Racconti

Le cucinelle di zia Olga e i mitilugghi

proposto da Sandro Russo

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Stimolati, per associazione, dal bel racconto di Enzo Di Fazio (leggi qui), ciascuno di noi potrebbe richiamare alla memoria episodi e figure importanti della propria infanzia.
Credo che abbiamo già scritto, mio cugino Franco (Zecca) o io stesso, delle cucinelle di zia Olga. Certo della zia ho già scritto per le sue non comuni passioni e capacità botaniche (leggi qui).

La casa dei nonni, quella della nostra infanzia, in una foto degli anni ’30 circa (dopo che era stata resa agibile la via Nuova con la costruzione dei tre archi di sostegno). La casa è quella con la bandiera, poco più in alto e a destra degli archi. Tra la casa e il cessetto c’era un lungo terrazzino scoperto che in una foto recente (v. sotto) si vede coperto. Al piano inferiore abitavano zi’ Antonio ‘i Luca e zi’ Angelina (i nonni di Antonio De Luca, “il poeta”) con il figlio Aniello, la ‘nemesi’ della nostra infanzia

Nell’infanzia povera e minimalista delle nostre estati ponzesi rappresentavano degli eventi. Era raro che stessimo in casa, d’estate, ma poteva succedere. In un giorno di pioggia per esempio. Potevamo avere tra i sei e gli otto anni io, e Franco due di più. E la casa dei nonni era quella ‘storica’, sopra la via Nuova, dove la cucina era ancora cu’ i fornacelle a carbone; non ho ricordo di una macchina del gas, in quella casa.
Allora zia Olga per tenerci buoni si inventava le sue magiche “cucinelle”.
Si metteva ai fornelli e cucinava solo per noi delle micro-porzioni di cose che sicuramente ci piacevano – tra cui le pizzelle fritte del raccontino di Filippo Bozzali (v. sotto)) -; apparecchiava su un tavolinetto a misura di bambino e – tra preparazione (laboriosa, con il nostro maldestro contributo) e “consumazione”, occupavamo tutto il pomeriggio.
Abbiamo pure già raccontato, credo, che qualche volta saliva dal piano di sotto, Aniello De Luca, di qualche anno più grande di noi attraverso la scala interna del terrazzino, e – si direbbe oggi – ci “bullizzava”. Spazzolava tutto in un batter d’occhi e se ne tornava giù… lasciandoci delusi e piangenti.
Ci poteva consolare solo la voce di zia:
– E nun ve pigliate collera… nun fa niente… Mo zi’ Olga apprepara’ n’ata vôta!

Non saprei… – potrebbe essere una ipotesi antropologica da discutere in modo serio e approfondito (e Pasolini certamente la sosterrebbe) – ma la gente di questi tempi è così stronza perché per i bambini non ci sono più persone come zia Olga e nonna Turidda del racconto – o anche ’a nonna Tummetella di Pasquale Scarpati o ’a nonna Silvia, di Silveria Aroma… Ognuno di noi ricorda una persona “faro” della sua infanzia, tutte figure che ci hanno dato un imprinting, sostituite – indegnamente, anzi turpemente – dalla televisione.

La stessa casa descritta nella immagine precedente, in una foto recente, presa d’infilata dalla via Nuova, sulla sommità della salita

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Ancora tratto da: “Amore per la cultura, la letteratura e la grammatica italiana” (Gruppo Facebook)], pubblichiamo questo breve racconto di ambientazione siciliana, che descrive una realtà molto vicina a quella che abbiamo vissuto  noi.

I mitilugghi
di Filippo Bozzali

Mia nonna Turidda non sapeva cosa fare per far piacere ai nipoti. Avrebbe fatto di tutto. E di tutto faceva. Ma non era un vezzo o uno sfizio che si passava per onorare al meglio il suo ruolo di nonna. No. Le sue giornate erano pesantissime, insostenibili direi oggi.

Sveglia all’alba perché c’erano sempre mille cose da fare in casa, per poi passare ad accudire gli anziani della famiglia: suoceri, genitori, zii. In famiglia non mancava mai un anziano da accudire! Come se non bastasse aveva la gestione di una bottega di generi alimentari, ricavata in una stanza dell’abitazione. “Casa e putìa” era l’antesignana degli attuali negozi “aperto 24 ore”.
Non aveva mai un attimo di riposo: quando la bottega era chiusa, bussavano a casa per le urgenze di routine.
Sì! Diventava urgente tutto, dall’acciuga salata alla pasta sfusa, dallo zucchero a pietra al sale.
Il marito, nonno Fulippinu, era più spartano degli spartani ed esigeva che tutti fossero come lui in famiglia.
La sua vita era stata dura, al limite e forse oltre la beffa. Aveva pochi ideali, ma sui suoi principi era inamovibile, assoluto, totalitario. Onestà e lavoro. Punto. Il tutto mirato al benessere della famiglia, un benessere fatto non di agi ma di pregi. In questa ferrea disciplina familiare, nonna Turidda trovava sempre lo spazio e il tempo di sgattaiolare e dedicarsi ai nipoti.

E una nonna di sessant’anni fa cosa poteva dare ai nipoti? Ve lo dico io, ve lo dico. Poteva dare un amore incondizionato, celato dietro frasi del tipo: “Chi ti piacissi manciari?”. Dentro quelle parole c’era la certezza assoluta che nessuna forza umana avrebbe potuto fermarla dal preparare qualcosa di speciale.
E qui entra in gioco la magia. Il qualcosa di speciale non aveva nulla di speciale. Era semplicemente… unico.
Se qualcuno la accompagnava alla “Carcara”, una piccola campagna a pochi chilometri di distanza, sullo stradale per Gela, allora significava forno a pietra, sbriula, sbriuluni, pane di casa e soprattutto “lanne”, teglie annerite dal carbone e dal fuoco, dove venivano infornate le “scacce”. Le scacce più buone del mondo.
L’improvvisazione non precludeva la bontà del prodotto finale perché gli ingredienti fondamentali per le scacce erano tutti a portata di mano: polpa di pomodoro in bottiglia, preparata ovviamente in casa, cipolla soffritta, prezzemolo, formaggio grattugiato e pochissimo altro ancora.
Le scacce di nonna Turidda, con pomodoro e cipolla oppure con prezzemolo e cipolla, erano vere e proprie dichiarazioni d’amore.
E quando non era possibile andare alla “Carcara”, c’era un ripiego di lusso, talmente di lusso da essere spesse volte preferito al più impegnativo forno a legna. Parlavo poc’anzi di magia. Ebbene sì!
C’è una parola magica che mi porto dietro fin da quando ero bambino: la parola magica è… mitilugghi.
La mitilugghia a Vittoria è la pizza fritta, la farina impastata e lievitata, stesa col “lasagnaturi” in piccole forme da cui non si pretende perfezione geometrica e fritta in padella. Stop.
Le varianti sono diverse: zuccherate diventano un dolce, oppure accompagnate con formaggi e salumi, oppure semplicemente cosparse con un pizzico di sale e mangiate calde, in allegria, in armonia. Queste ultime, con un po’ di sale e tanto amore, erano i mitilugghi di nonna Turidda.

 

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