di Amelia Ciarnella
Il nonno di mia madre era nato ricco, ma solo di terreni, poiché nei tempi antichi lo erano solo i proprietari terrieri. Però, appena nato, sua madre morì. Uno zio materno lo diede a balia ad una famiglia, con la quale crebbe e visse felice. La famiglia, che aveva solo due figlie femmine, si affezionò così tanto a lui che chiese allo zio di poterlo tenere, e lo zio che non vedeva l’ora di disfarsene acconsenti molto volentieri.
Il bambino rimase a vivere in seno a quella famiglia, che lo adorava, fino all’età della leva. Il padre “adottivo”, affezionatissimo al ragazzo, per evitargli di fare la vita militare e di conseguenza la guerra, andò a parlare con un colonnello, sperando ci fosse qualche “scappatoia” per farlo riformare. Il colonnello gli disse di fargli fare una bella corsa fino al luogo dov’era l’ufficio che stabiliva chi era abile e chi non lo era, così i battiti veloci del cuore potevano essere “interpretati” per una malattia cardiaca e ottenere così di essere dichiarato inidoneo. Arrivato il giorno fissato, il ragazzo cominciò a correre già uscendo dalla porta di casa sua e giunse trafelato nel suddetto ufficio, dove però trovò un altro colonnello che gli disse sorridendo: “Non c’era bisogno di correre tanto, avresti fatto in tempo lo stesso!”. Perciò lo fece tranquillamente riposare e poi lo visitò facendolo pienamente abile sia alla leva che alla guerra. Entrò quindi a far parte della squadra dei bersaglieri e a Roma partecipò con grande coraggio alla presa di Porta Pia, dove in seguito ad un’azione di valore fu anche decorato con una medaglia, per la quale ebbe una pensione a vita che gli permise di condurre una vita decorosa.
Poi la guerra finì e tutti i giovani del paese tornarono a casa meno lui, che se la fece comodamente… a piedi da Roma a Tufo. Si sparse quindi la voce per l’intero paese che Nicola era morto. Lo zio materno, che lo aveva dato a balia, fece una grande festa e trasferì a nome suo l’intero patrimonio del nipote, mentre la famiglia adottiva si vestì a lutto e lo pianse amaramente come fosse stato un vero figlio. Dopo un mese o forse più, la famiglia adottiva era come al solito nella propria fattoria, dove abitava, a costruire un covone di paglia, come generalmente usavano fare coloro che avevano diversi animali da accudire. Il padre, dalla sommità del covone, guardando in lontananza, vide un soldato che si avvicinava al casolare e aguzzando bene lo sguardo, disse alle figlie, che erano di sotto ad aiutarlo: “Quel soldato che si avvicina mi sembra proprio Nicola”. Le figlie guardarono anche loro e tutti insieme si misero a gridare felici: “E’ Nicola, è Nicola!” E cominciarono a strapparsi di dosso i vestiti neri a lutto che portavano, correndo incontro al “fratello” per abbracciarlo festose e fargli festa. Finito di festeggiare con un lauto pranzo il ritorno di Nicola, appreso del suo coraggio e della medaglia meritata nell’azione eroica durante la presa di Porta Pia, si passò ad informarlo, con molta cautela, di cosa aveva fatto lo zio per trasferire in suo favore le sue proprietà. Ma Nicola rispose soltanto di non volerlo mai più rivedere, cancellandolo completamente dalla memoria come fratello di sua madre. E non presentò nemmeno la denuncia, per evitare scandali e pettegolezzi, dichiarando che si contentava di quanto aveva, poiché aveva già tutto ciò che lo rendeva felice. Pertanto continuarono a festeggiare fino a sera e nessuno in paese si scandalizzò mai di nulla.
La vita riprese il suo corso fra lavori di campagna, piantagioni, vendemmie, raccolti e feste stagionali, con processioni che si ripetevano annualmente. Tutti godevano appieno ogni evento, in particolare i giovani che durante queste feste potevano ammirare meglio le ragazze nell’età da marito, poiché solo nelle feste usavano indossare l’abito più bello. E proprio durante una di queste feste Nicola conobbe Dorotea, una bellissima ragazza, della quale si innamorò e la sposò.
Il tempo passò e insieme al tempo la spensieratezza giovanile diminuì, a causa delle varie grane della vita che tutti prima o poi, dobbiamo sperimentare. Così dopo la grande felicità di Nicola e Dorotea per essersi felicemente sposati ed aver avuto tre figli, due maschi e una femmina (mia nonna), proprio nel darla alla luce, la povera Dorotea morì, lasciando tre figli piccoli e un marito disperato e annichilito dal dolore.
Così Nicola, dopo tante soddisfazioni ebbe la sua catastrofe. Rimasto solo e disperato, con tre figli da custodire e da proteggere, fu costretto a cercare una donna da sposare per tenere al sicuro i suoi tre bambini mentre lui era al lavoro. Sposò una donna senza cuore né affezione e fu un vero disastro. Certamente gli eventi della vita non si possono prevedere e il povero avo Nicola, con quella moglie bisbetica, se la passò davvero male. Non so se vissero sempre insieme, poiché né mia madre, né zii e parenti prossimi, la nominarono mai. Ricordo un solo commento fatto da mia nonna quando già aveva una certa età, che è tutto dire. Disse infatti riferendosi alla matrigna: “Se i miei sette figli dovessero avere una matrigna come quella capitata a me, preferirei vederli tutti morti!”
Dopo alcuni anni, l’avo Nicola acquistò un’intera collina con un casolare e di giorno erano sempre tutti là. Un casolare alla base della collina che ancora esiste e dove ha vissuto anche mia madre da giovane, fino a che si è sposata con mio padre. Ogni giorno andavano in campagna e vi rimanevano fin dopo cena. Solo dopo aver cenato e solo per dormire tornavano in paese. Questo perché a quei tempi l’acqua non c’era e si doveva prendere dai pozzi e se scarseggiava i proprietari non la lasciavano prendere da nessuno, poiché la tenevano soltanto per uso proprio. Mentre nella collina del mio avo Nicola c’erano due o tre pozzi tutti per loro e. oltre all’acqua e allo spazio, potevano avere tutto ciò di cui avevano bisogno a cominciare da ogni tipo di frutta, verdura, latte, formaggi, salsicce di maiale, funghi e perfino tartufi, che in paese nessuno ancora conosceva e nemmeno loro li conoscevano né li cercavano, soltanto i maiali li scavavano col muso sotto le querce e li mangiavano con gusto. L’unica regola fissata dall’avo Nicola era che tutta la famiglia dopo cena doveva andare a dormire in paese e nel casolare rimaneva soltanto lui, perché c’erano le mucche nella stalla insieme ad altri animali e di notte non li lasciava mai da soli per timore che li rubassero.
Trascorsero così molti anni, i nipoti diventarono grandi, si sposarono e lasciarono il casolare.
Anche mia madre si sposò e ci trasferimmo in Africa. Io non ho mai chiesto come è morto l’avo Nicola, anche perché c’è stata poi la guerra e non abbiamo saputo più niente.
Però è molto probabile che sia morto altrove poiché la nostra zona fu completamente evacuata proprio a causa della guerra. Ma ovunque sia morto – sono certa – avrà avuto nella mente e nel cuore soltanto la sua diletta moglie Dorotea, morta nel fiore degli anni, che lo avrà confortato negli ultimi istanti della vita aspettando la sua fine, per poter rimanere poi sempre insieme per l’eternità.