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La sfida di domani

di Francesco De Luca

 

Mi trovo sempre più in difficoltà ove tenti di confrontare le immagini di Ponza fino agli anni ’70 con ciò che vedo oggi.

Decisamente l’industria turistica ha modificato la ‘catena di montaggio’ e si muove con un affarismo ignoto agli operatori turistici degli anni addietro. Barbetta (Alberto Migliaccio), Temistocle, Amedeo ‘u barbiere, Luigi ‘u pitto, Giulio il pescatore (Morsella), Pippo, si muovevano con un fare più paesano, più aggraziato, più cordiale.

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L’invasione delle barche, nei pontili e nelle cale, sarà pure foriero di guadagno, ma l’isola è come sovraccarica della sua stessa ricettività.

Non indulgo alla nostalgia, né voglio propendere verso paragoni, la realtà fattuale va guardata negli occhi, capita e affrontata.

Guardata negli occhi, capita e affrontata. Ripeto i verbi per rimarcare come queste tre operazioni non vengono eseguite. O meglio, gli Uffici preposti a tal compito non lo fanno e i privati (gli operatori turistici) lo fanno ognuno col suo passato, la sua cultura, la sua visione. La conclusione è una bolgia.

Così appare a me la condizione e la conduzione del fenomeno turistico. Ora, mi si potrebbe obiettare: ma perché ti ostini a volere che si gestisca un fenomeno socio-economico-culturale come è il turismo? Perché rimarchi sempre la mancanza di una programmazione? In fondo, il turismo segue una regola tanto chiara quanto semplice: si muove liberamente in un sistema socio-politico libero (mercato libero). Obiezione fondata!

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In questo modo però bisogna attendersi le ripercussioni di tale ‘liberismo’. Ovvero, il depredamento delle bellezze, lo snaturamento del ‘clima isolano’, il sovraccarico di tutte le strutture sociali, nate per far vivere 3000-4000 persone, costrette a soddisfarne 10.000. Trasporti, fogne, acqua, elettricità, vivibilità, territorio, tutto, sotto uno stress da sovrappopolamento e da sfruttamento.

La sostenibilità ridotta a pura espressione verbale. E questo non per sacralizzare un principio e renderlo un feticcio, bensì per prospettare alla realtà isolana un futuro possibile.

Diversamente, corna facendo, ci sarà la catastrofe: prima quella naturalistica, poi quella sociale e infine quella culturale. Quella economica sarà gestita dai grossi capitali e non si manifesterà. Ma a danno della  ‘ponzesità’. Che comprende, non si dimentichi, anche la micro-economia, quella delle case in affitto, dell’affitto di una sola barca, dei motorini.

Dio mi salvi dal palesarmi uno iettatore, tanto più che spero di essere smentito dai fatti. Il rischio però c’è e dovrebbe trovare attenzione.