Esteri

Europa – Resto del Mondo

segnalato dalla Redazione

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Segnati da preoccupazioni più impellenti e “domestiche”, è un po’ che sul sito non parliamo di Europa. Lo facciamo con questo bell’articolo di Bernard-Henry Levy, da la Repubblica di ieri 6 gennaio 2022

Il tricolore e la bandiera Ue
di Bernard-Henri Lévy

La polemica sul simbolo europeo all’Arco di Trionfo

Che è successo, esattamente?
La Francia si prepara, come succede ogni tredici anni, al suo semestre di presidenza del Consiglio europeo. Emmanuel Macron, per celebrare l’avvenimento, sceglie di illuminare la Torre Eiffel e il palazzo dell’Eliseo. Decide, per dare ancora più solennità all’evento, di far appendere una bandiera dell’Europa sotto l’Arco di Trionfo. Ed ecco i suoi avversari, che avevamo visto l’ultima volta, per i più agitati fra loro, intenti a incensare o sdoganare Vichy, che si scatenano urlando, chi alla profanazione del milite ignoto, chi all’oltraggio ai caduti, chi al reato di alto tradimento.

Sorvoliamo sulla cattiva fede di chi cerca di far credere, sulla falsariga della Grande Sostituzione, che la bandiera stellata dell’Europa abbia rimpiazzato quella tricolore (quando in realtà la bandiera francese viene esposta sotto l’Arco di Trionfo solo in rare circostanze, per esempio il 14 luglio). E non attardiamoci neppure a rammaricarci che gli stessi personaggi non abbiano protestato con altrettanta veemenza quando una folla di gilet gialli aveva imbrattato, saccheggiato e devastato il monumento.
La cosa più triste è che non si è trovato nessuno disposto a interrogarsi sul senso del simbolo o dell’avvenimento. Nel migliore dei casi, hanno rimproverato al presidente la sua imperizia. I più onesti, o i più bendisposti, hanno visto nell’iniziativa una provocazione, più o meno abile, per lanciare la campagna per la rielezione.

Ma che l’emblema stellato possa avere, nella Francia del XXI secolo, una funzione che non è quella di sostituirsi allo stendardo bianco, rosso e blu, che i due simboli non abbiano lo stesso status giuridico (uno è inscritto nella Costituzione, l’altro no) e che non abbia senso metterli in concorrenza fra loro, che possa esistere un buon uso dell’Europa e dei suoi emblemi per quelli che continuano a sentirsi legati alla nazione, ecco, tutte queste cose sembra che non siano venute in mente a nessuno.

Eppure è semplice. La nazione francese, in questi primi giorni del 2022, deve confrontarsi con una situazione che non può non rievocare quella in cui si trovò l’ultima volta, tredici anni fa, che ebbe l’onore di ricoprire la presidenza dell’Unione. Putin, come nel 2008, quando minacciava di occupare interamente la Georgia e trovò a sbarrargli la strada un Nicolas Sarkozy investito come oggi Macron della duplice autorità di presidente della duplice repubblica, nel senso in cui si parlava, ai tempi degli austro-ungarici, di duplice monarchia, minaccia di invadere l’Ucraina. Considerando che l’ex ufficiale del Kgb ha ponderato, ha riflettuto e ha imparato a mettere alla prova i suoi avversari, considerando che si è preso la Crimea, ha destabilizzato il Donbass e ha moltiplicato le provocazioni all’est del continente senza suscitare reazioni concrete, considerando che ha degli alleati solidi (Xi Jinping) o di circostanza (Erdogan) e considerando che gli Stati Uniti, contemporaneamente, hanno avviato un ripiegamento su larga scala di cui non si capisce se la responsabilità sia da attribuire a Obama, Biden o Trump, e di cui quindi non si può dire se si tratti di una fase provvisoria o di lunga durata, accidentale o strutturale, la minaccia, per tutti questi motivi, è forse più inquietante ancora che nel 2008.

E la realtà strategica di questo inizio 2022 dunque è che se c’è una minaccia esistenziale che pesa sulle vecchie nazioni europee, se l’Ungheria, la Polonia o i Paesi baltici hanno ragioni per preoccuparsi della propria sovranità e se i Paesi della seconda linea possono, come la Germania o la Francia, nutrire dei dubbi quanto alla perennità, per esempio, del loro approvvigionamento energetico, insomma, se la patria di Goethe, Hugo e Václav Havel è in pericolo, non è perché troviamo troppi visi abbronzati per le sue strade, troppi nomi stranieri nelle sue famiglie e troppi sventurati che muoiono di freddo nelle foreste confinanti, ma perché ci sono, alle sue frontiere, dei tiranni che odiano la sua civiltà, vogliono la sua rovina e la perseguono con tutti i mezzi, senza farsi scrupoli; e la realtà strategica è che di fronte a queste potenze ebbre di se stesse c’è una sola contro-potenza possibile: unire le nostre forze, mettere in comune le nostre risorse e stringere una grande alleanza dei nostri 27 Stati.

L’idea di Europa che veniva in soccorso delle sue nazioni era la tesi di Dante nella sua epistola ai fiorentini.
Era l’idea, nei dibattiti degli anni Cinquanta, di quelli, come Churchill o Schuman, che non volevano saperne né di un assoggettamento agli Stati Uniti né di un riarmo della Germania. Sarebbe stata la scommessa di Milan Kundera nel famoso articolo del 1984 che tutti citano in questi giorni, ma senza mai specificare che è nell’Europa che lo scrittore ceco vedeva la salvezza per le piccole nazioni sequestrate dal malvagio impero sovietico.
Ed è, questo contro-impero d’Europa, la sola risposta seria, proporzionata, credibile, alla crescente potenza dei mammut dell’imperialismo neo-russo e neo-cinese, alleati ai satrapi neo-ottomani, neo-persiani o di ispirazione Fratelli musulmani, che approfittano del minimo indietreggiamento degli occidentali per avanzare le loro pedine.

L’Europa non è una nazione. Il suo gonfalone, che è quello della democrazia liberale, non cancella né spergiura nulla. Ma è un simbolo che chiama a raccolta tutti coloro che non si rassegnano alla loro uscita annunciata dalla Storia.
Emmanuel Macron ha avuto ragione: pavesare di blu e di oro uno dei luoghi della grandeur francese è stata una prova di vitalità e di resistenza.

[Da la Repubblica del 6 gennaio 2022]

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