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Ponzaracconta mi ha dato ascolto e accoglienza; conosco ora il valore della rivista on-line, ma non conosco ancora l’isola che si adagia sul mare Tirreno.
Le isole, se non sono grandi come una regione, meglio un’intera nazione, mi fanno paura: temo sempre che vadano alla deriva nel grande mare come La zattera di pietra di José Saramago (romanzo pubblicato in portoghese nel 1986 e tradotto in italiano nel 1988) – conosciamo questo nome: così, Janglada de pedra, ha denominato la sua casa al fieno Antonio De Luca – ndr -, perdendosi mentre mi perdo anch’io, per sempre privata di un approdo sicuro.
E ciò malgrado la parte isolana – pantesca – delle mie origini.
Le sirene, al contrario, prediligono le isole; soprattutto le isole calde del Mediterraneo da sempre frequentate dagli dei.
Alla domanda (che ho sempre trovata curiosa, a dire il vero): – Se tu dovessi stare a lungo in un’isola deserta quale romanzo, saggio o racconto porteresti con te? – risponderei senza esitare Lighea, il racconto lungo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per il quale Feltrinelli scelse successivamente il titolo, troppo esplicito forse, “La Sirena” (l’opera fu pubblicata – postuma – dalla stessa casa editrice nel 1961).
Ho sempre amato le sirene, creature dall’identità incerta, doppia, perché le sentivo nell’infanzia – trasportata da un paese all’altro, da una lingua all’altra – vicine a me. Appartenevano al mare e alla terra come io appartenevo all’Italia e alla Francia! Sono ancora incerta e non amo le isole, forse perché non mi sono liberata del tutto di me stessa visto che, come ho letto in uno scritto del 15 ottobre sul sito, Place Identity: – Solo liberandosi di sé stessi si diventa parte dell’isola (Enzo Di Giovanni).
Se si cerca una definizione di queste creature, nate dalla fantasia umana, ma che possono diventare più reali del reale come vedremo in seguito, troviamo quanto segue: “Siréna, dal greco Seiren. Nella mitologia greco-romana mostro marino in forma di uccello o di donna con la parte inferiore di pesce il cui canto affascina i naviganti e provoca naufragi”. Le sirene sono percepite all’inizio come dei mostri dal potere malefico dunque, ma non sarà sempre così. Non posso non pensare alla dolcezza e al sacrificio della Sirenetta di Andersen.
La sirenetta. Copenhagen. Opera in bronzo di Edvard Eriksen
Stranamente il termine designa anche un essere di forma serpentina con branchie persistenti, un anfibio urodele americano.
Siren lacertina, fam. sirenidi
Quando vengono nominate le sirene, si pensa subito ad Ulisse legato all’albero della sua nave che, solo tra i suoi compagni, può allo stesso tempo ascoltare e resistere al canto ammaliante di queste creature.
Ma sui vasi greci, le sirene, Partenope, Leucosia e Ligea, figlie del dio fluviale Alcheloo e della musa della tragedia Melpomene, sono rappresentate come uccelli dalla testa di donna.
Un altro eroe incontra le sirene, ci racconta Apollonio Rodio (III secolo a.C.) nel suo poema Le Argonautiche: è Giasone, di ritorno dalla Colchide. Egli verrà salvato da Orfeo che si metterà a cantare una melodia più dolce del loro canto.
In questi due episodi le sirene sono creature malvagie, foriere di morte, che frustrate dal fallimento della loro seduzione si uccideranno.
Nel medioevo, esse subiranno una trasformazione: acquisteranno un nuovo corpo che sarà per una metà quello di una donna, bellissima, e per un’altra – dall’inguine e dai glutei in giù – quella di un pesce.
Alcune sirene dai bestiari medioevali
Una leggenda francese, trascritta da Jean d’Arras nel Roman de Mélusine tra il 1387 e il 1394 e tradotta in tedesco da Thuring Von Ringoltingen, ci descrive una fata andata in sposa ad un nobile, Raymondin de Lusignan. Questa fata nasconde un segreto: ogni sette giorni il suo corpo si trasforma, nella parte inferiore, in una coda di serpente che diventerà nelle interpretazioni successive la coda di un pesce. Pone pertanto al suo sposo un divieto: non dovrà vederla nel giorno in cui lei si chiude in una torre e non dovrà mai chiederle qual è il suo segreto. Ma ad ogni divieto corrisponde una trasgressione e come Orfeo, Psyche e Loth , Raymondin disubbidisce. Perderà la moglie e la sua vita sarà segnata da numerose sventure. La scrittrice inglese Antonia S. Byatt descrive così Melusina nel suo romanzo Possessione (Possession, a romance, 1990 ): – E lei com’era, la Fata Melusina? / dicono che, la sera, intorno al mastio / l’aria arruffi i vanni dispiegati / di una lunga larva volante, la cui coda sinuosa/e l’ali remiganti un varco s’aprono nel cielo lontano (…)
In araldica, la melusina (ormai nome comune) è un essere simile alla sirena ma non vive nel mare.
E’ curioso notare come la figura delle sirene – sempre con una pinna caudale – si trovi sopra i portali o sui capitelli di numerose chiese romaniche come la Pieve di Corsignano di Pienza e San Bartolomeo a Montefollonico. Una sirena bicaudata si trova sulla cattedrale di Otranto e su quella di Modena. Sulla basilica di Santa Croce prende posto ai lati della cornice tra una coppia di leoni. In Francia, in Alvergna, l’architrave del portale di Saint Michel d’Aiguilhe, vicino a Puy-en-Velay, è decorata da due sirene.
La sirena della chiesa di S. Croce a Lecce
La sirena bicaudata sulla facciata della chiesa di san Michele a Pavia
Per la chiesa le sirene sono sia simbolo della lussuria , sia simbolo della doppia identità di Cristo. Due simboli non si può più opposti!
Priva di morale, emblema di un eros liberato che incarna la gioia di vivere e la fusione della natura con la cultura è invece Lighea, la sirena di uno dei più bei racconti – a mio avviso – di tutte le letterature.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa incontrò la sua sirena al ritorno di una gita al mare nell’estate del 1957 e se ne innamorò al punto di trasformarla nel personaggio di un suo racconto. E come non incontrarla e non amarla in quel mare che è stato la ragione di vita di Ulisse che certo preferiva il viaggio alla sua isola.
John William Waterhouse (1849- 1917). A Mermaid
Nel racconto, la storia dell’amore che la sirena Lighea suscitò, abbagliandolo, nell’allora giovane laureato in lettere antiche Rosario la Ciura, all’alba di un rovente mese d’agosto del 1863, ci viene raccontata da Paolo Corbera di Salina. Paolo appartiene ad una famiglia illustre, è un giornalista alle prime armi, infedele ed incline a varie avventure.
Siamo a Torino, nel 1938, anno che annuncia un periodo molto cupo per l’Italia e l’Europa; anno in cui furono emanate le leggi razziali.
Paolo Corbera incontra Rosario La Ciura, ormai vecchio accademico e senatore, in uno squallido caffè. Tutto separa i due uomini: l’età, il modo di vivere e di concepire l’amore. Ma li unisce, all’inizio, l’amore per la loro terra d’origine così lontana, la Sicilia. Paolo è, infatti, nato a Palermo, ed il vecchio senatore è nato, nel 1863, a Aci Castello. L’illustre accademico si distingue per il suo “ senso vivace, quasi carnale, dell’antichità classica “.
Lentamente, tra questi due uomini così diversi si crea un rapporto di stima ed empatia reciproca che spinge Rosario La Ciura a raccontare l’amore provato, quando era un giovane bello come un dio, come si intravede in una vecchia foto, per un essere straordinario, nel senso profondo di quell’aggettivo.
L’oggetto della sua unica passione viene annunciato al lettore da numerosi indizi; un’osservazione sulla natura delle sirene nell’Odissea: – Nessuno sfugge e quand’anche qualcuno fosse scomparso le sirene non sarebbero morte per così poco; un verso di Shakespeare: – A sea changed into something rich and strange. What potions have I drunk of Siren tears? (1). E la descrizione dei momenti in cui, nel mare, egli ha intravisto dei corpi strani: – I pesci affiorano a pelo d’acqua nelle notti di luna e s’intravedono guizzi di corpi fra le spume luminose.
L’amore della sua vita, Lighea, si rivela così essere una sirena: – …sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta.
Per prepararsi al concorso accademico di Pavia, Rosario accetta di ritirarsi, per sfuggire al caldo della rovente estate del 1887, in una casetta che gli offre un suo amico, di fronte al mare di Augusta. Su quel mare, in una barca, mentre declama dei versi in greco, incontra l’essere che gli cambierà la vita. – Mi voltai e la vidi: il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare (…). Sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciavano intravedere denti aguzzi e bianchi.
Il suo sorriso esprime – soltanto sé stesso, cioè una quasi bestiale gioia di esistere. Perché è questo il dono che Lighea offre, insieme a perle rosa e pezzetti di corallo, al giovane umano che parla in greco, anche se in un modo meno arcaico rispetto a lei, mentre gli cinge il collo con le braccia e depone la sua sapienza e la sua sensualità insieme alla sua coda sul fondo della barca.
Con lei il giovane conosce un amore carnale e spirituale – descritto in modo vivo e passionale dall’autore – così intenso che non sarà più capace di amare nessun’altra.
E quando la sirena dopo tre settimane, in un’alba diversa di fine agosto, tra il vento e le nuvole di una tempesta, si dissolverà nel mare come spuma, a Rosario resterà per sempre il ricordo vivo di un’energia eterna.
Il racconto è così bello, così suggestivo che anche noi lettori, come Paolo Corbera, non mettiamo neppure un instante in dubbio l’esistenza di quella creatura che avremmo voluto incontrare perché Lighea è, allo stesso tempo la vita (unita alla morte) e la morte (unita alla vita) senza dolore.
Note
(1) – Un mare cambiato in qualcosa di più ricco e strano. Quale pozione avevo mai bevuto, fatta del pianto delle sirene
Immagine di copertina: Giulio Aristide Sartorio: La Sirena – Abissi verdi (1893). Galleria Civica di Arte Moderna e Contemporanea. Torino.
Tano Pirrone
21 Dicembre 2021 at 18:58
Cara Patrizia,
bello e suggestivo il cammino che hai fatto per giungere infine nelle acque dello Jonio mare e raccontarci la storia della sirena di Giuseppe Tomasi, innamoramento perfetto del professore La Ciura, nelle acque che Ulisse solcò, riuscendo a fuggire dall’ingannevole canto delle mitologiche incantatrici. Ulisse era troppo astuto per farsi ammaliare. La Ciura, no, non abbastanza. Attese per decenni, prima di tornare fra le braccia di Lighea. Ed ora abitano il mio pantheon personale, insieme con tutti quelli che seppero tanto amare o tanto pazientemente aspettare che giungesse quel momento.
Tano Pirrone
1 Gennaio 2022 at 10:33
Ho aggiunto oggi un commento ad un mio articolo di ieri, graziosamente subito pubblicatomi dalla Redazione, che parla di salvaguardia di specie animali (nostri parenti strettissimi) che corrono il pericolo di aggiungersi presto al grottesco uccello, simbolo dell’isola Mauritius, l’ormai scomparso Dodo. L’aggiunta consisteva nel dare notizie della ‘Berta’ (Calonectris diomedea), che emette un verso particolare: al contrario di quanto si pensa, le antiche sirene non erano mostri metà donna e metà pesce, ma erano per metà uccelli. Gli antichi Greci, sapienti navigatori e studiosi del mare, conoscevano molto bene le berte, loro compagne di viaggio, sapevano che le berte durante la nidificazione passano la notte sulle scogliere e con il loro canto notturno simile al pianto di un bambino, affascinano e spaventano. E così le sirene di Ulisse e del viaggio degli Argonauti sono creature simili a uccelli che seducono i marinai spingendoli verso gli scogli. Solo con i bestiari medievali la sirena si trasforma in un animale per metà pesce.