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I limiti della monocrazia

di Giuseppe Mazzella di Rurillo

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De Luca o i limiti della Monocrazia
Che la Regione fosse diventata un “Grosso Municipio”, come diceva l’ex assessore regionale Franco Iacono, o una “Grossa Banca” come diceva l’ex sindaco d’Ischia, Luigi Telese, era ormai assodato da anni.
Quello che doveva essere un “Ente Locale di legislazione e di Programmazione” secondo la legge istitutiva delle Regioni a statuto ordinario del 1970, cioè 51 anni fa , si è progressivamente ed incessantemente trasformato in un Ente di amministrazione generale fino ad arrivare a conflitti di competenza con lo Stato Centrale.

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I Presidenti delle Giunte Regionali sono stati appellati “Governatori” dalla stampa e sono scomparse le virgolette fino a diventare espressione corrente e nessun presidente regionale ha richiamato per sé la giusta accezione. Con la ventata della Lega Nord del senatore Bossi, una ventina di anni fa ormai, si avviò addirittura il “federalismo” nella distribuzione dei fondi statali con la minaccia della Lega di attuare la “secessione del Nord” con gli incontri di Pontida; con il paradosso che Bossi nei governi di Berlusconi divenne il “Ministro delle Riforme”.
Così negli ultimi venti anni e più abbiamo assistito – e subito come cittadini – l’incessante smembramento della “Repubblica unica ed indivisibile” con aumento non solo delle diseguaglianze economiche e sociali ma delle diseguaglianze territoriali tra il Nord ed il Sud.

Con l’elezione diretta del Presidente delle Regioni che aveva fra l’altro il potere di approvare ognuna una diversa legge elettorale, si è esponenzialmente elevato il potere del “Governatore”.
La Giunta Regionale era ed è nominata dal Presidente-Governatore ed è organo “tecnico” non più politico. Gli assessori non sono consiglieri regionali. Ci sono indicazioni dei nuovi partiti di governo per i nomi ma è il Governatore che decide.
Da un eccesso all’ altro. Siamo passati dal manuale Cencelli del dosaggio dei posti, alla completa discrezionalità del Presidente-Governatore.
In questo contesto normativo è stato marginalizzato il ruolo del Consiglio Regionale eppure avrebbe dovuto essere l’organismo supremo della democrazia locale poiché l’Italia è una Repubblica parlamentare non presidenziale ed il modello di Repubblica scelto dai Costituenti si estende (o si sarebbe dovuto) al decentramento amministrativo in Regioni, Province e Comuni.

Il Consiglio Regionale della Campania si riunisce poche volte all’anno per sedute spesso improduttive e l’unico atto che conta ormai è l’approvazione della Legge Finanziaria con gli stanziamenti e di fatto il potere di spesa, il più importante, è affidato alla Giunta. È stato già fatto notare – da una inchiesta su “Il Mattino” – che un consigliere regionale ha una indennità di carica di circa 10mila euro netti al mese ed altri “rimborsi” se è presidente di una commissione oltre alla discrezionalità della assunzione temporanea di un “collaboratore”. In Campania c’è un solo consigliere dei 60 (credo) che non ha altri rimborsi.

La pandemia ancora in atto ha elevato alla massima conflittualità il rapporto Stato-Regioni poiché la Sanità è materia delegata dallo Stato alle Regioni e così sono emerse le contraddizioni istituzionali tra il “federalismo” in imperfetta attuazione e l’“indivisibilità” della Repubblica con la tutela della Salute fissata dall’art. 32 nella piena competenza della Repubblica.

In Campania il governatore Vincenzo De Luca ha avocato a sé i poteri di gestione della pandemia con provvedimenti spesso in contrasto con il Governo e la stampa lo ha appellato “sceriffo” senza alcuna protesta. Così la Regione è diventata agli occhi del cittadino un “potere monocratico” gestito dal presidente-governatore-sceriffo.
Ma il “Governo del Territorio”, l’assetto territoriale, i provvedimenti di programmazione, sono rimasti invariati con i 500 Comuni della Campania protesi a chiedere soldi alla “Grossa Banca” o al “Grosso Municipio” piuttosto che leggi e piani urbanistici.

Il terremoto negato
Così se i poteri monocratici hanno permesso la gestione di una emergenza sanitaria gli abbandonati poteri legislativi della Regione non hanno permesso di avviare a soluzione alcuni problemi strutturali dei nostri territori. L’inutile assessore regionale all’urbanistica, arch. Bruno Discepolo, ha richiamato con “diffide” i Comuni ad approvare i PUC – Piani Urbanistici Comunali – a norma di una leggina regionale del 2004 e pur di avere uno straccio di Piano, la Regione si accontenta della approvazione comunale di un “preliminare” cioè di poco più e molto meno di un “documento di intenti” generico, improduttivo ed inefficace.
I PUC non hanno alcuna utilità normativa per le aree a vincolo ambientale come quella dell’isola d’Ischia poiché esiste uno strumento urbanistico “sovraordinato” che è il PTPPiano Territoriale Paesistico dell’allora Ministro tecnico Paolucci del 1995 che vieta qualsiasi modifica del territorio.

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Il conflitto istituzionale tra Regione e Stato è evidente senza dimostrazione in materia di assetto territoriale per le aree vincolate. Questo conflitto si aggrava in quelle zone colpite da aventi naturali.
Il terremoto avvenuto il 21 agosto 2017 a Casamicciola e Lacco Ameno e marginalmente a Forio resta “negato alla Storia ed allo Stato”, come direbbe Carlo Levi poiché non è stata avviata alcuna “ricostruzione” dei quartieri colpiti del Majo, La Rita, Fango le cui strade e piazze sono state ingabbiate con orribili impalcature di tubi di ferro. Non è stata avviata una “ricostruzione” degli edifici pubblici, delle strade e delle piazze pubbliche.
Si sono rivelate totalmente inadeguate la funzione e l’azione del Commissario Straordinario di Governo, il prefetto in pensione Carlo Schilardi, che si è limitato al pagamento del CAS (Contributo autonoma Sistemazione) ai circa 2mila sfollati ed a concedere ai Comuni fondi per l’“emergenza”.
Le “ordinanze per danni lievi e pesanti” sono state un fallimento. Inutile un costoso studio di “microzonazione”. Inspiegabile il ruolo dell’agenzia pubblica, Invitalia, di “consulenza” senza approvare un Piano di Ricostruzione.
Il Piano di Ricostruzione era ed è di competenza del Commissario – art. 17 del “decreto Genova” – ma la Regione Campania con l’insistenza del Vice Presidente e braccio dell’“intendenza” del Governatore De Luca, Fulvio Bonavitacola, ha voluto la “piena competenza” assegnata con modifica nel 2018 del “decreto Genova” ma in due anni non ha prodotto nulla se non una “richiesta di documenti” ai tre Comuni colpiti. Quindi allo stato attuale ci sono competenze sparse e non ci sono azioni. Sono state voci nel deserto sia la richiesta di una “legge speciale per Ischia” sia quella per un “Piano di assetto territoriale” per l’intera isola d’Ischia.

Rilancio, ma come? I privati fanno da sé
Nonostante un evidente disordine istituzionale – la Regione del governatore De Luca non ha approvato la proposta per il Comune unico dell’isola d’Ischia, l’ennesima, presentata e decaduta nella scorsa legislatura dalla consigliere Maria Grazia Di Scala non eletta nelle scorse elezioni – bisogna rilevare che c’è un enorme sforzo dell’imprenditoria privata per il rilancio di Ischia dopo la pandemia.
Le catene alberghiere più significative hanno riavviato parzialmente o totalmente i loro alberghi con grandi offerte di vacanze. Il sistema commerciale si sta riprendendo con nuove entrate di imprenditori e sarà significativa la nuova gestione dei Bar Calise a Casamicciola ed Ischia Porto che potrà rappresentare una svolta. Appare chiaro che il sistema economico fa da sé e non attende la manna dal cielo.

Resta tuttavia urgente sul tappeto la problematica istituzionale ed il rapporto fra enti locali. Bisogna passata la tempesta aprire una vertenza per l’assetto istituzionale dell’isola d’Ischia. Un sol Comune in luogo di sei; un comprensorio con Procida; una agenzia turistica pubblica; una presenza pubblica nel capitale sociale di imprese in sofferenza finanziaria; un unico piano di assetto territoriale che unisca “tutela passiva” e “tutela attiva” del territorio; un rapporto con il Continente con la “Città Metropolitana di Napoli”. Insomma un ritorno ad un sano “parlamentarismo” con la rivalutazione dei Consigli regionale, metropolitano e comunale e un opportuno ridimensionamento del potere monocratico del governatore-sceriffo con un riordino istituzionale e politico della Repubblica al tempo della velocità che ci è imposta dall’Unione Europea.

Giuseppe Mazzella, direttore de “Il Continente”
Casamicciola, 6 giugno 2021