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Pullecenella… Pullecenella!

Proposto da Sandro Russo
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Con la proposta dell’Aldilà di Lianella [2], le mie anticipazioni su Hereafter (l’Aldilà di Clint Eastwood) e le colte citazioni da parte di Tano, abbiamo scoperchiato un vaso di Pandora.
I lettori di Ponzaracconta è vero che scrivono poco, in compenso telefonano e mandano molti messaggi: tanti ne ho ricevuti infatti a proposito degli ultimi commenti che gira gira, hanno tirato in causa perfino Pulcinella (cfr. Commenti in coda al pezzo di Lianella).
Così ho pensato di approfondire un po’ e fare chiarezza su alcuni termini di non comune impiego. Perché se tutti conosciamo terminologia, figure e simboli della religione in cui tutti siamo cresciuti, la Morte accompagna l’uomo da ben più di duemila anni e di ciò nelle culture popolari è rimasto molto più che una traccia.
Una di queste è proprio la figura di Pulcinella (Pullecenella, in dialetto) e l’affermazione di Tano (e nel film di Pietro Marcello) che Pulcinella è una figura assimilabile ad uno psicopompo, non è poi tanto astrusa, anzi… è comunemente accettata.

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Nella mitologia e in religione, lo psicopompo è una figura che svolge la funzione di accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba. La parola “psicopompo” deriva infatti dal greco, composta da psyche (anima) e pompós (colui che manda).
Data l’importanza della formulazione della morte come “passaggio” (trasformazione) in molte religioni e mitologie, non stupisce che lo psicopompo sia in genere una figura di rilievo.
La figura dello psicopompo è una figura centrale in esse, fin dall’antichità.
Nelle religioni politeistiche si tratta quasi sempre di una figura importante del relativo pantheon. Avevano l’attributo di psicopompo Ermes ed Ecate presso gli antichi Greci, Osiride presso gli Egizi, Charun presso gli Etruschi, Lúg presso i Celti, Odino presso i Germani. Nel culto Vudù, esso è rappresentato dalla figura del Baron Samedi, divinità creata durante la deportazione degli schiavi africani nelle americhe.
Ma trova anche corrispondenze nelle religioni monoteistiche (talvolta per integrazione di miti antecedenti; si pensi per esempio al Caronte dantesco). Sovente è in coppia con un’altra divinità maggiore creatrice del mondo per cui lo psicopompo è un’entità neutrale, un messaggero dell’aldilà, una sorta di demone tra il mondo sensibile e il mondo sovrasensibile. Lo psicopompo non è quindi una divinità in senso proprio, poiché non giudica gli uomini ma si limita a traghettarli nel mondo ultraterreno (da Wikipedia, sintetizzato e riassemblato).


Che c’entra Pulcinella
La maschera di Pulcinella, come la conosciamo oggi, è stata inventata a Napoli dall’attore capuano Silvio Fiorillo nei primi decenni del Seicento, ma il suo costume moderno fu inventato nell’Ottocento da Antonio Petito. In origine infatti, la maschera di Fiorillo indossava un cappello bicorno (diverso da quello attuale), e portava barba e baffi.
Le origini di Pulcinella sono però molto più antiche. Le ipotesi sono varie: c’è chi lo fa discendere da “Pulcinello”, ovvero un piccolo pulcino per via del naso adunco; c’è chi sostiene che fosse stato ideato da un contadino di Acerra, Puccio d’Aniello, che nel ’600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese.

[4]Pulcinella. Soprannome di Puccio d’Aniello, luogo di nascita Acerra (Na), metà XVI sec. Contadino

Altri vanno ancora più indietro nel tempo, fino al IV secolo a.C. e sostengono che Pulcinella discende da Maccus, personaggio delle Fabule Atellane romane. Maccus rappresentava un tipo di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse, con ventre prominente, che indossava una camicia trasformata in una veste larga e bianca. Le Atellane furono un tipo di spettacolo molto popolare nell’antica Roma: potremmo paragonarle all’odierno teatro vernacolare o dialettale, apprezzate soprattutto da un pubblico di basso ceto (notizie sparse riprese da Wikipedia).
Pulcinella ha incarnato e continua ad incarnare il “tipo napoletano”, ancora oggi all’estero; il personaggio che, cosciente dei problemi in cui si trova, riesce sempre ad uscirne con un sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelando tutti i retroscena.

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“Il binomio maschera-soprannaturale trova il suo clou nella città di Napoli dove il culto dei morti è così venerato che il mondo dell’aldilà sembra che di là non sia mai andato e la maschera, in questo capovolgimento celeste, è quanto di più confusionario possa sembrare” (Giuseppe Strino; op. cit.).

[6]Pulcinella (dipinto su fondo blu), anni ’60, olio su tela cm 50×70, esposto da Chiancone anni ’30-anni ’80

Parliamo di Pulcinella (*).
Pulcinella esprime l’anima popolare di Napoli, incarna la plebe cittadina, l’uomo più semplice che nella scala sociale occupa l’ultimo posto, colui che,  pur conscio dei suoi problemi, nonostante le numerose bastonate dovute al suo parlare, riesce sempre a venirne fuori con un sorriso, come dire ‘muore e risorge’.

La voce stridula, gracchiante e petulante, la parlantina logorroica, incomprensibile e volgare, l’assenza di riservatezza, l’andatura barcollante ed ancheggiante, la postura raccogliticcia, quasi deforme, l’agire popolano, la forte autoironia, la parodia, lo sfottò, la carnalità ossessiva ed un po’ ambigua, l’essere un tutt’uno con il mistero e con il sacro. Il doppio senso sociologico ed osceno, la gestualità vivace e scenografica di Pulcinella rappresentano, senza paura di smentite, Napoli.
Attraverso la sua maschera, i partenopei hanno elaborato la più completa immagine di se stessi nella raffigurazione dei tratti socio-antropologici della città, della sua cultura, della napoletanità.

Pulcinella è da sempre il simbolo della coesistenza di opposti. È, al tempo stesso, imbroglione e altruista, pigro e pronto a tutto pur di soddisfare la sua perenne fame, povero servitore e combattente in lotta per una vita migliore. A volte è un ribelle, altre un pelandrone.

Pulcinella fa parte di una complessa dinamica culturale. La voce nasale ha uno stretto legame con il sacro, viene da un altro mondo, è il riflesso sonoro del parlare all’incontrario e introduce alle inversioni, ai capovolgimenti e all’ordinato disordine del mondo alla rovescia.
Rivela una particolare attitudine alla metamorfosi, ad uscire fuori di sé per dispiegarsi in una infinità di esistenze. Simbolo dell’identità individuale e identificazione collettiva, Pulcinella è il guardiano delle case e della città.

“È una figura liminale, tramite prezioso tra l’interno e l’esterno.
Oppure, associato al demonio, viene fatto nascere dalle visceri del Vesuvio, da sempre considerato mito della napoletanità, ma anche bocca dell’inferno e luogo di portenti, uscendo dal guscio di un uovo comparso per volere di Plutone sulla sommità del vulcano grazie ad un impasto fatto da due fattucchiere”.

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L’abbigliamento di Pulcinella consiste in una maschera nera col naso aguzzo, lucido e lungo, un camiciotto largo bianco, stretto in vita da una corda, sotto cui si intravede una maglietta rossa, pantaloni larghi, bianchi ed in testa un copricapo frigio bianco. Alla cintura porta un bastone o una spatola.

La maschera nera, emblema di morte, e l’abito bianco, nell’antichità, vestito di lutto, sono elementi simbolici che fanno riferimento al mondo dei morti, o meglio, al rapporto tra mondo dei vivi e mondo dei morti.

Pulcinella, il cui nome significa ‘piccolo pulcino’, quale gallinaceo è considerato ‘psicopompo’, capace di metterci in contatto con l’oltretomba, di far da tramite con essi; nelle processioni carnascialesche campane è la guida del corteo di maschere, ovvero, in chiave simbolica, è la guida psicopompa delle anime dei morti nel rito di passaggio primaverile. Il brodo di pollo nel “consólo” è il pasto rituale per eccellenza che si consuma in caso di morte di un parente.

Allo stesso tempo la maschera nera, il naso a becco, il mento prominente, il corno frontale, il cappello a punta e l’origine gallinacea fanno sì che Pulcinella venga assimilato al simbolo fallico per eccellenza, benaugurante nelle case e nelle famiglie, simbolo priapico e di virilità. È stato ritrovato un bastone bifallico nella cui parte centrale sono incise, a rilievo, sette mezze maschere pulcinellesche dagli enormi nasi priapeschi; sette come i giorni della settimana, per accentuare la forte attività sessuale del personaggio. È ancora in uso, parlando di Uomo molto virile, dire “Ten’e sette nas ’e Pullecenella”.

Quale può essere il simbolismo alchemico di questo magico personaggio che si può leggere come un libro senza parole?
Il colore nero, nigredo, la maschera, l’ignoto, l’oscuro, la morte, l’inizio dell’Opera.
Il colore bianco, albedo, l’argento lunare del suo abbigliamento, probabilmente di lino, simboleggiante il femminile, l’acquatico, l’iniziato, il sacerdote, la Luce, i raggi del sole, la Vita, la Fertilità, che ci indica il proseguimento dell’Opera al bianco.
Il bianco si collega anche alla figura del “Matto” dei Tarocchi, l’unico Arcano Maggiore privo di numero, e che, immancabilmente, s’identifica con Dioniso. È la rinascita.
Infine, sotto al camiciotto, s’intravede il rosso, simbolo del principio vitale, l’Eros trionfante e libero dei riti dionisiaci, che esprime quasi la fine nell’Opera al rosso, rubedo, colore abbinato alla primavera.

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Pulcinella incarna la rinascita della natura, la gioia di vivere, la Primavera che esplode forte e rigogliosa.
Nel simbolo, Uomo è colui che ha raggiunto la piena alchimia, l’equilibrio degli opposti, dopo aver attraversato varie peripezie ed essere sceso più volte nelle profondità degli inferi sapendo discernere bene tra i morti ed i vivi, operando per il bene comune dicendo il vero, facendo il finto con autoironia e buonumore.

 

(*) – In gran parte ripreso e condensato dal lavoro di Giuseppe Strino, docente in pensione, esperto di cultura, esoterismo e tradizioni partenopee. In: “Pulcinella, tra simbologia ed esoterismo” (https://www.expartibus.it/ [9] ) ].