Economia

Aldo Moro, Gheddafi e Arafat (2)

di Fabio Lambertucci

per la prima parte, leggi qui

Aldo Moro e i palestinesi.

Nel 2015 il noto magistrato giudice istruttore Rosario Priore (Salerno 1939) e il giornalista e saggista Gabriele Paradisi (Forlì 1959) pubblicarono il saggio “La strage dimenticata. Fiumicino, 17 dicembre 1973″ (Imprimatur di Reggio Emilia) nel quale ricostruirono, sulla base di documenti inediti, la cronaca di quel tragico lunedì mattina del 17 dicembre 1973, quando un commando di cinque palestinesi di “Settembre Nero” compì la strage più grave mai avvenuta in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale: 32 persone (di cui 6 italiane (1), 17 statunitensi, 4 marocchine, 2 portoghesi, 1 belga, 1 inglese e 1 sudafricana, oltre ai 15 feriti) morirono carbonizzate su un aereo Boeing della Pan American parcheggiato in attesa del decollo, dopo che i terroristi avevano lanciato al suo interno alcune bombe incendiarie. Poi gli attentatori avevano dirottato un aereo della Lufthansa, ad Atene avevano ucciso a sangue freddo l’ostaggio italiano Domenico Ippoliti e si erano infine arresi in Kuwait.
L’estradizione richiesta da Moro al Kuwait venne rifiutata, senza eccessive rimostranze da parte sua. Il 23 dicembre i cinque terroristi furono invece consegnati all’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat (1929-2004) e liberati nel novembre 1974. Tuttavia come era stata possibile una tale carneficina in Italia dopo che Moro aveva da qualche mese stabilito un patto segreto di conciliazione con la “resistenza palestinese”? 

I gruppi più oltranzisti della guerriglia palestinese (2) avevano iniziato con i dirottamenti aerei già dal luglio 1968. Il fatto più grave avvenuto sul suolo italiano era stato fino ad allora l’arresto ad Ostia il 5 settembre 1973 di cinque palestinesi che stavano preparando un attentato con lanciamissili terra-aria Sam-7 di fabbricazione sovietica, coi quali avrebbero dovuto colpire a Fiumicino un aereo israeliano della El Al. E’ stato ipotizzato che il vero bersaglio dell’attentato fosse il premier israeliano laburista Golda Meir. A Moro giunsero dall’OLP sollecitazioni per il rilascio dei detenuti, con l’impegno di non far avvenire altre azioni terroristiche in Italia. Le sollecitazioni vennero accolte: il 30 ottobre 1973, in base a direttive impartite al direttore del SID Vito Miceli dal presidente del Consiglio Mariano Rumor e dal ministro degli Esteri Aldo Moro, due dei terroristi, i più importanti, ottengono, su cauzione, la libertà provvisoria e vengono ospitati in un appartamento messo a disposizione del SID a Roma e il giorno successivo vengono imbarcati a Ciampino su un aereo militare (un bimotore Dc3 Dakota denominato “Argo 16” in uso alla struttura segreta Gladio che precipiterà il 23 novembre 1973 a Marghera per avaria o malore del pilota) e trasportati segretamente in Libia. Gli altri tre palestinesi vengono invece trattenuti in carcere e l’apertura del processo è prevista proprio il 17 dicembre 1973. Saranno liberati definitivamente nel marzo 1974 dopo che i Servizi avranno pagato complessivamente una cauzione di sessanta milioni di lire.

La versione del “Times” di Londra.

Il “Times” di Londra pubblicò, a partire dal 4 gennaio 1974, una serie di articoli in cui sosteneva che il gruppo terroristico palestinese responsabile dell’attentato a Fiumicino fosse stato finanziato direttamente da Gheddafi. Addirittura si arrivava a definire con esattezza la cifra che era stata impiegata: 370 milioni di lire. Secondo il “Times” Gheddafi era determinato a far fallire i negoziati di pace di Ginevra tra Israele ed Egitto mantenendo la guerra in corso “se necessario, per mille anni”.
Relativamente ai fatti di Fiumicino il piano originario, organizzato a Tripoli, prevedeva di assassinare a Beirut, durante una tappa di avvicinamento a Ginevra, il segretario di Stato statunitense Henry Kissinger (1923) (3), con un attacco al suo aereo con mitra e bombe a mano. L’uccisione di Kissinger avrebbe impedito la convocazione della prevista conferenza arabo-israeliana di Ginevra prevista per il 21 dicembre 1973.
Le autorità libanesi avrebbero però sventato il complotto, facendo atterrare l’aereo di Kissinger nell’aeroporto militare di Rayak a est di Beirut. Fu a questo punto che Gheddafi ordinò al gruppo di attaccare l’aeroporto di Roma per catturare degli ostaggi. Le cose invece andarono come sappiamo.
A conferma del dettagliato resoconto del “Times”, oggi abbiamo un rapporto de-secretato della CIA dell’8 gennaio 1974 che recita: “La Libia sta facendo pressione sui leader fedayn affinché non puniscano i terroristi che hanno attaccato un aereo di linea Pan American e dirottato un aereo Lufthansa dall’aeroporto di Roma a metà dicembre. Di conseguenza, l’OLP ha deciso di non assumere la responsabilità sui terroristi, ma di insistere sul fatto che restino sotto la custodia di funzionari del Kuwait. I kuwaitiani sono quasi certi di liberare i terroristi dopo una breve prigionia. Il governo libico, secondo quanto riferito, ha minacciato di tagliare i collegamenti finanziari con l’OLP e con Fatah se non abbandoneranno la loro intenzione di trattare duramente i terroristi”. 

Sui 370 milioni di lire, il ministro Moro rispose, senza dare ulteriori spiegazioni, che le rivelazioni del “Times” erano “inesatte”. Il 23 gennaio 1974 Moro fu chiamato a rispondere al Comitato relazioni esterne del Senato, sulle notizie pubblicate in Gran Bretagna. Le parole precise di Moro si possono leggere nel Fondo Aldo Moro dell’Archivio storico del Senato. Questo il brano definitivo scritto a mano da Moro medesimo:

Abbiamo dato atto della ferma smentita opposta dal Presidente Gheddafi a notizie di stampa che lo avrebbero voluto coinvolto nella esecrabile strage di Fiumicino. Smentita del resto collimante con il giudizio che avevamo dato, a ragion veduta, delle notizie del “Times” in una vicenda giornalistica, per il suo contenuto e il tempo del suo manifestarsi, piuttosto difficile da definire. E’ importante, dunque, non far prevalere dubbi, risentimenti, reazioni emotive, i quali potrebbero fermarci nella strada che abbiamo cominciato a battere”.

In questi tormentati passaggi, in cui Moro limava ogni singola parola, emerge tutta la complessità dello statista democristiano. Scrisse la giornalista inglese del “Times” Patricia Clough il 24 gennaio 1974 che Moro aveva dunque rassicurato Gheddafi che “la libertà di opinione in una democrazia occidentale non impedisce al governo di andare avanti con la sua politica di amicizia e collaborazione”.

Scrive Mino Vignolo nel suo saggio “Gheddafi. Islam, petrolio e utopia” (Rizzoli; 1981, p. 146): “Il colonnello dei Carabinieri Stefano Giovannone (1921-1985) un emiliano abile nelle relazioni pubbliche, fra il ’73 e il ’74 viene inviato in Libano e raggiunge un accordo segreto con gli emissari di Gheddafi, il grande elemosiniere della resistenza palestinese: l’Italia diventa zona franca per i palestinesi che si impegnano, in cambio, a non compiervi attentati”. E’ il cosiddetto “Lodo Moro”.

Il fatto che la strage impunita di Fiumicino sia stata giustamente definita anche la “strage dimenticata”, indica chiaramente che si volle ad ogni costo far passare sotto silenzio questo “incidente”, che non doveva mettere in discussione l’accordo di Moro di sicurezza e collaborazione tra l’Italia e i gruppi palestinesi più oltranzisti come il marxista-leninista Fronte popolare per liberazione della Palestina di George Habbash (1926-2008), sostenuto da Gheddafi, Unione Sovietica, Germania democratica e Iraq.
Il 27 giugno 2017 la Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presidente Giuseppe Fioroni, ascoltò Bassam Abu Sharif (1946), personalità di notevole rilievo della politica palestinese negli anni Settanta. Esponente del FPLP, poi dal 1987 consigliere di Arafat.
E’ scritto nella relazione finale: <<Sharif ha fornito numerose indicazioni sul concreto funzionamento degli accordi italo-palestinesi. Ha in particolare affermato che era presente quando fu redatto un preciso impegno scritto del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che fu dato al colonnello dei Carabinieri Stefano Giovannone (Capocentro del SISMI, Servizio segreto militare italiano, a Beirut; valente uomo di fiducia di  Moro, era chiamato dai colleghi “Lawrence d’Arabia”, ndA). L’impegno del Fronte era quello di “non compiere nessuna azione che potesse minacciare la sicurezza degli italiani, dell’Italia o del suolo italiano da parte del Fronte popolare”. Era prevista, correlativamente, una “collaborazione con l’Italia in tutto quello che riguardava l’Italia e la sua sicurezza” e un generale sostegno dell’Italia alla causa palestinese>>.

Note:

  1. Le 6 vittime italiane furono: Giuliano De Angelis, sua moglie Emma Zanghi e la loro bambina Monica, il tecnico dell’Asa Domenico Ippoliti, l’ingegnere dell’Eni Raffaele Narciso e l’agente della Guardia di Finanza Antonio Zara.
  2. I gruppi politici palestinesi che formeranno nel 1964 l’OLP furono principalmente quattro: Fatah, Movimento di liberazione nazionale palestinese, è il partito laico fondato nel 1957 da Yasser Arafat (1929-2004), da Salah Khalaf (1933-1991), noto anche come Abu Ayad, numero due dell’OLP e capo dei Servizi segreti palestinesi, e da Khalil al-Wazir. Fatah costituisce la fazione più rilevante dell’Olp che è una confederazione multi partitica. Fronte popolare per la liberazione della Palestina(Fplp), movimento di ispirazione marxista leninista, nasce nel 1967 fondato da George Habbash (1926-2008). Fronte democratico popolare per la liberazione della Palestina (Fdplp), nasce nel 1969 da una scissione del Fplp. Guidato da Nayef Hawatmeh il gruppo aveva una connotazione maoista. Al Saika, noto anche come Avanguardia per la guerra di liberazione popolare, è un gruppo di ispirazione siriana, vicino al partito baathista (socialista arabo).
    Nel 1970 venne fondato Settembre Nero da Salah Khalaf con uomini provenienti da Fatah e Fplp, finanziati e addestrati dalla Libia. La loro azione più celebre fu il sequestro della squadra olimpica israeliana durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera nel 1972. Il gruppo venne sciolto ufficialmente nel 1974. Si è molto discusso sul ruolo di Arafat in Settembre Nero. Dal 2008, grazie alla de-secretazione di documenti della CIA sappiamo che ne era il vero capo: il 1° marzo 1973  un commando di otto uomini di Settembre Nero irruppe nell’ambasciata saudita in Sudan dove era in corso un ricevimento formale in onore dell’incaricato d’affari statunitense George Curtis Moore. Dopo una trattativa fallita per il rilascio di numerosi palestinesi detenuti, uccisero Moore, l’ambasciatore statunitense A. Noel jr e l’incaricato d’affari belga Guy Eid. Solo nel 2008 si sono appresi i dettagli di quella operazione: Yasser Arafat era stato il vero mandante dell’uccisione dei due diplomatici statunitensi e di quello belga. L’imbarazzante verità, rimasta nascosta per 35 anni, è emersa dai documenti “declassificati” del  direttore della CIA, Richard Helms. Quello che emerse dai dossier rivelava che l’Amministrazione statunitense aveva avuto coscienza del doppio ruolo giocato da Arafat, leader di Fatah da un lato ma anche oscuro stratega delle operazioni di Settembre Nero. Henry Kissinger, allora consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Richard Nixon, aveva deciso però di imporre il segreto di Stato sulle comunicazioni captate dai satelliti della National Security Agency (Nsa), l’agenzia d’intelligence statunitense responsabile delle intercettazioni. In esse si sentiva chiaramente Arafat ordinare da Beirut l’uccisione degli ostaggi. Mentre i terroristi comunicavano ai negoziatori di aver ucciso i tre diplomatici, un altro messaggio con la voce di Arafat consigliava agli otto di deporre le armi e di consegnarsi alle autorità sudanesi. Kissinger, pur di mantenere aperti i negoziati con l’OLP di Arafat, ordinò alla Nsa di distruggere i nastri originali con la voce del leader palestinese e di mettere a disposizione della CIA solo le trascrizioni delle intercettazioni.
  3. Henry Kissinger era diventato segretario di Stato dal 22 settembre 1973.

[Aldo Moro, Gheddafi e Arafat (2) Continua]

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