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La sostenibilità (4). Un approccio alla realtà ponzese

di Francesco De Luca

 

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per l’articolo precedente
“Progetto futuro (3). La sostenibilità” (leggi qui [2])

 

Consentitemi di procedere in modo spigliato. L’argomento è accattivante ma anche impegnativo. Se lo affronto con disinvoltura riuscirò (forse) ad essere interessante.
Per cui inizio col rapportare il concetto di sostenibilità alla residenzialità della vita isolana. E già, perché nell’anno solare Ponza assiste a due tipi di residenzialità: quella invernale e quella estiva. Esse presentano volti molto differenti. In inverno (novembre-marzo) l’isola vede stabilmente dimoranti circa 1500 – 2000 persone, e nel periodo marzo-agosto, in modo sempre più progressivo e compulsivo, presenze che arrivano a 15.000 persone circa con i turisti.
Le analizzo in modo succinto e, spero, efficace.

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Nel periodo invernale la ‘sostenibilità’ presenta insufficienze sul versante della socialità, giacché la vita isolana è carente di rapporti, tale da divenire in-sostenibile, ovvero incapace di offrire al bisogno sociale degli isolani gli stimoli e gli appagamenti per i quali la vita può definirsi accettabile e appropriata.
Vedo bene che ho utilizzato il concetto di ‘sostenibilità’ in modo atipico, perché al di fuori dal contesto ecologico, ma, come ho precisato nell’articolo precedente, è riduttivo l’uso del significato ‘sostenibile’ al solo ambito ecologico. E’ più opportuno vederne gli effetti anche nel campo sociologico. Guardando così al fenomeno della vita sul nostro pianeta nella globalità delle interrelazioni fisiche e umane, economiche e territoriali, climatiche e culturali.

Orbene non appaia fuori luogo soffermarsi ad analizzare l’‘insostenibilità’ della vita ponzese nei mesi invernali perché è da qui che occorre partire per poi comprenderne l’incidenza negli altri aspetti. Ossia, nella calca del periodo estivo e dunque nell’impatto della folla col piccolo e fragile territorio isolano, nel disordinato afflusso economico, nel vorace godimento delle bellezze naturali, nell’intasato utilizzo delle strutture cittadine (di comunicazione, rete fognaria, rete idrica, strutture di ricezione nautica e alberghiera).
Potrebbe apparire inopportuna ma la domanda dalla quale partire, per affrontare, nel suo complesso, la vita isolana è: la residenzialità invernale è confacente alla comunità?
Superficialmente potrebbe rispondersi che sì, giacché la vita isolana nel periodo invernale vede ridotto il numero dei residenti (circa 1500 – 2000), e poi si adagia nei ritmi di una esistenza che si è adattata all’isola in circa 250 anni di scambio interattivo fra territorio-società, ambiente-cultura, spinta antropomorfa e durezza della natura. Per cui l’isola ha trasformato la sua costituzione geo-morfologica, provocando nel contempo trasformazioni anche nella psiche, nella mentalità, nei comportamenti dell’isolano.

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Il territorio, sotto la spinta della colonizzazione, ha mutato aspetto: da zona inospitale e selvatica ha generato abituri, contrade, approdi, luoghi di culto, di ristoro, di svago. E’ diventata produttiva e capace di spingere i suoi abitanti a migliorarsi, a cercare fonti di sussistenza lontani, a innestare sentimenti permanenti di attaccamento alla terra.
Ma, dopo secoli di scambi alterni si è giunti ad un punto in cui la permanenza sull’isola nel periodo invernale è disprezzato, preferendo il domicilio nelle città costiere. Oggi è così.
La qual cosa sta lasciando alle dinamiche territoriali di seguire il corso naturale del dilavamento, dell’insicurezza dei clivi, della fragilità delle coste. Lasciando la vita cittadina priva di certezza civile (spopolamento delle classi scolastiche, sanità pubblica traballante, supporti sociali alle relazioni inesistenti).
Sta venendo meno la cura del territorio a fini abitativi. Non vorrei apparire menagramo ma sta venendo meno il supporto alla grandiosa opera che i Borbone espletarono partorendo l’idea di colonizzare le isole ponziane. Trovando negli ingegni di Winspeare e di Carpi (gli ingegneri che resero possibile la dignità della vita cittadina nelle isole) le modalità operative per rendere fattibile l’idea.

Ho detto della cura del territorio ma c’è da inserire in tale concetto anche la dimensione culturale generata da tale cura. Lo stretto rapporto colono-territorio ha partorito una messe immensa di massime, indicazioni, motti, e poi abitudini e comportamenti e suggestioni. Che hanno interessato la vita del colono, con l’andare delle stagioni, col gestire i sentimenti, implorare benedizioni, misurare la contingenza quotidiana, esorcizzare le disgrazie.
Cura del territorio e cura dell’anima. L’isolano, ovvero il ponzese, ha generato forme interrelate di esistenza. Che hanno visto anche l’esodo dalla terra natìa, l’emigrazione, ove non fosse possibile un equilibrio fra lo stare e lo star bene; che ha patito la fuoriuscita costante dei suoi figli ‘migliori’, lasciando la manodopera inqualificata a soggiornare stabilmente. Soggiogata, questa, sistematicamente, da dirigenze ‘estranee’ all’isola.

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La storia di Ponza è magnifica per chi sa leggere la testardaggine degli ignoranti, del popolo analfabeta ma capace di vedere il proprio destino e di aspirare a costruirlo.

E’ insostenibile la vita a Ponza, nell’attuale fase epocale, perché non c’è equilibrio fra le varie necessità imposte dall’esistenza. La necessità economica confligge con il numero dei residenti invernali, la necessità lavorativa scalpita, la necessità culturale (religiosa, scolastica, ricreativa) è asfittica.
Si rimanda tutto all’estate, giacché si crede che essa possa colmare tutte le lacune. Cosa che fa ma in modo non stabile, e dunque insufficiente. Perché l’estate, con tutto quello che implica in quanto a movimento di persone, di denaro, di creatività e di realizzazione poggia sul solo fattore meteorologico. Il solo determinante, gli altri essendo di supporto.

Il turismo, nonostante muova e produca ricchezza economica, non è stato stabilizzato in organi civilmente costituiti. A livello pubblico l’Assessorato al turismo non ha partorito, dico negli ultimi 70 anni, nessuna struttura civile degna di tale nome. La Pro-loco, a livello privato, ha scarsa incidenza, e così la Confcommercio (con alberghi, trattorie, ristoranti, pontili, pub e cooperative varie).
Il tutto poggia sulla capacità manageriale dei ponzesi. I quali hanno gestito le loro imprese in modo mirabile ma in un clima diverso da quello che si sta organizzando nell’immediato. Oggi il turismo è un affare mondiale, che si è trasformato e che si va trasformando di anno in anno. Sotto la spinta di impellenze ecologiche, culturali, naturalistiche.
Impellenza ecologica. Non è bella una spiaggia soltanto perché ha una sabbia gradevole, ma anche perché i fondali non presentano immondizia, perché l’acqua non ha presenza di scoli fecali, perché non è assordata da rumori. In più, si chiede che possieda possibilità di ristori adeguati, degustazione di prodotti locali, visione di fauna stanziale. E se non c’è tutto, come è da spettarsi, ci si industria per dotarsene.
Il che proietta il piccolo sogno isolano nella mastodontica realtà planetaria. Desiderare anche a Ponza la raccolta differenziata (per dirne una) significa partecipare allo sforzo collettivo di pulire il mondo. Desiderare l’allontanamento dalle energie fossili significa contribuire alla salubrità del pianeta. Desiderare il controllo sull’afflusso turistico significa investire sul futuro dell’isola.

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La sostenibilità ruota intorno a questi obiettivi, che coniugano l’economico con l’ecologico, il culturale col sociale. E’ fatta di scelte politiche ma anche di convincimenti etici. Prospetta rigidità negli egoismi e mira a soddisfazioni collettive.

Non ho capacità di preveggenza ma è alla mia portata capire che la distonia patogena fra inverno ed estate, fra gozzovigliare e desolarsi, fra ricchezza di pochi e sufficienza dei più, fra l’ingordigia dei vecchi e l’affanno dei giovani, non porterà nulla di buono.
Si aggiunga allo scenario descritto la comparsa sciagurata della pandemia, e i presagi negativi diventano più corposi e più nefasti.
Volutamente infatti ho tenuto lontano le considerazioni suscitate dal disastro Covid, affinché il quadro risultasse meno legato al momento contingente. Del quale però bisogna tener conto in modo sempre più avvertito, come consigliano gli analisti della realtà fattuale.

Mi sono impegnato in una analisi difficile, tanto da potersi giudicare presuntuoso il tentativo di affrontarla. Che sia inadeguata lo so da me. Come so che la presento per innescare riflessioni non per generare condivisioni.

 

NdR: le foto a corredo dell’articolo sono di Silveria Aroma

 

Articolo di Latina Oggi segnalato da Silverio Lamonica (cfr in Commenti)
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