- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

A fari spenti

di Francesco De Luca
[1]

 .

Con il 31 maggio 2021 si è concluso a Ponza il periodo dei ‘fanalisti’. Sono andati tutti in pensione i ‘guardiani del faro’, e i fari ponzesi sono privi di custodia. Il che vuol dire che operano, loro sì, col ‘lumicino’, ovvero con una luce di rappresentanza, per nulla funzionale al compito per cui furono istituiti e operanti. Ossia dare sicurezza ai marinai.

Quello della ‘Guardia’, il più importante, ha una luce di portata minima, perché la sua lampada è stata messa lì per non svergognare la mancanza. E’ da mesi che dovrebbe vedere i tecnici ripristinarne il funzionamento, ma da Napoli si fa finta di nulla. Segno che non se ne sente la necessità, anche se qualche pescatore, specie quelli ad alici, lamentano di non avere più un punto fermo nel loro inseguire di notte gli sciami di ‘acciughe’. Quello del Porto, chiamato ’u lanternino, non nasconde la sua presenza ‘di facciata’.

Fanalisti, venivano chiamati così in derivazione del nome comune attribuito al faro e cioè ‘fanale’. Ma, fra i tanti che la comunità ponzese ha espresso, ce n’era uno che veniva indicato come ’u lanternaro, ovvero l’uomo della lanterna. Era Filippo Vitiello fu Silverio, Filippo ’u lanternaro, come amorevolmente lo indicavano i concittadini.

L’ultimo ad andare in pensione è stato Silverio Montella, preceduto da Cristofaro Tagliamonte e, ancor prima, da Gianfranco Gagliano. Una triade che ha visto sostituita alacremente la tecnologia che alimentava i fari. Da uomini nelle cui mani era il destino degli ingranaggi da oliare costantemente affinché il periodo di luce fosse quello canonico, poi diventati funzionari buoni per redigere cartelle statistiche, e infine nullafacenti legati al telefono per segnalare guasti e riparazioni da eseguire. Frustrati per l’inconcludenza dei loro appelli.

Adesso sono in pensione. Lontani dai luoghi da cui dominavano la distesa del mare. A ricordare le ire dei venti che affliggevano le torri dei fari nelle notti di tempesta.
– Un rumore strano… come un urto improvviso… – Si andava, nel cuore della notte, a visionare le finestrine del faro, e poi la torretta.
– Nulla… tutto a posto!
– Ma no… c’è un airone sbattuto… sembra un airone… il vento l’avrà scaraventato contro il vetro.
– Tiralo dentro… vediamo se si riprende…

Il temporale imperversa. Atterrisce con tuoni e lampi. Gianfranco, Cristofaro e Silverio rimangono vigili e in attesa. Di cosa?
Un sibilo trapassa per l’intero caseggiato. Sembra uno sfrigolìo. Segue lo spegnimento d’ogni luce elettrica, e il rombo del tuono scuote pauroso.
Un fulmine è stato catturato dal parafulmine sull’alto della torretta. Si è irradiato per percorsi suoi che domani saranno evidenti per i danni causati.

Rosaria, la moglie di Cristofaro, si è rifugiata in casa di Maria Rita, la moglie di Gianfranco. Silverio Montella sta solo perché la moglie è momentaneamente con la madre a Formia.
Una notte da incubo. Svegli e preoccupati.

[2]

Il giorno dopo tutti gli abitanti della collina della Madonna si parlano da lontano, ognuno lamentando i danni del fulmine. A chi ha bruciato la parabola satellitare, a chi lo scaldabagno, a chi la caldaia, a chi il telefono.
Avete capito bene! Tutto il rione della Madonna, sul cui fronte, quello che guarda i faraglioni, si erge, netto nel suo biancore, il faro della Madonna, contornato dalle abitazioni dei fanalisti.

Una volta! Oggi sono case disabitate che l’Ente Fari farà deperire, come è esperienza comune di tutti i beni statali.

E io? Io, che vi abito vicino, ne sarò testimone. Ma non soggiacerò al ricordo deprimente. Mi vedo quotidianamente con Cristofaro in paese e si parlerà di quello che solleva l’animo. C’è pure il fratello Costantino, che mi lusinga e mi sfotte citando qualche mia poesia in dialetto. Mi vedo con Gianfranco, amico d’infanzia, di cui tutti ammiravamo l’altezza e i colpi di testa sotto porta, nel gioco a pallone.

Procediamo a ‘fari spenti’ ma non è notte e soprattutto, non ci solletica provare a vedere se ‘è tanto difficile morire’. Anzi.

[3]