Cucina

Alimenti preziosi (2). L’olio

di Pasquale Scarpati

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Altro alimento prezioso, anzi preziosissimo, forse più del caffè era l’olio. Ovviamente anch’esso venduto sfuso (non poteva essere altrimenti: chi l’avrebbe mai comprato imbottigliato in bottiglie da litro o mezzo litro?).

In quel tempo anch’esso arrivava da Napoli in fusti da 200 litri. Uno dei rifornitori si chiamava Di Principe.

Scarrafone faceva rotolare il fusto sul basolato (i vvasule) della banchina tra rivoli d’acqua di pesce, nauseabonda e resti di mais (‘u granone) sparsi qua e là, o farina o crusca (‘a vrenna).
Velocissimo con le due mani e a volte anche con un piede gli dava una spinta. Ogni tanto si fermava perché quello, il fusto, prendeva una direzione non voluta: o, a destra, verso il muro e altri negozi e case private che insistevano sulla Banchina oppure, peggio ancora, a sinistra, verso il mare vicinissimo. In tal caso lo fermava un istante e gli dava una sterzata oppure, in movimento, agiva più velocemente con la destra o con la sinistra per fargli prendere la direzione voluta.
Lo sentivamo arrivare con un rumore sordo, pesante.
All’imboccatura del negozio bisognava alzarlo, metterlo in verticale e portarlo al suo posto agendo ora su un lato ora su un altro. Sforzo immane: ci volevano più persone. Io raramente partecipavo a questa operazione, anzi, essendo un po’ pericolosa, mi allontanavano.
Il mio compito invece, subentrava in seguito. Era un’incombenza di cui avrei fatto volentieri a meno. All’inizio era anche piacevole e guardandola sembrava facile a farsi, senza sforzo evidente anzi divertente. Poi però a mano a mano che si procedeva nel lavoro, diveniva sempre più pesante.

Dunque bisognava “pompare”, con una pompa a mano, a stantuffo color rame, l’olio da quel fusto in un altro aperto che serviva per lo smercio del prodotto.
La pompa era composta da due parti, una verticale ed un’altra orizzontale. Sulla colonna verticale c’era lo stantuffo con una maniglia, mentre la parte orizzontale serviva per riversare l’olio nell’altro contenitore di pari capienza: 200 litri. Poiché questa pompa era abbastanza alta, io dovevo salire su uno sgabello o su una cassetta. Poi agire continuamente sullo stantuffo. Con una pinza o leva si apriva il tappo di ferro che sigillava il fusto. S’introduceva in esso la parte verticale della pompa, poi…. su e giù, su e giù.
All’inizio il lavoro sembrava leggero, poi a mano a mano diveniva sempre più pesante sia per la stanchezza sia perché abbassandosi il livello dell’olio nel recipiente da cui si versava si faceva più fatica a tirarlo su e a farlo versare nel fusto ricevente. Ma non si poteva lasciare il lavoro a metà sia per non ostruire lo stretto passaggio sia perché il fusto lo si doveva restituire a stretto giro di nave (cioè la domenica successiva, quando la nave ripartiva per Napoli alle 7 del mattino).

…diventava sempre più pesante!

Intanto l’olio stava lì nel grande fusto da 200 litri. Intorno ad esso una serie di misurini: da 25 cl. a quello da litro, forse anche da 2 litri. Ma quelli da mezzo litro in su non si usavano mai: erano sporchi e sapevano di rancido con olio secco appiccicato un po’ dappertutto sui lati e sul fondo; quello da 2 litri, poi, per la vergogna si era andato a nascondere dietro qualche cartone o cassa di baccalà o non si sapeva dove!, mentre quelli più piccoli erano sempre lucidi e lisci come… l’olio. Questo perché i clienti pur venendo al negozio con recipienti capienti (da uno o da due litri) compravano soltanto un quarto d’olio o giù di lì.

Quando si versava dal misurino nella bottiglia, quello rimaneva capovolto nell’imbuto di ferro per un bel po’ di tempo perché neppure una goccia andava perduta.
Così avveniva in casa quando oramai l’olio nella bottiglia era terminato. La si poggiava in un angolo, capovolta, in un altro contenitore dalla bocca più larga e lì rimaneva per molto tempo. Però, quando al suo interno sostava il prezioso alimento, entravano in funzione il pollice soprattutto, o l’indice. Lo si poneva, infatti davanti all’imboccatura della bottiglia a mo’ di tappo. Poi dall’alto della pietanza da condire si volteggiava continuamente, come vespa o calabrone che gironzola e mai si poggia, ma di gocce ne cadevano ben poche.
Penso che, alla termine del lungo giro, il braccio era dolente ma l’olio era salvo! Sul pane, a volte, era versata una sola goccia che veniva spalmata, per l’intera fetta, con il dito (sempre lui!) e un pochino di sale.

Quando a casa mancava tutto si soleva dire: “uoglie e sal’ manca a’ cucina!”.
Che infatti negli anni a seguire, mai doveva mancare nella cucina di…
Pasquale

 

[Alimenti preziosi (2). L’olio]
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