Arte

“America oggi”. Tante storie dentro e intorno a un film (2)

di Sandro Russo

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Per l’articolo precedente di cui questo è la stretta continuazione, leggi qui

Eravamo arrivati a parlare, a proposito di America Oggi di Altman, di come un regista si appropria delle storie di uno scrittore e le ripropone, con lo sguardo proprio del cinema. E di cosa succede quando quello scrittore è Raymond Carver.

Tess Callagher, scrittrice e poetessa e custode della memoria di Carver, fu entusiasta del film; ebbe una buona interazione e una fitta corrispondenza con Altman, durante la preparazione
Riporto qui un brano significativo di una lettera tra loro (1):

Caro Bob,
Mike e io (2) abbiamo avuto una bella conversazione sul fattore speranza del film. Sul fatto che il film lascia allo spettatore una sensazione di tristezza dilagante per il caos di quelle vite. Come sappiamo entrambi, l’arte non è obbligata a fornire l’antidoto ai veleni che rivela. Anche Ray ha dovuto combattere contro questa aspettativa, sia con i suoi lettori sia con i suoi critici – cioè che l’artista doveva fare qualcosa di più che diagnosticare la condizione dei suoi personaggi — che doveva anche ergersi all’orizzonte, un po’ come la Statua della Libertà, e promettere un qualche tipo di redenzione. Be’, le cose non stanno affatto così! Come nei racconti di Ray, la questione di cosa faremo con l’identificazione cui andremo incontro vedendo il film, guardando negli specchi che ci presenta, è una questione soggettiva, ed è estranea sia ai racconti che al film. È proprio questa la natura provocatoria e stimolante dell’arte. Prima di tutto l’arte ci dice che cosa c’è, nei modo più onesto e reale possibile. A questo principio tu e Ray siete implacabilmente fedeli. Ciò che verrà apprezzato sarà la tenacia della vostra insistenza sulla crudezza di queste verità.

Port Angeles, Washington 9 marzo 1993

Ma dicevamo anche che quello che è spesso definito come lo “stile Carver” sia stato agli inizi una intuizione fortunata del suo editor Gordon Lish.
Per fare un esempio pertinente al film, è interessante analizzare una scena nel pre-finale del film, di uno dei racconti del libro trasposti nel film: “Di’ alle donne che usciamo”.

Una domenica, dopo pranzo, con le donne in cucina a riordinare e i bambini a far giocare, Jerry e Bill prendono la macchina e vanno a farsi un giro. Incontrano due ragazze in bicicletta, e lì nasce l’idea di ‘combinarci’ qualcosa, più interessato uno dei due, Jerry, più tiepido l’altro, Bill.
Non è che sanno benissimo cosa fare. A un certo punto le ragazze posano le biciclette e imboccano un sentiero, a piedi. Bill e Jerry le seguono. Bill, un po’ spompato, si ferma. Si accende una sigaretta.

Nella prima versione di Carver, come si può leggere nella raccolta di racconti (pubblicata postuma in tutto il mondo, ma non in America), “Principianti” (Einaudi 2009), il finale prende sei cartelle, in cui tutto viene raccontato.
Alessandro Baricco (3) in un suo studio sugli originali di Carver ha analizzato i due diversi finali:
“Leggere le sei cartelle buttate da Gordon nel cestino, fa un certo effetto. Carver racconta tutto, tutto quello che, nella versione corretta (da Lish – ndr), sparisce nel nulla dando al racconto quel tono di formidabile, lunare ferocia.
Carver segue Jerry su per la collina, racconta lungamente l’inseguimento a una delle due ragazze, racconta Jerry che violenta la ragazza e poi si rialza, e rimane come intontito, e inizia ad andarsene, ma poi torna indietro, e minaccia la ragazza, vuole che lei non dica niente di quel che è successo. Lei non fa che passarsi le mani nei capelli e dire “vattene”, solo quello. Jerry continua a minacciarla, lei non dice nulla, e allora lui la colpisce con un pugno, lei cerca di scappare, lui prende una pietra e la colpisce in faccia (“sentì il rumore dei denti e delle ossa che si spaccavano”) si allontana, poi torna indietro, lei è ancora viva, si mette a urlare, lui prende un’altra pietra e la finisce. Il tutto in sei cartelle: che vuol dire senza sbrodolature, ma anche senza fretta. Con la voglia di raccontare: non di occultare.
Sorprendente, vero? Anche di più è leggere il finale, voglio dire proprio le ultime righe. Cosa mise il freddo, disumano, cinico Carver, alla fine di quella storia? Questa scena: Bill arriva sul colmo della collina e vede Jerry, in piedi, immobile, e accanto a lui il corpo della ragazza. Vorrebbe scappare ma non riesce a muoversi. Le montagne e le ombre, intorno a lui, gli sembrano un incantesimo oscuro che li imprigiona. Pensa irragionevolmente che magari scendendo di nuovo fino alla strada e facendo sparire una delle due biciclette tutto quello si cancellerebbe e la ragazza la smetterebbe di essere lì”.
Ultime righe: “Ma Jerry adesso stava in piedi davanti a lui, sparito nei suoi vestiti come se le ossa l’avessero abbandonato. Bill sentì la terribile vicinanza dei loro due corpi, la lunghezza di un braccio, anche meno. Poi la testa di Jerry cadde sulla spalla di Bill. Lui sollevò una mano e, come se la distanza che adesso li separava meritasse almeno quello, si mise a dare dei colpi a Jerry, affettuosamente, sulla schiena, scoppiando a piangere”.

Tutt’altro si trova invece nella raccolta originale (“Di cosa parliamo quando parliamo d’amore…”uscita negli Stati Uniti nel ’74; prima ediz. italiana Garzanti; 1987).
Qui il racconto finisce molto più bruscamente.
Ultime righe: “Non capì mai cosa volesse Jerry. Ma tutto cominciò e finì con una pietra. Jerry usò la stessa pietra su tutte e due le ragazze, prima su quella che si chiamava Sharon e poi su quella che doveva essere di Bill”.

Chiosa ancora Baricco (3): “Puro Carver. Un finale fulminante, e un’ultima frase perfetta, tagliata come un diamante, semplicemente esatta, e agghiacciante. Quell’idea di impietosa velocità, e quel tipo di sguardo impersonale fino al disumano, son diventati un modello, quasi un totem.
Scrivere non è stata più la stessa cosa, dopo che Carver ha scritto quel finale.
Solo che quel finale non l’ha scritto lui. L’ultima frase – quella splendida, totemica ultima fase – è di Gordon Lish”.

La grande differenza è che Carver dissemina le poche pagine del racconto di indizi sull’instabilità di Jerry, per cui l’esplosione di violenza finale è in qualche modo preparata, addirittura attesa. La violenza, lì, è piuttosto il risultato di una operazione lunga una vita.
“(…) Solo che Gordon Lish cancellò tutto. Aveva del talento, niente da dire. Fin nei più piccoli indizi, toglie a Jerry il suo passato, compresi gli ultimi minuti a ridosso dell’assassinio. Vuole che la tragedia, surgelata, sia messa in tavola nelle ultime quattro righe. Niente anticipazioni, please. Si perde l’effetto” (Baricco).

Nell’articolo di presentazione per l’uscita di Principianti (4) (del 2009), Baricco ha aggiunto queste considerazioni complessive:

“I non-eroi di Carver sono una delle grandi realizzazioni della letteratura di tutti i tempi. Li otteneva con pochi tratti, con una certa velocità, sommando dettagli insignificanti fino formare una figura incredibilmente reale: chi legge fa la strana esperienza di sapere pochissimo di un personaggio e simultaneamente di sapere tutto, di lui e del suo mondo. Devo a Dario Voltolini la più esatta descrizione di una simile esperienza: chiudi gli occhi, tocchi con un dito la pelle della balena, e vedi la balena tutta. Dai uno sguardo veloce a due americani che fanno il barbecue e vedi l´America. Era un trucco che riusciva praticamente solo a lui.
Ma ora sappiamo che lui lo otteneva con cinque passaggi di pennello, e Lish li ridusse a uno. Il tesoro della città perduta sono le altre quattro pennellate. Quasi tutte, quasi sempre, ammirevoli: gesti, parole, pensieri. La loro bellezza era perduta per sempre, adesso è tornata.
Lish probabilmente la conosceva, sapeva che c´era, ma la barattò con qualcosa che, in ogni caso, aveva il suo valore: buttò via le quattro pennellate e tutti i finali, e inventò il minimalismo”.

Ma Carver era perfettamente consapevole che quella non era la sua voce, la sua scrittura.
Ecco cosa scriverà nell’agosto 1982, mentre sta preparando i racconti di Cattedrale, a Gordon Lish:

“una cosa è sicura: i racconti di questa raccolta saranno più pieni di quelli dei libri precedenti. E questa, Cristo santo, è una cosa buona. Non sono lo stesso scrittore di prima. Però so che tra questi 14 o 15 racconti che ti darò ce ne sono alcuni che ti faranno arricciare il naso, che non coincideranno con l’idea che la gente si è fatta di come deve essere un racconto di Carver – e per gente intendo te, me, i lettori in genere, i critici. Comunque, io non sono loro, non sono noi, sono io. Può darsi che alcuni di questi racconti non si adattino facilmente a starsene allineati in fila con gli altri, è inevitabile. Però, Gordon, giuro su Dio e tanto vale che te lo dica subito, non posso subire l’amputazione e il trapianto che in un modo o nell’altro servirebbero a farli entrare nella scatola, di modo che il coperchio chiuda bene”.

Sta di fatto che negli anni successivi, pur senza la tutela stretta di Lish, Carver aveva introiettato la sua lezione, e  l’essenzialità della scrittura, come quella dei finali brucianti, rimasero una caratteristica dei suoi racconti (per inciso, Carver è stato un grande scrittore di racconti e poesie, non ha mai scritto un romanzo).

Poet Tess Gallagher (1990)

Resta ancora da dire come ha agito Altman trasponendo questa storia, raccontata in due modi così diversi, nel suo “America Oggi”. La scena è brevissima, la violenza apparentemente immotivata, ma a ripensarci nel film sono disseminati degli indizi di una violenza che in Jerry covava sotto la cenere.
C’è un terremoto, alla fine di America Oggi (l’atteso big-one di Los Angeles, ma non era quello, dicono nel film), da cui si potrebbe pensare che la ragazza sia stata uccisa da una pietra caduta accidentalmente dall’alto. Questo finale paradossale-ironico fu per esempio mal visto dalla Callagher che non riconosceva l’ironia, tra i registri di Carver e si trovò una soluzione intermedia. Per dire quanto la gestazione di un film sia complessa e si nutra di diversi apporti e interazioni.

Concludo
Lish o non Lish, Carver è un grande maestro nell’arte del raccontare.
Siccome abbiamo nominato i racconti della raccolta Cattedrale Cathedral, Alfred A. Knopf, New York, 1983 (trad. it. Cattedrale, Mondadori, 1984, riporto qui – per chi ha tempo e volontà di approfondire – , una lettura-esegesi del suo racconto fatta da un altro grande scrittore, Abraham Yeoshua. Sono circa nove pagine, ma stimolanti e profondi: daranno un’idea e una chiave di lettura di un grande scrittore.

Abraham Yehoshua legge con noi ‘Cattedrali’ di Carver.pdf


Note

(1) – Lettera di Tess Callagher a Robert Altman (da “The making of Short Cuts”);
(2) – Mike Kaplan, produttore associato di America oggi;
(3) – Alessandro Baricco: L’uomo che riscriveva Carver. Articolo da la Repubblica del 27 aprile 1999;
(4) – Alessandro Baricco: Cosa scriveva Carver prima di essere Carver. Articolo da la Repubblica del 17 marzo 2009;
(5) – Riportata nella estesa biografia su Carver in Wikipedia

[“America oggi”. Tante storie dentro e intorno a un film (2) – Fine]

 

 

1 Comment

1 Comment

  1. Patrizia Maccotta

    5 Aprile 2021 at 13:50

    Mi hai svegliato i ricordi su un vecchio, vecchio film, “Short Cuts” che mi aveva, a suo tempo, davvero colpita! Eppure tutto era sprofondato nel fiume degli anni. A galla rimanevano solo la porno telefonata di lavoro fatto da una donna che più casalinga non si poteva, circondata da bambini, mentre pronunciava oscenità che non corrispondevano al suo fisico e quella terribile, orribile e nello stesso tempo resa banale, storia del picnic di due americani medi con due ragazze che termina con un omicidio che lo spettatore riceve come un terremoto.
    E’ tutto risalito a galla! Dal profondo del fiume. Un film che non ho, pertanto, mai veramente scordato!

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