Ambiente e Natura

I crostacei

di Adriano Madonna

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Gamberi, granchi, aragoste, astici, magnose… Siamo nel mondo dei crostacei, un subphilum degli artropodi ai quali appartengono anche insetti e ragni, ma gli “insetti del mare” sono belli, colorati e anche prelibati a tavola!

È ributtante pensare alla mazzancolla e a qualunque altro croccante gamberetto come a parenti stretti dello scarafaggio, ma è proprio così: i crostacei che vediamo e ammiriamo sott’acqua e che gustiamo a tavola (dopo averli pagati a caro prezzo al mercato del pesce) appartengono allo stesso philum degli insetti, infatti, artropodi gli uni e artropodi gli altri! Si potrebbe dire, dunque, che i crostacei di mare, di lago e di fiume sono degli “insetti acquatici”. E qui gioca la magia dell’acqua: immaginiamo, infatti, proprio una mazzancolla oppure un astice come animali delle terre emerse mentre zampettano sul terreno: sarebbero delle “cose” orribili! Invece sono organismi marini e l’acqua li monda di ogni alone di ribrezzo e ne fa degli animali meravigliosi e colorati, oltre che prelibatissimi.

Gli artropodi sono il più grande philum del regno animale, costituito da organismi che occupano la dimensione terrestre, quella acquatica e quella aerea con gli insetti volanti. In pratica, gli artropodi sono dappertutto, benché la loro presenza non sia fortemente evidente a causa delle dimensioni minime della maggior parte delle specie costituenti il philum: cinque mosche in una camera sono praticamente “invisibili”, ma se ogni mosca fosse grande come una gallina?

Tutti gli artropodi, crostacei compresi, sono caratterizzati da un elemento comune, l’esoscheletro, quello che comunemente chiamiamo “guscio”. L’esoscheletro, che letteralmente significa “scheletro esterno”, è una sorta di scatola che contiene le parti molli e gli organi dell’animale. In sintesi, mentre i vertebrati hanno uno scheletro interno con funzioni di struttura di sostegno, gli artropodi hanno uno scheletro esterno che funziona come un contenitore rigido. Ma se fosse troppo rigido, “tutto d’un pezzo”, gli organismi forniti di esoscheletro sarebbero impossibilitati a muoversi, ecco perché questo “astuccio” presenta la caratteristica della metamerizzazione: è diviso, infatti, in metameri (o segmenti) tra loro articolati, come nei policheti e cioè nei vermi. In ogni caso, va precisato che i metameri del corpo dei crostacei rispetto a quelli dei policheti sono molto meno uniformi: in genere, gli artropodi sono formati da gruppi di metameri spesso fusi tra loro.

I crostacei
Granchi, gamberi, paguri, astici, aragoste, magnose, cannocchie… sono tutti crostacei, i crostacei più comuni che possa capitarci di osservare durante le nostre immersioni. Sono crostacei anche gli animaletti minuscoli dello zooplancton, che, nutrendosi di fitoplancton (la parte vegetale del plancton), sono i consumatori primari della piramide alimentare, così come sono crostacei i gamberetti che formano i grandi banchi di krill, di cui le balene fanno grandi spanciate. Insomma, proprio come accade con gli insetti della terraferma, sott’acqua i crostacei sono dappertutto, anche se le specie viventi sono solo quarantamila, quindi relativamente poche.
Prima di procedere oltre, esaminiamo in dettaglio com’è fatto un crostaceo.

Procedendo da “prua a poppa”, troviamo una zona cefalica (che comprende il capo), una zona intermedia e una terza posteriore. La prima zona, quella del cefalotorace, ha avuto origine dalla fusione della testa con i primi metameri della seguente zona segmentata e forma un gruppo unico, mentre la zona intermedia presenta, ben evidenti e articolati, i metameri. L’estremità posteriore della zona addominale termina con un organo che costituisce “la coda” del crostaceo, formato da lamine disposte a ventaglio, dette uropodi, con funzioni di propulsore durante le fughe veloci, quando l’animale si solleva dal substrato e naviga a tutto vapore in acqua libera.

Quello che abbiamo descritto è lo schema corporeo di un crostaceo tipo, che possiamo ritrovare nel gambero, oppure in un  astice o ancora in un’aragosta o in una cicala di mare, cioè in tutti quei crostacei di forma allungata e con il guscio articolato. Crostacei così conformati vengono definiti macruri e presentano una grande estensione dell’addome.

Al contrario, i granchi, definiti crostacei brachiuri, presentano un carapace di forma poligonale (una sorta di scudo) con un addome ridotto ripiegato in sotto. Elemento comune a tutti, gamberi e granchi, è il possesso di dieci zampe e, quindi, l’appartenenza all’ordine dei decapodi.

Continuando la descrizione del crostaceo tipo, notiamo due paia di appendici cefaliche (sulla testa) dette antenne. Al primo paio appartengono le antennule o prime antenne, al secondo paio le seconde antenne. Le antenne hanno diverse funzioni: ricezione sensoriale, alimentazione etc..

Dietro le antenne c’è un terzo paio di appendici cefaliche, le mandibole, seguite dalle mascelle, che si dividono in prime mascelle e seconde mascelle.

L’anatomia dei crostacei è certamente complessa, ma a noi non interessa procedere oltre: ciò che abbiamo potuto esaminare, infatti, ci è ben sufficiente.

Aragosta

Come respirano
Come respirano i crostacei? Nella fattispecie, come respirano il gambero, l’aragosta, il granchio?

Molti crostacei sono dotati di branchie di consistenza setolosa attaccate alle zampe, mentre altri presentano un sistema branchiale nascosto sotto il carapace. Qui troviamo un vero e proprio apparato respiratorio, dotato di una precisa funzionalità, dove sono presenti dei prolungamenti lamellari, gli scafognatiti, che si muovono in un canale per far circolare l’acqua sulle branchie del crostaceo. Quanto più forte si muovono gli scafognatiti tanto più veloce sarà la circolazione dell’acqua e tanto più ossigeno verrà captato dalle branchie. In ogni caso, nei crostacei è stato verificato un fenomeno comune anche a molti pesci e cioè la relativa importanza del sistema branchiale: i crostacei, infatti, così come alcuni pesci, riescono a ossigenarsi anche al solo contatto dell’acqua con l’epidermide. Il contributo branchiale, dunque, diventa essenziale in particolare nei casi di fabbisogno di ossigeno superiore al normale (ad esempio, quando il crostaceo nuota o si sposta velocemente, impiegando molta energia) oppure in casi di acqua con scarsità di ossigeno.

Cicaletta

Come si riproducono
 crostacei sono in genere dioici: sono, cioè, organismi a sessi separati (ci sono il maschio e la femmina), tranne alcune eccezioni, come i cirripedi, che sono ermafroditi.

Il maschio e la femmina si uniscono per la fecondazione delle uova: in alcune specie il maschio è dotato di un organo copulatore, in altre, invece, come i gamberi, la trasmissione degli spermatozoi avviene per mezzo di appendici addominali modificate, dette pleopodi. Gli spermatozoi entrano in contatto con le uova quando queste vengono emesse dalla femmina. Un volta fecondate, le uova vengono protette, a seconda delle varie specie di crostacei, con una incubazione in speciali camere oppure restando incollate ai pleopodi mediante una speciale sostanza adesiva.

Dall’uovo fecondato nasce un larva, il nauplius, un minuscolo “mostro” con un occhio solo e tre paia di appendici. Dal nauplius ha origine una seconda larva (quella dei granchi prende il nome di zoea), poi una terza (detta mysis) e, infine, la postlarva, che ha già le sembianze dell’individuo adulto.

Questa è la riproduzione tipica dei crostacei, ma si deve precisare che i fenomeni di adattamento hanno fatto sì che gli stadi larvali si siano in parte contratti, tant’è che lo stadio di nauplius avviene all’interno dell’uovo e la zoea si libera alla schiusa.

Dove si trovano
Si può asserire che un po’ tutti i crostacei che normalmente vediamo sott’acqua non amano molto la luce: è difficile, infatti, trovare granchi, gamberi, paguri in zone fortemente illuminate.

I granchi preferiscono la penombra e molti gamberi addirittura il buio, tant’è che diverse specie vivono nell’oscurità delle grotte, conducendo esistenza cavernicola. Tanto per fare un esempio, se andrete a Ventotene, fatevi accompagnare alla Grotta dei Gamberi: la vedrete strapiena di gamberi della specie Parapandalus narval, una delle più belle e colorate. Gli stessi gamberi di notte li troveremo al di fuori di grotte sommerse e cavità, perché il buio delle ore piccole li induce a lasciare i loro segreti rifugi. Altri gamberi, come la mazzancolla (Panaeus kerathurus), di notte vivono sepolti nel sedimento e di notte escono allo scoperto per procacciarsi il cibo.

Mazzancolla

Natanti e reptanti
I crostacei si dividono in due sott’ordini: quello dei natanti e quello dei reptanti, a seconda se hanno la tendenza a nuotare o a deambulare. Esiste una sorta di regola empirica riguardante i crostacei macruri per indovinare se ci troviamo al cospetto di natanti o di reptanti. La regola empirica è questa: quando l’addome è compresso e largo (quando lo spessore dorso-ventre della parte segmentata è minore della sua larghezza), si tratta di un reptante; quando, invece, l’addome si sviluppa più in altezza che in larghezza, siamo al cospetto di un natante.

La filogenesi
È interessante soffermarsi un po’ sulla filogenesi dei crostacei, ovvero sulla loro storia evolutiva. Una prima considerazione è la seguente: abbiamo fatto cenno alla caratteristica comune della segmentazione (metameria) tra artropodi e anellidi (policheti), quindi tutto fa supporre che nella storia evolutiva di questi due philum biologici ci sia qualcosa in comune e si è propensi a ritenere che forse “antichi anellidi” svilupparono l’esoscheletro grazie ad un ispessimento cuticolare abbinato a un processo di calcificazione. La maggior parte degli zoologi, quindi, pensa a un progenitore comune di anellidi e crostacei.

La controversia più importante sulla storia evolutiva degli artropodi sta nello stabilire se il progenitore sia stato uno solo (nel qual caso di dovrebbe parlare di phylum monofiletico) oppure se vi siano stati più progenitori (phylum polifiletico).

Nel primo caso, da un progenitore caratterizzato da corpo segmentato si sarebbe evoluta una sola linea di artropodi ancestrali; nel secondo caso, da più progenitori metamerici sarebbero stati generati diversi gruppi di artropodi secondo linee separate. Sia l’una sia l’altra teoria hanno dalla loro valide argomentazioni, ma non è stata ancora stabilita la verità. Certamente vi riuscirà, in futuro, la biologia molecolare con gli studi sul Dna, che daranno tante risposte anche a problemi molto più importanti, consentendo di sconfiggere le più brutte malattie dei nostri giorni.

Bibliografia

– Motta, Organismi marini, Università di Napoli Federico II;
– L.G. Mitchell, J.A. Mutchmor, W.D. Dolphin, Zoologia, Zanichelli; Barnes,
– Invertebrate Zoology, Philadelphia, Cbs College Publishing;
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– G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di zoologia, Università di Napoli Federico II;
– Rebach, Dunham, Studies in Adaption: the Behavior of Higher Crustacea, New York, Wiley, 1983;
– A. Madonna, Mare in tasca, Ireco;
– A. Madonna, La Grotta del Maresciallo, AliRibelli; G. Cognetti,
– M. Sarà, Biologia Marina, Calderini;
– J.M. Pérès, Oceanographie Biologique et Biologie Marine vol. I: La Vie Bentique, Presses Universitaires de France;
– Manton, The Arthropoda: Hasbits, Functional Morphology and Evolution, Oxford, Clarendon Press, 1977.

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– Adriano Madonna è biologo marino presso ECLab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università di Napoli Federico II

– Le foto dei crostacei sono state gentilmente fornite dallo stesso Autore del testo (ndr)

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