Ambiente e Natura

Identità di luogo (3). Partiamo dalla casa

a cura di Sandro Russo

 .

Pare, con questa Place identity di aver scoperchiato un vaso di Pandora, o forse abbiamo dato un nome preciso a tante sensazioni confuse che già erano dentro di noi, che conosciamo bene: chi siamo noi in relazione al mondo che ci circonda.
E cosa c’è di più basilare della casa in cui si vive, che è impregnata di noi, contiene le cose che ci abbiamo messo negli anni… mobili, libri, oggetti di ogni genere.
Una mia amica scrittrice ha scritto tanto (ma mai completato né pubblicato) di un personaggio – Il Cartografo – che visita un paese distrutto da un terremoto: ha avuto l’incarico di effettuare uno studio preliminare in vista della ricostruzione a valle di un nuovo nucleo per la comunità sradicata. Visita il paese diroccato per farsi un’idea degli abitanti, della gente che ci aveva vissuto. E rimane invischiato in altre storie, tra i fantasmi che abitano ancora le case.

Il compito che ci ha assegnato Beatrice, la studentessa per la tesi (leggi qui), è estrarre l’essenza di Ponza, per simboli, segni grafici.
Sul tema voglio segnalare come come significativa questa intervista al musicista Francesco Bianconi, pubblicata su la Repubblica di ieri, domenica 24 ottobre, a firma Dario Cresto-Dina (anche in formato .pdf in fondo all’articolo).
La propongo alla lettura e alla discussione.

Francesco Bianconi (foto di Laura Villa Baroncelli)

Storie italiane. La vita di fianco a sé
Francesco Bianconi, cantautore
“Io, affascinato dalle case dell’orrore”
di Dario Cresto-Dina

– Le abitazioni sono i luoghi in cui gli uomini scommettono sulla loro felicità. Sono eventi morali, prima che architettonici
– Sono ossessionato da quelle dei thriller, credo perché sono un pavido: mi servono da allenamento contro le paure quotidiane

A 48 anni il cantautore Francesco Bianconi, fondatore dei Baustelle, è diventato solista, scrittore e curioso di case e delle anime che le abitano.
Questa intervista comincia con un micro racconto. «Un mio caro amico ha vissuto per anni con la compagna in una piccola casa di ringhiera a Milano. Lì hanno concepito un figlio, lì lo hanno visto crescere, lì sono stati felici. Dopo averne trovata una più grande, nel momento in cui stava per chiudere la porta di quella vecchia ha dato un ultimo sguardo in salotto e ha visto aleggiarvi una sorta di palla bianca, evanescente. Il mio amico non crede in Dio né agli spiriti ma mi ha detto una frase rivelatrice: non so che cosa fosse quella palla che galleggiava in mezzo alla stanza, ma sono certo fosse buona».

Lei vede le case come soggetti dotati di una vita propria?
«Mi hanno sempre affascinato perché intravedo in esse un significato ambivalente. Le case sono contraddizioni e in quanto tali, come ogni incarnazione di opposti, mi attraggono».

Che cosa intende per “contraddizioni”?
«Le case sono contraddizioni perché sono un modo dell’uomo di interrompere il flusso selvaggio del mondo, uno stratagemma edilizio per porzionare, delimitare il caos.
Una forma di controllo sull’incontrollabile. Un modo di rendere finito l’infinito, attraverso la costruzione di un recinto, uno spazio conoscibile dentro ciò che naturalmente è nascosto, o tendente all’ignoto».

Ma ogni casa rappresenta anche la costruzione di un mondo a parte.
«Direi meglio: un piccolo mondo. Come spiega Emanuele Coccia in Filosofia della casa (Einaudi; 2021 – ndr), le case non sono mai pura architettura, non sono mai soltanto mura, soffitto e pavimenti; le case sono fatte degli oggetti che gli uomini vi accumulano e sono fatte dei valori e degli investimenti emotivi che le persone applicano a questi oggetti, nella speranza di creare un proprio simulacro del mondo felice. La casa è il posto dove gli uomini scommettono circa la propria felicità. Sono artefatti psichici, eventi morali prima che architettonici. Per questo mi affascinano: possono contenere anime e modelli di vita, oppure, quando la scommessa con la felicità si perde, terrificanti fantasmi».

Qual è stata la sua prima casa?
«Il primo ricordo è la visione del soffitto della camera dei miei genitori, nella casa in cui sono cresciuto. Un soffitto bianco attraversato da una trave di legno scuro. Sdraiato sul lettone dei miei, guardavo i disegni dei nodi nel legno e vi scorgevo grovigli animali e vegetali mostruosi. Ogni volta i miei occhi formavano quadri che facevano paura e davano allo stesso tempo conforto. Sapevo che ero al sicuro. Sapevo che quei mostri erano immaginari, e che se anche così non fosse stato, almeno dentro a quella camera ogni male sarebbe stato sconfitto».

Durante l’infanzia aveva una sua casa segreta?
«Non ho mai costruito una casa sull’albero, ahimè, ma ho avuto lo stesso un’infanzia felice. La racconto anche nel mio ultimo romanzo, Atlante delle case maledette . Dove parlo di un bambino felice, timido ma felice, spensierato inventore di storie di animali e soldatini dentro una casa nella casa, cioè una stanza dei giochi all’interno della casa di famiglia in cui ho passato interminabili e meravigliosi pomeriggi di invenzione di storie insieme ai miei amici del cuore Marco e Michele. Era in uno spazio chiuso che riuscivo a viaggiare lontano, soltanto da lì partivo per il Polo, l’Africa Nera o Mompracem».

E gli incubi dove li tiene nascosti?
«Sono ossessionato dalle case rappresentate al cinema perché sono un appassionato di film horror, thriller e gialli. Credo che dipenda dal fatto che sono per natura un pavido, e quindi l’orrore al cinema, o nella letteratura, mi serve un po’ da allenamento per combattere la mia lotta contro l’orrore quotidiano».

Ha una sua classifica delle case maledette?
«Dario Argento è un maestro nel rendere le architetture parte integrante e attiva della narrazione.
Penso all’appartamento in cui avviene l’omicidio della medium in Profondo Rosso, a quel suo corridoio coi quadri e lo specchio rivelatore, ma anche Villa Scott nello stesso film, o l’Art Deco spettrale dell’accademia di danza in Suspiria. Villa Scott sono andato più volte a visitarla, perché ho passato un periodo della mia vita in cui mi trovavo spesso a Torino per lavoro.

Villa Scott a Torino; costruita nel 1902. Oltre a essere un mirabile esempio di Liberty torinese, è una delle opere di maggior interesse dell’ingegner Pietro Fenoglio. Nel 1974 l’edificio fu usato per alcune scene del celebre film di Dario Argento, Profondo rosso. Nella finzione del film l’abitazione non è situata a Torino, bensì nelle campagne intorno a Roma

Mi terrorizzano molto anche gli ambienti del film La casa dalle finestre che ridono, di Pupi Avati. Le case di Comacchio, le piccole chiese padane di campagna. Ma soprattutto c’è un luogo, in quel film incredibile, una specie di spoglia soffitta, mi pare, in cui il protagonista scopre un registratore con un nastro contenente le incisioni di voci deliranti.

La casa dalle finestre che ridono. Di Pupi Avati (1976). Copertina dvd

La casa (The Evil Dead) è un film horror del 1981, scritto e diretto da Sam Raimi. Il primo di numerosi epigoni

Ecco, è pazzesco, ma fin da ragazzino, molto prima di vedere quel film, un mio incubo ricorrente era sognare di entrare in una casa di campagna, grande, accogliente, salire all’ultimo piano e trovarlo sorprendentemente svuotato da ogni tipo di mobilio. All’interno di questo salone deserto, sul pavimento, trovavo un registratore a nastro.
Schiacciavo play e dagli altoparlanti arrivava una voce che bisbigliava parole incomprensibili. Poteva essere una lingua straniera, oppure un discorso registrato al contrario, rallentato, deformato: un demone audio. Mi svegliavo, urlando, in preda al panico».

E nei sogni belli come sono le sue case?
«Una volta ho sognato di arrivare al termine di un viaggio in macchina in una casa meravigliosa, con la mia compagna. Avevamo viaggiato per mesi e sentivamo che quello era il posto ideale per fermarsi, forse per sempre. Era una dimora sconosciuta che sentivamo familiare. Aveva una vetrata molto grande e una vista panoramica sulle montagne. Altre volte sogno alberghi, con porte misteriose che danno su altri mondi: suk nordafricani, corsie di ospedali, il palco del Teatro Ariston a Sanremo».

Lei lavora in casa. È stato un vantaggio durante il lockdown?
«Sono stato fortunato. Il mio studio è un appartamento in cui ho radunato tutti gli strumenti e dove tutto è collegato e pronto per cantare, suonare, registrare. È ormai una tana, un luogo sacro. Mi ha aiutato molto durante la pandemia. Riuscivo a lavorare e a concentrarmi senza farmi prendere dall’ansia. Ci sono stanze sentimentalmente più importanti in casa mia, la camera da letto e la cucina, per esempio, o la camera di mia figlia di otto anni, ma per quel che riguarda la parte creativa, il luogo in cui posso permettermi di perdere il controllo in pace, è il mio appartamento-studio».

Si definirebbe una persona stanziale o migrante?
«Sono una persona assolutamente stanziale costretta a fare un mestiere migrante. Viaggiare mi mette sempre ansia. Anche se devo prendere il treno e andare da Milano a Bologna.
Odio fare i bagagli, preparare le valige. Non mi muoverei mai».

Esiste la casa perfetta?
«La mia adesso si trova in una città. Qualche anno fa sognavo case di campagna. Adesso credo di avere bisogno della città. Sono tendenzialmente un solitario e ho bisogno forse di controbilanciare la solitudine con la certezza che da qualche parte intorno a me, a portata di mano, possa trovare gente assembrata in bar, cinema, teatri, club, musei, piazze, supermercati.
Sono in un periodo in cui ad esempio Milano, la città in cui vivo, mi sembra bellissima».

Da bambino come disegnava le case?
«Bianche, in un prato verde, il cielo azzurro, il sole che splende e un bell’albero fiorito accanto. Poi, all’ultimo anno di scuola materna, le maestre mandarono a chiamare mia madre perché erano un po’ preoccupate dal fatto che avevo cominciato a disegnare dettagliate scene di crocifissione: Gesù in croce al centro, e due centurioni ai suoi fianchi».

 

Nota
Il musicista Francesco Bianconi, 48 anni, cantautore, musicista e scrittore italiano, frontman del gruppo musicale toscano Baustelle. Nel 2020 è uscito il suo primo album da solista, Forever.

[Place identity (3). Continua]

Per gli articoli precedenti, leggi qui:
Di cosa parliamo quando diciamo “Identità di luogo” (Place identity).1
Identità di luogo (2). Un altro turismo è possibile

 

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