Scrittori

Fascisti (o antifascisti) non si nasce, si diventa

segnalato dalla Redazione

Fascisti (o antifascisti non si nasce, si diventa

segnalato dalla Redazione

 

Sul libro di recente uscita abbiamo letto con interesse questa testimonianza dell’autrice, Michela Marzano, dopo le critiche ricevute dalla destra. Così facciamo la conoscenza di un magistrato che partecipò alle commissioni per il confino…
Ai lettori la proposta di lettura e il giudizio.

CULTURA – Da la Repubblica del 9 dicembre 2021
Intervento della scrittrice dopo le accuse della destra

Non si nasce fascisti lo si diventa e nella maternità non esiste colpa
di Michela Marzano

 È stato un trauma scoprire che mio nonno ha fatto la marcia su Roma

Non mi vergogno del passato fascista di mio nonno. Anche se aborro il fascismo, non è questa la vergogna di cui parlo nel mio ultimo libro, Stirpe e vergogna.
Ciò che racconto è come i conti con il fascismo non siano mai stati fatti non solo a casa mia, ma anche in Italia. Ciò che spiego, è come i segreti di famiglia, con il passare del tempo, diventino cripte e avvelenino l’esistenza.
Ciò che narro è come la vergogna che io, come tanti, ci portiamo dentro sin da bambini, svanisce nel momento stesso in cui si riesce ad avere accesso alla propria storia e alla propria memoria. Lo dice bene Oliver Sacks: «Per essere noi stessi dobbiamo avere noi stessi; possedere, se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto».
Certo, non mi ha fatto piacere scoprire che mio nonno era stato un fascista della prima ora; che nel maggio del 1919 aveva contribuito alla nascita della sezione romana dei fasci di combattimento; che nel 1922 aveva partecipato alla marcia su Roma (sul sito leggi qui per il film) e a una spedizione punitiva contro la sezione dell’Avanti; che nel 1924, diventato magistrato, era stato il primo pretore in Italia a condannare una banda di minorenni solo perché cantavano Bandiera rossa; che nel 1939, facendo parte della commissione federale di disciplina del Partito Fascista, partecipò alle riunioni di una delle commissioni per il confino.

Cresciuta con un padre che mi ha insegnato che il fascismo è il male assoluto e con la voglia di battermi per la libertà e l’uguaglianza di tutte e di tutti, la scoperta del passato di mio nonno non poteva lasciarmi indifferente. Ma il cuore del mio libro non è tanto (o solo) questo. Il punto centrale è il rimosso. Il problema è l’oblio. Quel rimosso e quell’oblio che portano ancora oggi mio padre a negare il fascismo del nonno, e tante persone a credere che gli Italiani, in fondo, siano sempre stati “brava gente”.

Nel 2018, commemorando il Giorno della Memoria, il Presidente Mattarella ha avuto il coraggio di dire chiaramente che le leggi razziali (sul sito, leggi qui) furono la diretta conseguenza di un’ideologia, quella fascista, che si fondava sulla volontà di dominio, l’esaltazione della violenza, l’autoritarismo e la supremazia razziale. Ma quante sono le famiglie italiane che i conti con il fascismo lo hanno davvero fatto?

Quante persone hanno dimenticato o rimosso il passato?
Quando c’è rimosso, c’è un trauma. E quando un trauma non viene rielaborato, nonostante si cerchi di mettere un punto e andare a capo, si resta impantanati nel passato. Come scrivo a un certo punto nel mio libro: «Quando non lo si rielabora, il passato ci agisce. Se non si decide di farci i conti, lo si tramanda di generazione in generazione. Quando ci si illude di averlo rimosso, riaffiora. E prima o poi c’è chi, il conto, deve pagarlo». Allora sì, per tornare alla vergogna, è lei che mi ha impedito di diventare madre – avevo paura di non essere all’altezza, di trasmettere ai miei figli il mio male di vivere, di non essere capace, un giorno, di poter spiegare loro che non fosse solo per egoismo che li avessi fatti nascere. Ma questa vergogna non è affatto legata alla scoperta del fascismo di mio nonno, né tanto meno a un ipotetico legame tra ideologia e genetica, come si è letto su certi giornali – esattamente come non si nasce partigiani ma lo si diventa quando si scelgono i valori della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, così non si nasce fascisti, ma lo si diventa. Anzi, è proprio nel momento in cui ho fatto luce sul mio passato, che la vergogna è venuta meno. Ma per capirlo, forse, bisognerebbe essere consapevoli del fatto che, fino a quando non si riesce a rielaborare la propria storia, il passato rischia sempre di riacciuffarci, inghiottendoci e spingendoci a ripetere sempre gli stessi errori. 

Michela Marzano (Roma, 1970) è scrittrice, filosofa, editorialista de “la Repubblica” e de “La Stampa”. È stata parlamentare del Pd.
Ha pubblicato, tra gli altri, Volevo essere una farfalla (2011), L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore (Premio Bancarella 2014), Papà, mamma e gender (2015), L’amore che mi resta (2017) e Idda (2019). L’ultimo suo libro è Stirpe e vergogna (Rizzoli).

Dal risvolto di copertina (Ed. Rizzoli)
Michela Marzano intreccia il passato familiare alle pagine più controverse della storia del nostro Paese. Michela non sapeva. Per tutta la vita si è impegnata a stare dalla parte giusta: i fascisti erano gli altri, quelli contro cui lottare.
Finché un giorno scopre il passato del nonno, fascista convinto della prima ora. Perché nessuno le ha mai detto la verità?
Era un segreto di cui vergognarsi oppure un pezzo di storia inconsciamente cancellato? “Sono stata pure io complice di questa amnesia?” si chiede Michela dopo aver ritrovato una vecchia teca piena di tessere e medaglie del Ventennio.
Inseguendo il filo teso attraverso le vicende della sua famiglia, tra il nonno Arturo e il nipotino Jacopo, l’autrice ridisegna il percorso che l’ha resa la donna che è oggi, costellato di dubbi e riflessioni: il rapporto complicato con la maternità, il legame tra sangue, eredità e memoria, e quel passato con cui l’Italia non ha mai fatto davvero i conti.
Il risultato è uno spietato autoritratto che va molto al di là del dato personale, in questo Paese di poeti, di eroi, di santi e (così pare, ad ascoltarne i nipoti) di milioni di nonni partigiani, mettendo in luce la rimozione collettiva dell’humus fascista in cui affondano le radici di molti alberi genealogici. Tra romanzo e memoir, un libro dalla voce schietta e incalzante, che pur sospendendo il giudizio non smette di interrogarci e di invitarci a coltivare la memoria, perché “solo così si può sperare che certe cose non accadano più”.

Si è detto sopra di attacchi ricevuti da alcuni giornali:
Da Il Tempo
“L’assurdità di Michela Marzano: per la paladina della sinistra non devi fare figli se hai il nonno fascista”

Da Libero quotidiano
“Michela Marzano, delirio e vergogna: se hai un nonno fascista non devi fare figli, “puoi trasmettere qualcosa”

L’incipit di un lungo articolo di Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, leggo sulla “Repubblica” di oggi un articolo che Simonetta Fiori dedica all’ultimo libro di Michela Marzano, un romanzo che ha per titolo Stirpe e vergogna, titolo che allude alla “vergogna” che la Marzano ravvede nella storia della sua famiglia: il fatto che sia stato fascistissimo il suo nonno paterno, fascistissimo persino nell’esercizio della sua professione di magistrato.
Mi scuso con la Marzano se non ho ancora letto il suo libro al momento in cui mi accingo a scrivere queste note. E’ la parola “vergogna”, annunziata così enfaticamente, che mi colpisce. La vergogna di avere avuto in famiglia uno che ha creduto nel fascismo. Mi sembra una parola sbagliata.
Ne sta parlando uno il cui padre ha tenuto fino agli ultimi anni della sua vita una foto di Mussolini giovane appiccata al muro dietro il suo tavolo da lavoro… (…)

Mentre altre critiche sono state estremamente favorevoli:

– «Agli scrittori accade questo: aprono un cassetto e si trovano a frugare in un mobile intero, poi in una casa, infine nelle case di tutti. Michela Marzano lo fa in questo libro, il suo più autentico, feroce e compiuto» [Nadia Terranova, Tuttolibri – la Stampa]

«Intimissima e insieme pubblica, la ricerche di Michela Marzano si misura con i silenzi d’un Paese che non ha mai davvero fatto i conti con la sua storia» [Simonetta Fiori, la Repubblica]

«Un autoritratto spietato, utile a rileggere il passato per evitare di riproporlo senza averlo capito» [Alberto Orioli, Domenica – Il Sole 24 Ore]

 

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