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Le tre K, il tempo e Ponzaracconta

di Sandro Russo

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Ero partito per rispondere all’interessante (e provocatorio) pezzo di Silverio Guarino (leggi qui [1]) sul tempo e sui ricordi, quando si è inserita, sullo stesso tema, una lettura altrettanto stimolante che mi ha portato ad allargare il campo e a trasformare il commento in articolo.

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Ho letto su la Repubblica di ieri l’altro, 16 luglio – la pagina è allegata in file .pdf in fondo a questo scritto – un’intervista a François Hartog (1946), storico e direttore della École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.

Dice Hartog nell’intervista (curata da Fabio Gambaro), e nel suo recente libro
L’Occident aux prises avec le Temps (Gallimard):

«Per definire il tempo, il mondo cristiano delle origini ha utilizzato alcuni concetti della cultura greca antica.
Kronos, il tempo che passa, quello della vita e delle stagioni. Kairos, il momento propizio, l’occasione da cogliere. E Krisis, che, specie in ambito medico, indica il momento critico, decisivo in un senso o nell’altro.
Nel mondo cristiano Kairos viene a designare l’incarnazione, che è il momento più importante. Cristo rappresenta il Kairos per eccellenza, l’inizio di un tempo nuovo che continuerà fino alla fine dei tempi, il momento della Krisis, del giudizio finale preceduto dall’Apocalisse. Il tempo cristiano delle origini è tutto inscritto entro questi due limiti, Kairos l’incarnazione e Krisis il giudizio finale. Il tempo che intercorre tra i due, Kronos, per i cristiani in fondo non conta, è una specie di presente senza sostanza caratterizzato dall’attesa della fine dei tempi».

Questi concetti hanno molteplici campi di utilizzo, per esempio si potrebbero applicare anche al particulare della vita umana (questo nell’intervista non viene detto; è una mia estrapolazione); tanto più che Hartog prosegue:

«In questo schema Kronos è stretto tra Kairos e Krisis. La storia dei secoli seguenti è quella della progressiva affermazione di Kronos (…). Da qualche decennio, infatti, la nostra relazione con il tempo è dominata dal presente».
E ancora più avanti:
« (…) Nell’epoca moderna, quando il futuro era l’orizzonte verso cui tendere, la storia aveva un senso e una direzione, al cui interno trovava una collocazione coerente anche il passato. Nel momento in cui il futuro perde forza e il tempo si riduce alla bolla del presente, l’accesso al passato si fa attraverso la memoria. E un modo per sfuggire al presente, ma senza una prospettiva futura. Il passato traumatico, quello della memoria, coesiste poi con il passato idealizzato nei cui confronti si prova nostalgia.
Nei due casi si resta fuori dalla storia, che invece, quando convoca il passato, lo fa a partire dalla prospettiva di un futuro verso il quale essa pensa che si debba andare. Le storie nazionali sono figlie di questo modello teleologico».
“A causa della pandemia, il nostro presente è prigioniero dell’incertezza…” – si dice ancora nell’intervista – “L’incertezza rende impossibili i progetti e la capacità di proiettarsi in avanti”.

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Con Ponzaracconta abbiamo edificato tutti insieme un formidabile mausoleo della nostra generazione, quella nata e/o collegata con Ponza, ma non solo.
Abbiamo eretto un monumento, più duraturo del bronzo Monumentum exegi aere perennius (Orazio, Odi, III, 30, 1) -; messo insieme una ricchissima testimonianza della nostra generazione. Alla vita e più in generale al mondo, dalla metà circa del secolo scorso al suo epilogo (il sito nasce nel febbraio 2011 e macina ricordi e idee da più di dieci anni); .
Chi eravamo, come ci divertivamo, quali erano le cose importanti per noi, la nostra storia immediata e i nostri maggiori (siamo arrivati a ricordare fino alle vite dei nostri nonni e citato qualche bisnonno); abbiamo testimoniato dei nostri giochi di bambini poveri (quando quasi tutti erano poveri); di come e con chi abbiamo imparato a conoscere il mare, ad andare sott’acqua, a pescare. Perfino (abbiamo scritto) delle canzoni che sentivamo e suonavamo; degli studi e dell’adolescenza / prima giovinezza di ciascuno. Anche dei primi amori…
Fino al trapasso di Ponza da isola di pescatori a meta turistica (la più recente pennellata di questo excursus storico nell’articolo di Franco De Luca [4]).

C’è tutto di noi negli scritti che hanno riempito queste pagine…
E quando per qualcuno il tempo è venuto, davvero abbiamo pianto la scomparsa degli amici, di parte del nostro mondo che scompariva; non sono stati “coccodrilli” di maniera.

Ma a leggere le nostre pagine, sembra che il tempo si sia fermato alla soglia del nuovo millennio.
I nostri padri (e nonni) che avevano vissuto i tempi delle guerre avevano una tensione ideale a noi sconosciuta.
Noi, abbiamo raccontato il nostro tempo, pur con le tante deviazioni che ci hanno illuso.
Ma a chi passiamo il testimone, adesso? L’appello non è individuale, ma collettivo; non sono in discussione la buona volontà dei singoli: il problema è più generale.
Sentiamo come un vuoto, tra le generazioni che ci succederanno… La “mancanza di futuro” accennata nell’intervista sopra-riportata, la sentiamo eccome!

Ma vogliamo dare la croce addosso ai giovani? E non è vero che la responsabilità maggiore dell’incertezza del nostro tempo l’ha avuta il Covid! Prima c’erano state le due guerre mondiali, poi la paura della Bomba, le guerre locali, l’Isis e l’11 settembre, gli sconvolgimenti e l’allarme climatico… il Covid è stato solo l’ultimo arrivato.
– Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta! – l’aveva detto già Paul Valéry (1871-1945) circa un secolo fa. Che antenne hanno i poeti!

La conclusione del mio scritto è aperta, nel senso che pone interrogativi su cui lavorare, per adesso senza risposta, per le quali sarebbero auspicabili altri contributi, uno scatto di ideazione e di entusiasmo.
“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” – diceva don Abbondio al cardinale Borromeo, ma di entusiasmo e fantasia i giovani hanno riserve inimmaginabili, e potrebbero stupirci!

 

L’articolo di Repubblica in file .pdf: Da Repubblica del 16.07.2021. Hertog. Tempo. p. 29 [5]

Nota
Gli antichi greci avevano quattro parole per indicare il tempo: χρόνος (chronos), καιρός (kairos), αἰών (Aion) e ἐνιαυτός (Eniautos). Mentre la prima si riferisce al tempo cronologico e sequenziale, la seconda significa “un tempo nel mezzo”, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale “qualcosa” di speciale accade, la terza invece si riferisce al tempo eterno e la quarta indicava un anno (da Wikipedia, sintetizzato).
Nell’intervista citata viene proposto con una certa forzatura il termine krisis (per qualche aspetto affine a kairos), introdotto da Ippocrate – Ippocrate di Coo, 460 a.C.–377 a.C. greco anche lui, considerato il padre fondatore della medicina – per indicare il momento critico in cui la malattia evolve verso la guarigione o la morte.