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Paradosso Mediterraneo

 di Adriano Madonna

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Nell’ambito del fenomeno noto come tropicalizzazione del Mediterraneo, di cui abbiamo già avuto modo di parlare e che possiamo definire come una delle conseguenze più eclatanti dell’effetto serra sul nostro pianeta, ne avviene un altro sul quale desideriamo polarizzare la nostra attenzione. Sappiamo che quando una specie passa da un ambiente ad un altro con caratteristiche diverse, se è destino che sopravviva deve adattarsi alle nuove condizioni, quindi il DNA le conferisce nuovi caratteri, chiamati caratteri derivati, che tentano di soddisfare le esigenze di vita nel nuovo ambiente. Se il rimedio ha successo la specie sopravvive, se non ha successo la specie soccombe.

Attualmente, le specie di mari caldi che giungono qui da noi devono elaborare un adattamento di poco conto poiché trovano acque con temperature poco inferiori se non addirittura quasi uguali a quelle dei mari di provenienza e lo stesso vale per la salinità, dato che il 35 per mille di salinità media del nostro Mediterraneo è in crescita e si avvicina a quella dei mari tropicali e in particolare del Mar Rosso. Devono invece adattarsi le nostre specie, che, originatesi in un mare temperato, adesso si vedono esposte a temperature ben più alte. L’adattamento, dunque, non avviene nelle specie non native bensì nelle nostre specie autoctone. Mi sono preso la briga di dare un nome a questo fenomeno e infatti l’ho “battezzato” Paradosso Mediterraneo.

Si pensi che attualmente la temperatura delle acque superficiali del nostro mare d’estate può raggiungere e superare i 30 gradi centigradi, come quelle equatoriali.

Il riscaldamento delle acque del nostro pianeta, che, come sappiamo, è dovuto al global warming, a sua volta generato da un eccessivo effetto sera, presenta una serie di effetti negativi. Uno dei più importanti è la scarsa presenza di ossigeno in acque calde e, quindi, le difficoltà di respirazione delle specie che ci vivono. La fisica, infatti, ci insegna che la solubilizzazione dei gas nei liquidi è inversamente proporzionale alla temperatura di questi ultimi. In pratica, ciò significa, parlando dell’ossigeno, che più l’acqua è calda meno ossigeno contiene. A tal proposito, si tenga conto che in condizioni normali un litro di acqua di mare dello strato superficiale contiene 10 millilitri di ossigeno, ma con le attuali temperature estive la quantità di ossigeno si può abbassare sino a circa 0.5 millilitri per litro. Inoltre, il tasso di riscaldamento del nostro mare negli ultimi vent’anni è circa doppio di quello dei quarant’anni precedenti. La conseguenza è che molte specie, in particolare specie ittiche, cioè pesci, sono scomparse dallo strato d’acqua prossimo alla superficie. Ad esempio, i ghiozzi, pesci della famiglia dei gobidi che annoverano diverse specie (ghiozzo nero, ghiozzo rosso, ghiozzo geniporo, ghiozzo leopardo, ghiozzo dorato etc.), nel golfo di Gaeta e in acque limitrofe sono diventati rari mentre prima erano abbondantissimi. Alcune specie migrano verso profondità maggiori per sopravvivere, dove trovano acqua più fredda e più ossigenata.

Una nuova specie di crostaceo, sempre a causa del riscaldamento globale, ha colonizzato il Mediterraneo. Si tratta del granchio blu, scientificamente Callinectes sapidus, che proviene dall’America (America del Nord e Sud America), dove viene pescato in quantità grazie alle sue carni pregiate, al pari di quelle dell’aragosta e dell’astice.

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Questo crostaceo, che, come tutti i granchi appartiene al sottordine dei brachiuri, si può definire una specie cosmopolita poiché vive in ambienti con caratteristiche fisiche e chimiche molto diverse, tant’è che si trova addirittura nelle foci dei fiumi, permanendo tranquillamente in acque con salinità inferiore al 3 per mille. Il primo granchio blu osservato a Gaeta si deve al pescatore professionista Damiano Di Nitto, che lo ha trovato ammagliato nella sua rete e me lo ha portato. L’ho osservato, l’ho fotografato e l’ho liberato, poiché tutto ciò che è vivo e che passa tra le mie mani deve continuare a vivere. È, questo, un mio principio di uomo e di biologo a cui tengo fede.

Il mondo che verrà avrà una sua particolare biodiversità a terra e in mare, in gran parte data dall’ibridazione delle specie nostrane con quelle che giungono e giungeranno ancora da terre lontane. Ne vedremo delle belle ma non credo che siano belle.

 

– Adriano Madonna è biologo marino presso ECLab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università di Napoli Federico II

– Le foto sono state gentilmente fornite dallo stesso Autore del testo (ndr)

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Appendice del 22 luglio (cfr. commento di Adriano Madonna).

La copertina del suo ultimo libro (fronte-retro):

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