- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Scuola (9). La classe è classe

di Bruno Santoro
[1]

.

Per l’articolo precedente, di cui questo è l’ideale continuazione: leggi qui [2]

Nello schema ‘classico’ di scolarizzazione – se vogliamo chiamare così quello fondato sul modulo “classe” -, ancora largamente condiviso tra gli insegnanti – l’attività di istruzione in classe deve essere seguita e rafforzata necessariamente da compiti a casa ed esercizi individuali; verifiche scritte e interrogazioni orali sono quindi il sistema ‘oggettivo’ di accertamento delle conoscenze realmente acquisite e delle capacità sviluppate con lo studio e l’esercizio. Pur con molte varianti e ‘ammorbidimenti’ operativi, i fautori di questo modello pensano quindi all’istruzione in termini di conoscenze e non di capacità e competenze, che ne sarebbero il frutto al termine del percorso formativo.

Per chi bene conosce la realtà scolastica l’applicazione pratica di questo modello pedagogico è fluida ed efficace solo sulla carta e in ben determinate combinazioni umane e sociali. Per tutte le altre vale invece la testimonianza amara e ironica di Pasquale Scarpati [3] (1) che fa giustizia sommaria di tanti luoghi comuni e rende un’idea (solo un’idea!) delle difficoltà quotidiane in cui vivono ed operano ogni giorno docenti, operatori e studenti. Una realtà che a volte può apparire anche spassosa, ma è più spesso drammaticamente seria sotto il profilo umano, relazionale, didattico e persino legale.
Di passaggio: qualche anno fa Domenico Starnone (2) fece… scuola con i suoi finti resoconti di vita scolastica sotto forma di articoli giornalistici, finiti poi in una divertente pubblicazione (Ex Cattedra, Feltrinelli) dando vita ad un nuovo filone letterario del quale fa parte il notissimo ‘Io speriamo che me la cavo’ del compianto maestro Marcello D’Orta e da cui è stato tratto un film con Paolo Villaggio (sul sito ne abbiamo scritto qui [4]).

[5]Ex cattedra, s.l., in Rossoscuola e Il manifesto, 1987. Ex cattedra e altre storie di scuola, Milano, Feltrinelli, 2006

Dal punto di vista di economia di esercizio l’organizzazione per classi permette di incrociare le variabili dello spazio (concentrare in piccoli spazi molte persone) con quelle del tempo (distribuire in modo proporzionato la conoscenza nei diversi settori specialistici) (3). Tutte le scienze così come le conosciamo oggi, nascono nella seconda metà dell’Ottocento e nasce l’esigenza di una istruzione meno generica ed umanistica. Questo sistema peraltro permetteva una vantaggiosa organizzazione dell’orario delle lezioni e delle risorse di insegnamento, sempre confermando l’assunto che età biologica ed età scolastica potessero (e dovessero!) coincidere con le capacità di apprendimento e che l’insegnamento dovesse disegnare una curva di progressione in funzione dei vari gradi dell’istruzione.

Dopo la II Guerra Mondiale la scuola italiana venne provvisoriamente riorganizzata da un Maggiore dell’esercito americano (!) che sostanzialmente confermò l’impianto precedente della Riforma Gentile (salvo alcuni dettagli ideologici) ma lasciando immutato l’impianto di base: istruzione organizzata per età biologica e progressione ‘ciclica’ nei saperi. Così sarà quindi anche in tutte le riforme successive, soprattutto quella che si può considerare l’unica vera riforma della scuola italiana, quella degli anni ’60 (4) divenuta effettivamente operativa negli anni ’70.

[6]

Con una massa via via sempre più imponente di operatori (ad oggi circa 800 mila insegnanti e 200 mila Assistenti Tecnici e Amministrativi – ATA) e di studenti (circa 9,5 milioni) la scuola italiana non può che essere un organismo che deve formalizzare per ragioni funzionali un modello coordinato: la classe, da questo punto di vista, è una soluzione che semplifica molti passaggi. D’altra parte parlare di classe in generale e semplicemente come unità organizzativa non è corretto né rispondente alla realtà della sostanza formativa (5).

Di fatto esistono diversi tipi di classe e soprattutto non è neanche raffrontabile l’incidenza (formativa, socializzante e relazionale, educativa) di una classe della Primaria (le ex Elementari) con l’impatto che una piccola comunità omogenea solo dal punto di vista dell’età biologica ha sulla formazione di un pre-adolescente o di un giovane adulto.
Godendo di una sfera relazionale molto più larga e variegata che in passato, di un approccio al sapere estremamente più ‘informale’ per via di Internet e delle ‘tribù digitali’ i giovani moderni non dipendono quasi per nulla dalla classe come vera ‘comunità di apprendimento’, di riferimento relazionale e formativo; almeno quanto non dipendono più dagli insegnanti come fonte primaria e autorevole di conoscenza.

[7]

Negli anni però i tentativi di mettere mano al modello culturale e operativo della scolarizzazione sono stati numerosi, sospinti da onde di consenso diffuso e in molti casi con esiti molto incoraggianti.
Una interessante pubblicazione di G. Petracchi del 1978 (Individualizzazione, classi aperte, interclasse) proponeva di trasformare le classi in comunità aperte e a partecipazione ‘verticale’; altre ricerche proponevano di modellizzare la classe come ambiente di ricerca e cooperazione attiva tra gli allievi, altre ancora un modello di gradualità degli apprendimenti scandito da esami intermedi e da piani di studio in parte liberi a cura dello studente.

Alcune sperimentazioni furono attivate ufficialmente anche dallo stesso Ministero, come quella che diede vita alla magnifica attività pluriennale della Scuola Media ‘Rinascita’ di Milano mentre negli anni ’90 fu attivato un percorso sperimentale degli Istituti ad Ordinamento Speciale (ITSOS) nei quali prevalevano i percorsi ‘open’ (cioè corsi aperti alla partecipazione di studenti di ogni età scolastica e di pari competenze pregresse) su quelli ‘orizzontali’ (cioè limitati a gruppi omogenei solo per età biologica o curriculum).

[8]

In tempi molto più recenti, nell’ambito della campagna pro-digitale attivata dalla ennesima riforma detta con ottima soluzione di marketing culturale (e con identica inaffidabilità sostanziale) ‘La buona scuola’, sono stati finanziati progetti come ‘Classe 2.0’, ‘Scuola 2.0’ e diffuso quella della ‘Classe scomposta’: tutti centrati sulla necessità di variare l’organizzazione dell’accesso ai saperi e dell’organizzazione interna degli istituti e sul tema della metodologia didattica.
I riscontri di questi progetti sono stati poco rappresentati e non sembrano avere inciso in modo particolare sulla realtà scolastica e sulla formazione degli insegnanti in particolare: la didattica a distanza (dad) e il Covid hanno oscurato le conclusioni e le hanno posposte: fino ad oggi, almeno, quando la ‘questione della classe’ ha ripreso vigore nella consapevolezza e nelle preoccupazioni di molti.

[9]

Tutti questi progetti, ed altri che qui non nomino, avevano però centrato il vero focus della questione.
Come nel caso della didattica in presenza vs la didattica a distanza, non fa al caso nostro difendere in modo oltranzista il modello-classe (che, come abbiamo visto, può presentare aspetti vantaggiosi e positivi per formazione e istruzione) così come schierarsi in modo radicale per un suo completo abbattimento (posizione che però agisce su diverse e ottime ragioni di inefficienza formativa e del sistema di istruzione).
Il problema, con o senza classi, in presenza come a distanza, persiste nel modello culturale e nell’approccio metodologico, cioè nella didattica. Dobbiamo quindi creare i presupposti teorico-culturali perché la metodologia didattica permetta a ciascun allievo di risolvere i propri problemi di apprendimento, e cioè impari anzitutto ad imparare, e raggiunga nel corso della sua esperienza scolastica il miglior risultato possibile alla sua portata.

Se l’intento prioritario della scuola pubblica è quello della formazione dell’individuo, del cittadino e quindi del professionista, l’impianto pedagogico e l’intera a pratica didattica dovrebbero fare perno su una salda consapevolezza professionale degli insegnanti. Questo significa che lo Stato dovrebbe investire decisamente in formazione preventiva dei professionisti dell’Istruzione e che dovrebbe accompagnare la formazione in itinere dei docenti in servizio con percorsi che ne valorizzino competenze e professionalità.
Quando la situazione della Secondaria affiancherà quella della Primaria, dove la formazione professionale è decisamente all’avanguardia nonostante tutti i tentativi politici di limitarne l’efficacia, la competenza specifica degli insegnanti sarà diffusa, modelli diversi potranno essere praticabili con pianificazioni flessibili e governate da adeguate tecnologie didattiche.
Perché ciò accada è necessario progettare percorsi di formazione all’insegnamento che diano ai laureati e agli specialisti che scelgano di ‘essere insegnanti’ piuttosto che ‘fare gli insegnanti’ gli strumenti teorico-pratici per sviluppare le strategie più opportune ad ogni contesto: come del resto farebbe qualunque professionista di altro settore.

Non è la classe, il problema: è un sistema che troppo spesso risulta nella pratica poco adeguato al raggiungimento degli scopi dichiarati e che non è in grado né di monitorare efficacemente la propria efficacia né di correggere i propri percorsi, modellandoli sulla complessità del mondo.
Nel lontanissimo 1969 l’Unesco si provò ad immaginare quali sarebbero dovute essere le priorità dell’educazione nel mondo che si prospettava alle soglie del XXI secolo: ne uscì l’indicazione quasi profetica che esse potevano essere riassunte in un diagramma a quattro voci in cui a sapere e saper fare dovevano corrispondere saper vivere e saper convivere.
Qualunque sia la soluzione organizzativa della scuola prossima ventura post-dad non credo si possa più pretendere che la pur vantaggiosa classe possa essere l’unica soluzione didattico-formativa disponibile nel set organizzativo degli istituti.
Continuiamo a parlarne.

Citazioni

(1)  – Pasquale Scarpati in https://www.ponzaracconta.it/2021/03/11/la-scuola-ovvero-larte-di-arrangiarsi/
(2) – Ex cattedra, s.l., in Rossoscuola e Il manifesto, 1987. Ex cattedra e altre storie di scuola, Milano, Feltrinelli, 2006
(3) – Enrica Ena: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10157853793223513&id=695438512 [10]
(4)
https://dariodepasquale.it/la-scuola-italiana-nella-storia-le-riforme-scolastiche-degli-anni-70-90/ [11]
(5)  –  Enrica Ena: https://enricaena.blogspot.com [12]

 

Vignette da Paolo Iorio in La Scuol@ di PAV. Il canale dedicato alla satira e all’umorismo – www.orizzontescuola.it [13]

[14]Da enricaena.blogspot2019.com [15] (5): incontro in classe con Riccardo Gazzaniga, autore di “Abbiamo toccato le stelle. Storie di campioni che hanno cambiato il mondo


[Scuola (9. La classe è classe – Continua]
[Per accedere gli altri articoli, digitare – Scuola – in Cerca nel Sito o anche attraverso l’indice per Autori: Santoro Bruno – NdR]