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Il gioco dei ricordi (4). I fuochi di San Silverio

di Francesco De Luca

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Questa rubrica l’ho iniziata per tentare di rendere più amena la lettura, appesantiti come siamo dalle notizie relative al Coronavirus.
In tanti mi hanno telefonato, e, anch’essi giocando coi ricordi, mi stanno pungolando affinché anche questi trovino spazio nel Sito.
Sono anonimi, e io ne sono il traslatore. In questo racconto la voce narrante è di una donna.
F.D.L

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Fuochi pirotecnici di una bellezza incomparabile. La conca del porto ora si illuminava di blu, ora di rosso, ora di giallo, ora diventava recipiente di stelline cadenti, tremolanti nel tempo che raggiungevano lo specchio delle acque. Di mille colori. In un attimo intrugliati a casaccio e poi una fiammata da sotto li sconvolgeva. Si elevava dal mare una colonna di fuoco e nell’ascendere si apriva a boccioli luminescenti, fino a raggiungere la sommità, e deflagrava in scoppi colorati.

Quell’anno i fuochi pirotecnici furono spettacolari. In verità, e per dirla tutta, è il contesto ambientale che ne amplifica la bellezza. La cornice del porto inghirlandata dalle luminarie rende i fuochi di san Silverio uno spettacolo. Giacché, a ben vedere, i soggetti e le forme dei fuochi sono sempre quelle: fiori che sbocciano, stelle cadenti, scie luminose che s’aprono in filamenti. Ma… il venti giugno a Ponza i fuochi pirotecnici che chiudono gli eventi del giorno, sono da non perdere.

Dopo… tutto il paese e i ponzesi e i villeggianti, e il clero e le autorità si concedono il riposo del sonno.
Questa è la dinamica normale. La quale però non viene tollerata dagli adolescenti.

Facevo parte di una comitiva. Quella della classe, 4^ ragioneria. Io legavo molto con Francesca, Amelia, Stefania. Stefania stava con Giuseppe. Il vicino di banco, pure lui dei nostri, era Roberto, anzi, Roberto cola-cola, e…
Ho capito, ci capiamo meglio se nomino i soprannomi.
Io sono Giulia sciué sciué, per via che mi attribuivano un’aria snob (ma non era vero!). Aveva cominciato a chiamarmi così Stefania… già in Prima Superiore. S’era accodato al gruppo, quella sera, Giuseppe, che allora le faceva il filarino. Lui portava un soprannome importante: Purpettone. Tutta la famiglia veniva distinta così. Amelia pure si portava dietro il soprannome della nonna: ’a Spagnola. Perché dalla Spagna aveva seguito il nonno, andato lì a pesca di coralli nel ’56 – ’57.

Quattro ragazze e due ragazzi. Ma poi si unirono altri ragazzi. Di solito attirati da me. Lo devo ammettere, ero la più bellina. Più alta, e quando mettevo la minigonna, qualcosa succedeva nei ragazzi.

Quell’anno per la sera di San Silverio misi la minigonna nera sotto una camicetta bianca, leggera, che mi donava. La compagnia si formò subito. Il percorso sant’Antonio-Porto lo facemmo… non mi ricordo quante volte. Così per sbariare. E le noccioline, e i mennule ’atterrate, e ora un pezzetto di torrone… insomma chi ci fermava di qua e chi di là. Anche perché Francesca non era da meno di me in quanto ad attrazione. Pure lei agghindata alla perfezione – sua sorella lavorava presso la parrucchiera nella Panoramica. E Amelia? Amelia era la più bassina, occhi neri, una collanina di coralli che si faceva notare, e una personcina ben arrotondata e carina. Di Stefania inutile parlare. Giuseppe e lei facevano mondo a sé.
Si accodò Silverio rocchettone, Giulio e Massimo. No… No Massimo ’u tarramoto, l’altro… Massimo Calisi.. Fu lui che, quando Michele Zarrillo iniziò Cinque giorni che t’ho perso, “Fermiamoci ” – disse.

Il palco era stato montato abbascie Mamozio, la canzone echeggiava per tutto il porto fino a Punta Bianca. Noi ci fermammo giù alla banchina Di Fazio. Silverio portò a volo un aperitivo. La canzone si snocciolava. Nonostante il frastuono intorno, la melodia e le parole ci bloccarono. L’atmosfera caotica circostante era difficile da arginare eppure… un sentimento riuscì a insorgere fra le risate, l’alcol e il trambusto. “Amore mio come farò a rassegnarmi a vivere ”, cantava Zarrillo e Massimo, fingendo di cadere, mi prese la mano. Un attimo. Non voglio essere melensa. Sono attimi che parlano. Io lo guardai, lui già guardava me.
La serata continuò in un crescendo di piacevolezze.

Dopo i fuochi però dovevamo lasciarci. Silverio rocchettone, così chiamato perché fanatico del rock propose: “Vogliamo andare a Chiaia di Luna?”
“Mica a fare il bagno” – intervenne subito Amelia.
“No… a vedere il cielo… – rispose Silverio – così… per fare una cosa nuova ”.
La proposta non trovò un’accoglienza calorosa, ma eravamo ancora storditi dai fuochi e non volevamo troncare di netto la serata.

Senza entusiasmo prendemmo la via per Sant’Antonio e poi la Panoramica. Avevamo fatto quella strada tante volte e il cunicolo non ci destava nessuna paura, anche se di notte.
La compagnia era affiatata, l’atmosfera dell’intero giorno era stata gioiosa. Scoppiettante per i botti, inebriante per l’alcol ingerito con i vari aperitivi, cocktail e spumanti.

[2]

Svogliatamente stavamo percorrendo il tunnel quando da una presa d’aria che s’apre nella collina uscirono tre o quattro, non so forse cinque persone che si avventarono su di noi ragazze. Io fui abbrancata da due. Uno alle spalle e uno mi prese la gambe e mi sollevò. Erano violenti e rozzi. Cercai di gridare, ma una mano mi tappò con forza la bocca. Non avevo nessun appiglio. Mi agitavo con le braccia e le gambe, ma erano tenute forzatamente ferme da quei due. Non erano ponzesi ma non saprei dire la loro origine perché più che parlare mugugnavano.

Tutto questo durò pochi minuti perché Massimo Calise e Giulio si scaraventarono contro i due e ingaggiarono una lotta. Diedero botte alla cieca. Soprattutto quello che mi teneva le braccia lottò con più forza. L’altro, nell’allentare la morsa alle gambe, si beccò pedate dolorose perché avevo i tacchi. Grida convulse venivano da tutte le parti, ciascuno si dibatteva, chi per aggredire chi per difendersi. I nostri amici si batterono come disperati.
Gli assalitori non s’aspettavano una reazione così, forse non se ne aspettavano alcuna. Chi sa… s’erano appostati in quel vano buio per abbrancare qualche ragazza poco accorta, da sola, ammaliata dalla notte e dallo straniamento della festa.
Io mi trovai a terra fra pietre e canne, mentre vedevo Massimo e Giulio che davano cazzotti a più non posso. Ottennero il risultato che i due, una volta persa la preda (che ero io), scapparono.

Solo allora vidi che pure Silverio ebbe la meglio sull’uomo che s’era buttato sopra Amelia. A quel punto tutti a dar mano a Giulio e a Roberto che cercavano di liberare Francesca dagli assalitori.
Scapparono anche gli altri.
Io avevo escoriazioni sulle gambe, Francesca aveva la camicetta strappata, Amelia e Stefania, pure loro qualche strappo, qualche ematoma. I ragazzi erano tutti malmessi ma gasati.

Tanta paura. Ma questo lo metabolizzammo nei giorni a seguire. Lì per lì sapete che facemmo ? Proseguimmo nel tunnel e arrivammo alla spiaggia. Il cielo infinito si aprì. Davanti il mare e il cielo, le onde e le stelle, il sereno della notte e il silenzio della spiaggia.
Stemmo un po’, ciascuno rimuginando la propria esperienza, con l’animo sedato dopo la tempesta.

L’indomani ci vedemmo e decidemmo di non esporre denuncia. Chiudemmo quel fatto in un angolo segreto dell’animo.

Qualche volta ne parliamo. Io con mio marito Massimo, con Amelia e il marito Silverio rocchettone. Stefania ha lasciato prima del tempo suo marito Giuseppe e insieme noi, per volare in cielo.
“Amore mio come farò a rassegnarmi a vivere…” canticchia Massimo con finta noncuranza.

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Immagini. Fuochi d’artificio per San Silverio (due foto di Silveria Aroma)