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Costumanze antiche. In certe famiglie…

di Sandro Russo

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Ho preso in prestito il titolo di un libro di Ernesto Prudente “Costumanze antiche”, del 1998, per mettere a fuoco quattro chiacchiere scambiate con mio cugino Franco Zecca e mio fratello Renzo.
Quattro chiacchiere – nel senso di lunghe telefonate e scambi mail / whatsapp, come si usa adesso – sulla Famiglia in generale, con esempi presi dalle nostre proprie famiglie, con ricordi sparsi.

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Il fatto è che leggiamo ogni giorno sui giornali di famiglie disgregate, di giovani sempre più problematici, di fragilità caratteriali che qualche volta si manifestano con una depressione maggiore e occasionalmente danno luogo a fatti violenti e irreversibili.

Premetto che non mi ritengo per niente un “nostalgico”; non indulgo a “t’arricuorde quanne…” né sono incline alla commozione sull’onda dei ricordi. Piuttosto considero la rivisitazione critica del passato una chiave di comprensione del presente e una indicazione su come agire. Siamo quello che siamo per aver vissuto in certi posti, in certe famiglie… e quei modelli comportamentali ce li portiamo dentro. Ciascuno dei lettori può trovare nella sua esperienza qualche analogia con le piccole storie che riporto qui.

[2]La casa dei nonni sulla via Nuova

Un primo esempio riguarda la mia famiglia ponzese, quella di mia madre, e si svolge totalmente nel secolo scorso.
Nei primi decenni del ‘900 il nonno Ciccillo (Zecca, ponzese da qualche generazione), mise su famiglia con nonna Natalina (fornese, “razza Romano” ’i vasci’u Campo). Fece più volte su e giù  con l’America a cercar lavoro e fortuna – ed erano tempi che il viaggio (in nave) durava svariate settimane – ma non si fermò e non pensò mai di “richiamare” la famiglia. Tornò sempre a Ponza. Ad ogni venuta metteva “in cantiere” un nuovo figlio e ripartiva. Non fece mai fortuna, ma fece sette figli; sopravvissuti sei: tre maschi e tre femmine.
È di una particolare consuetudine della famiglia che voglio raccontare; di essa ci hanno parlato profusamente mia madre e gli zii e forse l’usanza era diffusa anche in altre famiglie numerose.
Accadde che crescendo i figli, distanziati tra loro di due anni nell’arco di una quindicina d’anni (per le modalità del concepimento cui ho accennato), si stabilì una specie di collegamento interno tra loro, nel senso che ogni maschio si prendeva cura di una sorella, e le coppie si stabilirono naturalmente, per affinità. Consisteva in una cura che il fratello più grande aveva per una delle sorelle, con una maggiore “attenzione” ai suoi desideri e bisogni, in piccoli regali; una comunicazione più diretta …
E così zio Elio era legato a zia Olga e, essendo lui purtariell’ ‘i casa, lei era quella più curata, vestiva meglio e altri vantaggi. Zi’ Peppino era in coppia con mia mamma Giovanna e zi’ Biaggino (‘u maleditte) il più scapestrato e combina-guai doveva pensare a zi’ Rosaria …o avrebbe dovuto, ma la sua cura lasciava molto a desiderare, e infatti quest’ultima zia non se l’era passata troppo bene, da giovane… Lo ricordava ancora, in tarda età (…è stata l’ultima a lasciarci).

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Un altro esempio viene dalla mia famiglia paterna.
Mia nonna Sandrella (da cui il mio nome) rimase vedova a 26 anni (il nonno Antonio Marino non l’ho mai conosciuto; morì dopo essere stato ferito a S. Michele al Carso, nella Grande Guerra ); cosi la nonna rimase con i tre figli che aveva avuto fino ad allora (…e non si risposò): due maschi e una femmina: zi’ Uggenio (Eugenio), zi’ Angelina e mio padre (Amelio detto Emilio).
La famiglia di Cassino era molto numerosa e tra cugini erano molto legati (anche perché tutti si strinsero intorno a nonna rimasta vedova).
Mi raccontava papà che in famiglia si erano stabilite (anche qui) delle affinità elettive. Tra i tanti cugini, lui aveva un rapporto molto stretto con zi’ Michele. Papà diceva che questi rapporti erano così intensi che tra loro erano “fratelli-cugini”. Comunque il legame d’affetto doveva essere molto forte se papà, in tarda età, quando lo nominava – zio Michele era morto anni prima -, si commuoveva ancora. Una relazione del genere, quella dei “fratelli-cugini” è particolarmente sentita nelle Marche… che io sappia.

[4]Mondo contadino metà ‘900. La trebbiatura

Nell’esperienza di qualcuno ci sarà anche il caso di sorelle o fratelli con un legame molto forte, in cui il maggiore si prende cura del minore: come accudimento generale, protezione nel rapporto con gli altri; gli/le insegna a camminare e a nuotare, a legarsi i lacci delle scarpe… Cose minime, ma che lasciano impronte durature. Un rapporto molto forte che nell’età avanzata viene ricordato ancora con struggimento.

[5]Antico mondo contadino. La mietitura

Di questi legami familiari abbiamo parlato tra noi – con mio fratello e mio cugino -, per notare come sono diventati più laschi, si stanno perdendo all’interno della stessa famiglia. E di come mancano, come collante di stabilità, sicurezza e punto di riferimento affettivo.

Non c’è una morale… L’ho voluto richiamare alla memoria perché credo siano storie e ricordi di tutti.