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Un ricordo di don Raimondo

di Assunta Scarpati
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Formia 7 dicembre 1983
Una giornata assolata, nitida e fredda…
…dal porto la cima del Redentore era vicina quasi a toccarla e il profumo del mare ti faceva sentire casa più vicina.
Il tempo di fare il biglietto e mettere i piedi sulla passerella dell’aliscafo e mi veniva mal di testa.
Per fortuna che rientravamo in tanti e allora tra saluti, baci e chiacchiere sulla scuola all’improvviso ti rendevi conto che l’aliscafo rallentava e si sedeva sull’acqua.
Sulla sinistra le cupolette colorate del cimitero sembravano una burla.

Come poteva esserci colore, vita in un luogo così triste, oscuro, buio che non aveva nulla a che fare con il bianco, il rosa.

[1]
La morte era per me una sola dolorosa tinta: il nero più assoluto ed era un buco profondo dove la mia allegria, la mia giovinezza non trovavano pace e consolazione ma solo malessere.
Mia madre era lì in quel posto tetro e senza luce.
Sulla banchina mi aspettava papà con la 126 bianca e con il suo giubbotto di velluto beige a coste. Un sorriso e un bacio, poche domande e poche parole.
Entrambi avevamo un dolore dentro così forte che non poteva essere supportato dal dialogo, per pudore, per la paura di piangere.
A casa i nonni mi aspettavano guardando dal vetro della porta.
La prima a corrermi incontro era Queen, un bracco italiano bianco e nero che non mi lasciava andare finché non mi fossi seduta sulle scale e l’avessi accarezzata. A quel punto il nonno la sgridava e lei, bonfochiando in linguaggio canino, mi lasciava andare certa di ritrovarmi più tardi per i suoi giochi.
La nonna mi abbracciava stretta; tra le sue braccia trovavo amore, dolcezza e tanta disperazione.
Ma era una donna forte e subito trovava il modo di sviare.
“Assunta, agge cuovete ‘nu belle fasce ‘i  giunchiglie e doie rose.
Doppe che ci’amme pigliate ‘u cafe’ ‘i puorte a’ Madonne!”
Lei sapeva che non era una richiesta ben accetta ma sapeva che per non dispiacerla lo avrei fatto.
Lo faceva apposta.
Scendevo a piedi passando “p’a Ponte” e in dieci minuti ero a Sant’Antonio. Me ne andavo “pe’ coppe” il porto di sopra meglio conosciuto come corso Carlo Pisacane…
Le scale della chiesa le facevo tutte di un fiato, entravo, posavo i fiori sulla balaustra e mi sedevo al banco vicino a Sant’Antonio da Padova. Da quella posizione li vedevo tutti.
Tutti e tutte a cui avevo rivolto tante preghiere ma nessuno mi aveva ascoltato.
A quel punto le lacrime scendevano, calde, amare, fatte esplodere da una rabbia che covava dentro e che non mi dava pace.
“Figlia, stai bene? Posso aiutarti?”
Un grande sorriso, una fronte ampia e spaziosa, il naso a patata e un sorriso rassicurante.
Tutto vestito di nero, compreso il cappello che aveva in mano; l’unico colore era il bianco del colletto che mi faceva capire che era un sacerdote.
“Io sono don Raimondo, posso fare qualcosa per te?”.
“Grazie padre ma non ho voglia di parlare“.
“Allora sei qui in ascolto, un po’ di sana compagnia non guasta mai”.
Mi stavo irritando: non volevo compagnia e non ero in ascolto.
Volevo essere lasciata in pace.
“Mi dici il tuo nome?”
Una parola… “Assunta”
“Assunta alle sette vieni a fare le prove di canto. In questi giorni non ti ho visto; io sono qui dall’altro ieri“.
Spudoratamente dissi una bugia: “Padre sono stonata come una campana”.
“Don Raimondo, sono don Raimondo, e comunque a Dio non importa se sei stonata: in mezzo a una banda un flauto che fischia ci può sempre stare. L’importante è che fischi piano!”
“Don Raimondo,  non ho nemmeno voglia di fischiare; per favore mi lasci in pace.”
“Assunta… mi siedo vicino a te, non parlo, ti tengo compagnia”.
Rimase seduto accanto a me a lungo, senza parlare.
“Assunta, resta per il Vespro, arrivano le ragazze e i ragazzi e poi proviamo le canzoni di Monsignore. Ho portato una canzone fortissima che facciamo a più voci: Maria Santissima. Ha bisogno della tua voce, lei è Madre e ha bisogno dei suoi figli”.
[2]
Quella parola scatenò in me un inferno.
“Io non ho più voce per cantare!!! Mi lasci stare!”
“La conosci ‘L’uomo va’?”
“Si, la cantano in parrocchia a Santa Teresa.”
“Forza, canta con me…”
 L’uomo va, triste e il suo cuore e non sa se pace troverà… L’uomo va e cerca te dolce madre Maria…
Del dopo ricordo poco, stetti così male, ma rimasi lì.
“Assunta, quando ti sentirai canterai. Dio nel silenzio trova parole profonde e chiare per parlarci, dobbiamo solo metterci in ascolto… e Maria non ti farà mancare le sue carezze a questo dolore incontenibile”.
E lì parlai… con veemenza, con rabbia, con tormento e don Raimondo mi ascoltò.
Tante volte negli anni mi ha ascoltato.
Adesso sei partito per il tuo ultimo viaggio, con il tuo sorriso, il tuo accento così diverso dal nostro, col tuo cappello, la tua voce, il tuo ottimismo e il tuo buonumore.
Adesso hai un posto di sicuro nella banda del Paradiso con la tua fisarmonica .
Grazie Don Raimondo per avermi ricordato che mamma mi aveva dato e lasciato un dono inestimabile che è la vita, che andava onorata e rispettata… con la Lode e con il canto.
Buon viaggio, don Raimondo