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Una canzone per la domenica (156). Miniera di Gianmaria Testa

di Enzo Di Fazio

 

L’avere avuto in famiglia, sia da parte di padre che di madre, dei parenti emigrati in America ha fatto sì che da piccolo sentissi spesso parlare di viaggi intrapresi per trovare fortuna oltre i confini dell’isola, di separazioni e di lontananze che non si colmavano mai se non nei rari rientri per lasciare testimonianze d’amore che si trasformavano, quasi sempre, in figli da crescere. Insomma quelle storie, epiche e affascinanti per certi versi, erano, per via dei sacrifici di cui si condivano, insegnamenti di vita carichi di valori. Soprattutto per una generazione come quella cui appartengo che, figlia della guerra, si preparava ad affrontare il tempo con la voglia di riscatto ereditata dai propri padri.

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Sarà per questo che ho avuto sempre un gran rispetto per coloro che emigrano lasciando la propria terra e i propri cari e che spostandosi per il mondo spostano il mondo… come dice Erri De Luca. Spinti dalla disperazione, che è tanta, ma in compagnia sempre di una briciola di sogno.

L’emigrazione è stata, e lo è ancora, un fenomeno tipico del sud del mondo. Lo è stato tanto per l’Italia negli anni di inizio secolo scorso verso le Americhe e negli anni della ricostruzione post-guerra e del boom economico verso le regioni del Nord. Ma lo è tuttora, anche se con motivazioni e obiettivi diversi, soprattutto per tanti giovani volenterosi di realizzarsi in quello che credono. Agli emigrati erano di norma riservati i lavori più umili e faticosi come quelli delle miniere.

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A quei lavori sono legate spesso delle tragedie come quella di Monongah, in West Virginia, o di Marcinelle, in Belgio, di cui abbiamo anche  scritto su questo sito (leggi qui [3] e qui [4])
La tragedia di Marcinelle è quella che ricordiamo forse di più per essere accaduta in Europa e per aver provocato la morte di 136 nostri connazionali tra cui anche dei ragazzi, per l’abitudine che c’era di addestrarli fin da piccoli a quello che poteva essere il lavoro del domani.
Ho visitato quei luoghi più volte per avere una sorella trasferitasi lì fin da quando si è sposata e ogni volta attraversandoli ho provato brividi da farmi accapponare la pelle.

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Le due torri della miniera di Marcinelle

La tragedia accadde nel 1956 proprio oggi 8 agosto. Non è perciò casuale la mia scelta di dedicare a quell’evento la canzone della domenica.

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L’ora della tragedia di Marcinelle

Le canzoni sono frutto di esperienze, di sentimenti, raramente sono banali. Il più delle volte parlano d’amore, di quello che fa soffrire e battere il cuore. Ma spesso scavano nell’animo umano raccontando di solitudine, di storie tormentate e di riscatti, quando lo scenario è quello dei luoghi di lavoro.

La canzone che propongo è Miniera, un brano a ritmo di tango, scritta nel 1927 da Bixio Cherubini e Cesare Andrea Bixio ispirati probabilmente dai viaggi degli emigrati di quegli anni o dalla tragedia che venti anni prima, a Monongah, aveva provocato nella miniera di carbone della Fairmont Company 362 vittime secondo le stime della compagnia, quasi mille secondo le successive ricerche. Centosettantuno erano italiane, provenienti tutte dal Meridione e tra di loro c’era anche un ponzese, Luigi Feola.
Il testo parla di un eroe, un giovane minatore dal volto bruno, privo di famiglia, un italiano forse, ma poteva essere di qualsiasi altra parte del mondo, che sacrifica la propria vita per salvare quella dei compagni. Tanto lui è solo, non ha nessuno a cui può importare la sua vita mentre gli altri hanno famiglia.

La canzone termina con un afflato triste offrendo all’ascoltatore un inusuale per l’epoca spunto sulle difficili condizioni degli emigrati italiani (da una recensione di Eddy Anselmi)

L’hanno cantata in tanti. Ho scelto la versione di Gianmaria Testa (1958-2016) sia perché trovo la voce di Gianmaria e il ritmo scelto ideali per questo canto intimo e accorato, sia perché ho avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo, emozionandomi, in un accogliente live music bar di Bruxelles, qualche anno prima che morisse.

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Gianmarco Testa, nobile cantautore, sensibile alle vicende umane ma soprattutto a quelle dei migranti di ieri e di oggi (bellissimo l’album Da questa parte del mare a loro dedicato) era nato in provincia di Cuneo da una modesta famiglia di agricoltori in cui era vivissimo l’amore per la musica e il canto. Prima di dedicarsi alla musica aveva fatto il ferroviere e da cantante era stato più volte all’Olympia di Parigi. Capace di trasmettere emozioni solo con la voce e la chitarra, il cantante degli ultimi se ne va, nel 2016, quando ha solo 57 anni.

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Il testo

 

Miniera
di Cherubini – Bixio

Allora che in ogni bettola messicana
Ballano tutti al suono dell’avaiana
Vien di lontano un canto così accorato
È il minatore bruno laggiù emigrato
La sua canzone è il canto di un esiliato

Cielo di stelle cielo color del mare
Tu sei lo stesso cielo del mio casolare
Portami in sogno verso la patria mia
Portale un cuor che muore di nostalgia

Nella miniera è tutto un baglior di fiamme
Piangono bimbi spose sorelle e mamme
Ma a un tratto il minatore dal volto bruno
Dice agli accorsi se titubante è ognuno
Io solo andrò laggiù che non ho nessuno

E nella notte un grido solleva i cuori
Mamme son salvi tornano i minatori
Manca soltanto quello dal volto bruno
Ma per salvare lui non c’è nessuno

Cielo di stelle cielo color del mare
Tu sei lo stesso cielo del mio casolare
Portami in sogno verso la patria mia
Portale un cuor che muore di nostalgia