Ambiente e Natura

Nell’incanto di Ponza… le proposte di Repubblica on line

Proposto dalla redazione, su segnalazione di Vincenzo Ambrosino

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Nell’incanto di Ponza, tra la locanda che ospitò Mussolini e le terrazze del gusto
di Guido Barendson – Da la Repubblica del 14 maggio 2021

Un’isola ferma nel tempo, che si anima e si agita (troppo) solo a Ferragosto, per poi restare un punto d’approdo felice per turisti in cerca del mare e di sapori autentici

Sembra ferma nel tempo, Ponza. A mano a mano che il traghetto si avvicina al porto e alla quinta colorata delle case che gli fanno ala, il colpo d’occhio non è molto cambiato rispetto agli anni passati, e a differenza di tante altre piccole isole si vede subito che questa è stata risparmiata dal turismo di massa. Certo, i locali si lamentano perché vorrebbero fosse una piccola Capri o una Panarea in salsa laziale (siamo in provincia di Latina), desidererebbero forse una meta con un tocco glamour; ma in cuor loro non sono tanto dispiaciuti quando gli fai notare che il fascino del posto evoca un piccolo mondo antico, le costruzioni a cubo semplici, tipiche dei borghi di mare mediterranei, e nelle strade il basolato al posto dell’asfalto.

Il profumo del selvaggio non s’è disperso. E’ davvero un miracolo, che lo scoglio non sia stato rovinato dalla rapacità del commercio e dall’arrivo di troppi capitali. Anzitutto perché approdarci è scomodo: da Anzio durante la bella stagione si va a bordo di aliscafi di era sovietica, costruiti per navigare sui grandi fiumi russi e tenuti su con le spille e da tante mani sovrapposte di vernice; anche a Formia ci si imbarca sui gloriosi (varati tra 1986 e 1989) – e gagliardi – aliscafi, o su più moderne navi da trasporto.

C’è una profonda incompatibilità di carattere esistenziale tra il genius loci e la fretta, un sentimento che non appartiene agli indigeni e ai visitatori abituali, e scoraggia chi sogna le avventure e le notti di Ibiza e Formentera. Qui regna l’incanto del blu, equamente distribuito negli angoli di mare che circondano le Pontine. E mentre ti tuffi a Palmarola in una giornata baciata dal sole di primavera o dal fresco di settembre, altro che Maldive! Se si escludono le settimane a cavallo di Ferragosto, quando la cronacaccia è dominata dalle liti di giovani che hanno esagerato con l’alcol e la droga, la fretta non esiste. Curioso che in un luogo cresciuto per merito dei Borboni e annesso a Littoria solo ai tempi del fascismo, un luogo dove si parla un idioma bastardo incrociato tra Lazio e Campania, le scazzottate peggiori scoppino sempre tra romani e napoletani. Così vicino, così lontano.

“…Qui regna l’incanto del blu”

Per fortuna dura poco. E ci si rende conto che anche le capacità di accoglienza sono contenute e modeste. Una manciata di alberghi vecchiotti e uno spruzzo di b&b spuntati qua e là come nel resto d’Italia, perfetti per un soggiorno a prezzi contenuti, e con un vantaggio unico: il mare. Da godere in spiaggia, al Frontone, sulla sabbia o sugli scogli, affittando un gommone o una barchetta spinta dal ronzio del fuoribordo alla ricerca di un anfratto dove gettare l’ancora dimenticando ogni affanno.

L’angolo più bello, Chiaia di Luna, da terra è inavvicinabile, chiuso da anni per la caduta delle pietre che minacciano l’incolumità dei passanti. Ma ci si consola ai Faraglioni di Lucia Rosa, a Cala Feola, Cala dell’Acqua, Felci. Si può camminare a lungo, ma anche impigrirsi e sdraiarsi sulla rena e sui sassi a pochi passi dal centro: è così, cercando un imbarco nella baia di Santa Maria e curiosando nei cantieri, che mi sono arenato alla tavola di una osteria semplice come la sua insegna: La Locanda dell’Isola (già Pensione Silvia). Due ragazze, la tosta Daniela e una simpatica aiutante, a servire con calma sorridente pochi piatti, con una rassicurante aria di casa: insalata di arance e finocchi con olive nere; un cucchiaio di zuppa di cicerchie (“ma quelle di Ponza purtroppo non si trovano più”) e belli tirati al dente lo spaghetto alici e finocchietto e la calamarata di calamari e pecorino.

Nella baia di Santa Maria un’osteria semplice come la sua insegna: La Locanda dell’Isola, con pochi piatti ma ben fatti 

Non manca nemmeno un ricordo di una pagina importante – e dimenticata? – di storia patria. Tutti sappiamo che quasi cento anni fa Ponza diventa meta di confino doloroso per tanti (fino a 800) perseguitati politici, dal luglio 1928 al luglio del ’39, quando i prigionieri vengono trasferiti nel carcere della vicina Ventotene. Viva resta la memoria dei più famosi socialisti e comunisti, Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, e tanti altri, insieme a leader della resistenza etiopica e indipendentisti libici. Pochi sanno invece che nel 1943, alla caduta del fascismo, per ironia della sorte Benito Mussolini viene condotto prigioniero proprio a Ponza, dove resta dal 28 luglio al 7 agosto. E dove alloggia? Proprio qui, nei locali che oggi ospitano la Locanda: “Pensi che ogni tanto passa qualche nostalgico del duce a chiedermi in quale stanza della pensione abitasse”, confida Daniela. “Nell’isola di Ponza Mussolini è solo, ma è solo anche nell’Italia dove nessuno è più fascista”, scrive Sergio Lepri nel suo bel “1943. Cronache di un anno“. “È solo e sta male. La moglie di uno dei carabinieri del penitenziario, che gli prepara i pasti, freddi, sa del prossimo compleanno e gli chiede se vuole qualcosa di speciale. “Sì”, risponde, “due pesche”.
Ma ora non è stagione di pesche, e concludo il pasto con un paio di bicchierini di mirto fatto in casa.

Un closeup degli spaghetti alle vongole dell’Oresteria, da sempre ristorante di mare

Il vento porta il ronzio delle pompe che scaricano l’acqua dalla bettolina ormeggiata all’esterno del molo: le poche fonti non bastano a dissetare gli isolani, e ogni giorno dalla terraferma arriva una nave cisterna. Ricordo che Piero Vigorelli, giornalista di razza tosta, tanto innamorato di questo scoglio da diventarne sindaco, nel 2015 era riuscito a far approvare la costruzione di un dissalatore – come ovunque nel resto del mondo civile – che avrebbe non solo risolto il problema  dell’approvvigionamento ma abbattuto drammaticamente i costi. Ma l’avvio dell’opera non pare imminente. “A Ponza prima c’era l’acquedotto dell’impero romano. Poi le piscine di acqua piovana con il capitone come ‘disinfettante’. Poi le bettoline d’ante guerra. Vogliamo continuare così?”, si chiede retoricamente Vigorelli.
Mi consolo passeggiando su Piazza Carlo Pisacane, il corso principale che attraversa il centro, dove fanno buona mostra gli alti tavolini di Oresteria, affacciati sul porto, e dove ci si può comodamente appollaiare per gustare lo struscio e il menu composto con garbo ed esperienza da Oreste Romagnolo, da sempre chef di mare: dalle polpette di pesce all’orata al lime, dagli gnocchetti cozze e pecorino all’hamburger di alalunga con peperoni verdi, si trova davvero l’imbarazzo della scelta. Come con i vini, selezionati da Valentina, brillante sommelier e moglie di Oreste.

La meravigliosa vista di una delle terrazze dell’Acqua Pazza

Alla base del successo dei ristoranti spicca la forza della famiglia. Una ricetta che vale ancor di più per l’Acqua Pazza, la tavola migliore dell’isola, carica di riconoscimenti e onorata da una stella Michelin. Si sale per Via Dietro La Chiesa e al numero 3, passati attraverso una porticina, ci si ritrova di colpo proiettati sul grande Blu, l’incanto della marina e della baia. Cinque terrazze di bianco pittate, tavoli ben distanziati, rappresentano il palcoscenico sul quale si esibiscono il padrone di casa Gino Pesce, affiancato dalla moglie Patrizia “Patty” Ronca. A sostenerli, il fratello di lui Mario e la sorella di lei, Lucia, marito e moglie anche loro. Ricordo le serate (e le nottate) alcoliche – rum&Coca – passate quassù da ragazzo, quando ad animare il set c’era una discoteca rudimentale che pure a noi sembrava lo Studio 54: indimenticabile Mariroc (senza K finale)! Ora tocca a famiglie della buona borghesia – italiana e non – studiare e commentare a voce bassa l’elegante menu che ben rappresenta un ottimo ristorante di pesce. Prima che scoppiasse la pandemia, Gino e i suoi gestivano un locale raccolto, poco più di un bar, sulla passeggiata borbonica, e lavorando a testa bassa per decenni hanno conquistato buona fama per due ragioni sostanziali: la prima, la qualità della proposta gastronomica; la seconda, il coraggio di investire su un modello di ristorazione azzardato per una località così piccola e poco battuta da una clientela benestante e disposta a spendere. Hanno vinto la sfida e mantenuto il format nella nuova sede, allargando la cantina (dai bianchi d’ogni regione d’Italia ai grandi Champagne) e rinforzando il servizio.

“Medaglia d’oro per i dolci preparati da Patty: alla nocciola, al limone e – a mani basse – al cioccolato” (foto di Marcello Serra)

Parole d’ordine in cucina: preparate tutte le creature del regno di Nettuno, dai crostacei allo spada. Tra gli antipasti crudi, meritano sicuramente il dentice con alghe e ricci; tra le paste, le linguine con spigola, finocchietto e limone, un piatto semplice, come i rigatoni cacio e pepe (l’intruso nella linea di mare) che ha lo stesso successo dei rigatoni con calamaretti spillo, pane croccante e colatura di alici. Tra i secondi, spiccano gamberoni e scampi al vapore, la ricciola scottata e il filetto di pesce bianco con salsa alla… bagna cauda di piemontese memoria. Medaglia d’oro per i dolci preparati da Patty: alla nocciola, al limone e – a mani basse – al cioccolato, da accompagnare magari ad un distillato preso al bancone dove è raccolta una discreta selezione di whisky. Uno per tutti, il Cragganmore 20, tanto affettuoso che vi consentirà di scendere volando fino al paese senza farvi troppo male.

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