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Il compito della cultura

di Francesco De Luca
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Il canto del gallo non può trovare relazione con l’umore del vicino proprietario del pollaio. Vivono in due piani diversi. L’indispettito chicchirichì proietta in una dimensione di piacere naturale, direi a pelle. Spezza la continuità coscienziale.

Una signora precede sulla strada, e si ferma. Il grido del volatile le fa alzare il capo a volerne cogliere la direzione di provenienza. Rimane sospesa. Il venticello si muove per lo stretto della stradina. È aggrumato degli odori delle erbe novelle, degli alberi da frutta e della ginestra. La donna socchiude per un attimo gli occhi.
– Come è bello, qui – dice.
Il compagno della donna, chiede all’isolano: – Vive qui?
– Sì – risponde Salvatore.

I due turisti tendono alla sommità della Montagnella mentre Salvatore è a due passi da casa. In lui il grido del gallo evoca le relazioni col vicino. Mai serene, sempre corrive, e gonfie di risentimento. Quanti diverbi per quel pollaio da cui esalano puzzi, se non viene sistematicamente pulito. E il vicino non lo fa perché lì, fino a pochi anni fa, era campagna. Oggi ogni proprietario ha chiuso la sua particella dietro muretti. E le grotte, una alla volta sono diventate mini-appartamenti. Adiacenti agli altri, e col desiderio di distinguersi per cura, colore, arredamento esterno. Quel pollaio è un guaio perché i volatili si muovono, rumoreggiano, si agitano. Quel gallo poi… del suo chicchirichì si farebbe a meno. Dà fastidio ai vicini e ai turisti.
Salvatore non lascia trasparire dal volto questi risentimenti, che nutre nell’animo e lo gonfiano di rancore.
Due valutazioni completamente divaricate. Ognuna supportata da ragioni autentiche e ognuna in conflitto con l’altra.

Identica similitudine potrebbe farsi se l’isola viene guardata con l’occhio di chi cerca il godimento nella e per la natura, oppure con l’occhio di chi macina rapporti sociali. istituzionali, privati, familiari, d’occasione e non.

La natura dell’isola presenta aspetti che possono definirsi invidiabili. A differenza di altre isole non è stata deturpata dal cemento, né dalla follia di farne meta di vacanze d’élite. Ponza è rimasta isola che si fa travolgere dalla ubriacatura dell’estate ma che poi in autunno riprende la sua sobrietà e lucidità. La lentezza della vita paesana, la diffidenza sociale si lasciano alle spalle il dinamismo estivo, col disordine e l’approssimazione. Ponza, lontana dall’estate, permette una relazionalità ‘sociale’ diversificata, personalizzata direi.

L’immagine che mi viene è quella dei falchetti quando, ad inizio estate, litigano nell’aria e gli stridìi evidenziano i volteggi, gli attacchi improvvisi, le rincorse aeree. Per un attimo polarizzano l’attenzione e poi, ognuno dei due gridando si allontana in direzione opposta.

Ponza ritorna ad essere non curata. Le strade sporche, i cassonetti stracolmi, le auto parcheggiate fuori luogo, le barche disposte ‘a dispetto’. La dimensione ‘civile’ dell’isola, quella istituzionale, quella governabile da procedure, ritorna carente, pesante, refrattaria a regole. La chiesa si sclerotizza nelle funzioni liturgiche, il Comune si isola negli uffici, la scuola si bullona nei programmi. E l’isola vegeta.
Su due piani: quello naturale, quello sociale.

Può darsi che abbia io una facoltà ottica distorta, che mi porta a questo giudizio. Può essere benissimo. La mia analisi vuole presentare un problema. Se si giunge alla conclusione che è la mia vista ad essere difettosa, sarò lieto di cambiare occhiali.
Ma parlarne, vedere le criticità, questo è il compito della cultura.

Immagine di copertina di Silveria Aroma