le citazioni non servono per ridimensionare i gravissimi fatti riportati dalle prime pagine di tutti i quotidiani italiani, ma per consentirci di non cadere nello sterile piagnisteo.
Accadrà sicuramente che sbocceranno ancora figure maiuscole.

Dare le colpe ai social, alla generica maleducazione o alla violenza dei giochi di ruolo, non serve a nulla. Serve riflettere sul fatto che l’antica Grecia, l’antico Egitto e la civiltà babilonese sono diventati tali perché hanno saputo affrontare e risolvere il problema educativo del loro tempo.
Ripeto.

“Una civiltà è tale quando riesce ad educare, far crescere e trasformare in forze positive giovani che altrimenti sarebbero solo destinati ad essere carne da macello per bande rivali, a divenire cioè polvere il cui unico destino può solo essere l’oblio”.
Rimbocchiamoci le maniche, quindi, e lavoriamo. Verranno uomini nuovi
Allora dovremo essere pronti ad affiancarli per quanto possibile per non farli sentire soli.

Concludo con la riflessione di chi eroe non è mai stato. Che ha il suo bell’osservatorio e, come tanti, protegge la sua finestra.
Possibilmente cerco di darmi stimoli positivi e pensieri propositivi. La speranza di squarciare le nebbie sempre più fitte che ci annichiliscono non verrà mai a mancarmi. Diciamo che, unico neo, vedo il futuro un po’ più lontano di quanto sperassi. Ci tengo a precisare alla fine che, qualunque siano le mie osservazioni critiche, fatte stando alla finestra, le ritengo volte prima di tutto a me stesso non sottovalutando di essere comunque, in questo panorama di varia umanità, in ottima compagnia. Vedo anche che nel cielo non potranno mai esserci solo stelle. Chi si illude al riguardo è un pazzo.
Però sono convinto che finché un solo  uomo continuerà a fare le domande giuste e soprattutto a farsi domande, per le tenebre non ci sarà mai il giorno del trionfo.

Nota

(1) – Franco Nembrini (1955) è un insegnante, saggista e pedagogista italiano. Dall’ottobre 2018 è membro del “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita” e dal 2020 è stato scelto come socio onorario e consultore dell’UCAI (Unione Cattolica Artisti Italiani).

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