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David vs Covid

di Tano Pirrone

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In ritardo, ma mai fuori tempo massimo, una originale carrellata di Tano Pirrone sui vincitori dei premi David di Donatello

 

David vs Covid, 11 maggio 2021

Lasciato libero dalle riprese della Traviata di Martone lo splendido Teatro dell’Opera di Roma, ha ospitato (parzialmente) la 66° edizione del premio David di Donatello.
In premessa devo dar conto del fastidio profondo nel vedere come certi stili ‘oscarioti’ fatti di smancerie e futilità (e di assurde rigidità ideologiche) non aspettano a riversarsi dalla ridondante americanità, inquinando l’eleganza tradizionale dei nostri riti italici. Detto questo, lo spettacolo cominci: commenteremo solo i premi maggiori e daremo subito notizia dei due Donatello assegnati per meriti speciali: quello alla carriera andato a Sandra Milo, e quello speciale a Monica Bellucci. Sono entrambi giustificatissimi e rendono merito a due donne del nostro cinema che con volontà ferrea hanno voluto essere ciò che sono diventate: due simboli riconosciuti del cinema italiano.

Miglior film e migliore regista. Premio assegnato a Giorgio Diritti per Volevo nascondermi, storia di Antonio Ligabue, buon film, ma io nell’occasione ho voluto rivedere Ligabue lo sceneggiato televisivo del 1977 con Flavio Bucci per la regia di Salvatore Nocita (e con Andrea Ferreol, una Cesarina senza possibilità di confronto con quella di Diritti, Pamela Villoresi, Renzo Palmer e Alessandro Haber). Devo dire con sincerità, che pur apprezzando il lavoro di Giorgio Diritti, di Elio Germano (migliore attore protagonista, nella parte di Ligabue) e di Aldo Signoretti (migliore acconciatura), continuo a preferire il bel film, asciutto, scarno, senza ridondanze in cui Flavio Bucci giunge in una recitazione di bellezza assoluta senza trucchi o mascherature, ma solo con l’artifizio della recitazione e la mimica.
Se avessi deciso io, avrei premiato Le sorelle Macaluso l’ottimo film di Emma Dante, perfetta trasposizione cinematografica dell’omonimo spettacolo teatrale, capace di dimenticare completamente gli schemi e le ragioni del palcoscenico per approdare ad una resa filmica di primordine. Questo vale anche Hammamet (leggi qui, sul sito), di Gianni Amelio, coraggioso ed efficace nell’aggredire una materia ancora spinosa ed un personaggio ancora assai controverso. Ma vince chi vince.

Miglior regista esordiente. Duplicando il successo di Venezia, il premio è andato molto meritatamente per il film I predatori, al giovanissimo e ambizioso Pietro Castellitto, figlio d’arte munitissimo di temperamento, capacità e cose da dire. Correvano anche Magari di Elkann, Sul più bello di Filippi, Tolo Tolo di Luca Medici e Non odiare di Mauro Mancino. Credo che i giurati non abbiano dovuto discutere molto: gli altri quattro film sono certamente inferiori per diversi motivi al vincitore.

Migliore sceneggiatura originale. Standing ovation per Emma, la giovanissima figlia di Mattia Torre, chiamata a ritirare la statuina del David, assegnata allo sfortunato regista da poco scomparso, meritatamente premiato per la sceneggiatura originale del bel film Figli. Correvano anche Favolacce (fratelli D’Innocenzo, bravi ma troppo “roman style”), Cosa sarà (l’ospedale questa volta non la vince); Volevo nascondermi e I predatori, che hanno avuto quello che dovevano avere.

Migliore sceneggiatura non originale. Io avrei premiato, dopo accorta riflessione, Lei mi parla ancora di Pupi Avati: “un film nostalgico, pieno di tenerezza e imbevuto del garbo antico del suo fragile protagonista” (Paola Casella in MyMovies). Gianni Di Gregorio non me ne vorrà, Lontano lontano – sul sito ne abbiamo scritto qui – è simpatico, i tre protagonisti calibratissimi (è l’ultimo lavoro di un ottimo Fantastichini), ma in Lei mi parla ancora ho trovato una magia ormai rara e pur tanta necessaria, almeno per me, voi pensatela come volete.

Migliore attrice protagonista. Già premiata nel 1961 (La ciociara di Vittorio De Sica), nel 1964 (Ieri, oggi e domani sempre di De Sica e con Mastroianni), nel 1965 (Matrimonio all’italiana, trasposizione fortunatissima ed originale del Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, firmata dall’ottimo De Sica, e con Mastroianni), nel 1970 (I girasoli sempre con De Sica, a fianco di Mastroianni), nel 1978 (Una giornata particolare capolavoro di Ettore Scola, ancora con Mastroianni), non poteva mancare quest’anno il premio per la bella interpretazione nell’omaggio filiale La vita davanti a sé (leggi qui e qui (in due puntate sul sito). Riserve plurime sul film ma non sul premio: Cortellesi (Figli) e Ramazzotti (Gli anni più belli), pur meritevoli, aspetteranno un giro. Vittoria Puccini merita di essere messa in condizioni di vincere: recita con passione e levità al contempo.

Miglior attore protagonista. Per le motivazioni esposte nella categoria “Miglior film” avrei assegnato il premio a Renato Pozzetto, e non ci vogliono molte parole a spiegare il perché. Riconosco l’eccellente prestazione di Valerio Mastandrea in Figli e di Favino in Hammamet, ma non succede nulla se aspettano un giro.

Migliore attrice non protagonista. Ho scoperto Matilda De Angelis, nella miniserie ormai cult “Undoing – Le verità nascoste” diretta da Susanne Bier e con Nicole Kidman e Hugh Grant. Non sapevo che esistesse: forse anche per questo ho apprezzato molto la sua recitazione, la padronanza della scena che raggiunge livelli rari nella scena la De Angelis si presenta nuda, nello spogliatoio di una palestra davanti alla Kidman. Non la ricordavo più nella spericolata e caparbia pilota in Veloce come il vento di Matteo Rovere e pochi mesi fa mi era passata inosservata nel film di Sydney Sibilia L’incredibile storia dell’isola delle rose. Bravo Sibilia (i tre film precedenti l’hanno detto chiaramente), bravi gli attori, tanto che alla qui citata Matilda e a Fabrizio Bentivoglio sono stati assegnati i David di Donatello rispettivamente per l’attore e per l’attrice non protagonisti.

Migliore attore non protagonista. Abbiamo già detto del riconoscimento a Fabrizio Bentivoglio, che premierei sempre, a prescindere, per la sua prova attoriale in Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati (2010). Claque da stadio quindi, da parte mia, pur il con il cruccio di non aver premiato l’esemplare Giuseppe Cederna in Hammamet.

 

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