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La storia raccontata dai film (18). Lincoln di Spielberg

di Gianni Sarro

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In ideale connessione con il ritratto di Lincoln, di Emilio Iodice, pubblicato nei giorni scorsi, la lettura che del personaggio e dei tempi fa Stephen Spielberg, costituendo la pellicola l’adattamento cinematografico del libro (Premio Pulitzer) Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns Goodwin (2006), che racconta gli ultimi mesi di vita di Abraham Lincoln.
La Redazione

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La memoria è uno degli architravi del cinema di Steven Spielberg. Scorrendo la sua corposa filmografia, troviamo titoli come Amistad (1997) sulla schiavitù, Salvate il soldato Ryan (1997), sullo sbarco in Normandia e soprattutto il film più doloroso, Schindler’s List (1993), sulla Shoah.
Nel 2012 il regista realizza Lincoln, collocato storicamente durante la Guerra civile americana (1861-1865), in particolare durante l’ultimo anno.

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Spielberg sceglie di non fare un film biografico sul sedicesimo presidente degli USA, né un film sull’abolizione della schiavitù, bensì su come è stato approvato il XIII emendamento, che sancisce l’abolizione della schiavitù.
Possiamo affermare che Lincoln è un film di parola, un film da camera. Tutta la narrazione passa infatti attraverso il dialogo. L’annuncia la prima scena, dove il racconto del massacro della battaglia è sottratto alla discrezione delle immagini per affidarlo al dialogo tra alcuni soldati e il presidente.

Ne nasce un film che sottolinea la natura machiavellica della politica di Lincoln. Come ci mostrano le scene dove assistiamo alla compravendita dei voti, agli accordi sottobanco, al ricorso alla menzogna, finalizzata a cercare di tenere insieme due fazioni del Congresso.
Abbiamo detto che Spielberg non ha voluto fare un film di guerra. Eppure c’è una sequenza dal forte impatto emotivo, che s’iscrive nella migliore tradizione del cinema spielberghiano. La macchina da presa (mdp) ci mostra Lincoln che percorre a cavallo il campo di battaglia cosparso dai cadaveri dei soldati caduti: la potenza delle immagini mostra il dramma di ogni guerra.
La sequenza si apre in una mattina livida, spenta.

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Vediamo il presidente Lincoln incedere a cavallo, seguito da alcuni ufficiali. L’andatura del cavallo è lenta, poiché il regista vuole che il nostro sguardo si soffermi sulla devastazione della battaglia. La figura del presidente scompare quasi del tutto, in primo piano ci sono poveri corpi umani ammucchiati disordinatamente, come ha deciso il caso. Il destino.

In Spielberg ritroviamo lo stesso punto di vista in Salvate il soldato Ryan, alla fine della macro sequenza della battaglia dello sbarco in Normandia e nella scena epilogo della storia di Ryan sul campo di battaglia.
Alla fine della battaglia, sottolinea la mdp di Spielberg, non c’è mai la gioia della vittoria, ma solo la desolazione della morte.
La stessa forza esplicativa la troviamo in altri due film. Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick e in Waterloo (1970) di Sergej Fëdorovič Bondarčuk. In entrambi i casi le sequenze rappresentano l’epilogo del film, dove l’istanza narrante contempla il disastro della strage.

Un aspetto importante, da sottolineare del film e più in generale del cinema di Spielberg è l’importanza del fuori campo. In Lincoln è spesso la luce che proviene dal fuoricampo, possiamo dire che è confinata nel fuoricampo. Perché? Possiamo ipotizzare che la luce è confinata al fuoricampo perché non si vuole illuminare troppo una scena dove si sottolinea un agire non limpido, lasciando solo intravedere le ombre di scambi ai limiti dell’ortodosso. Sono i dialoghi, vera spina dorsale del film, ad “illuminare” quelle scene.

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In Lincoln nel fuoricampo è confinata la vittoria in parlamento del XIII emendamento. Così come l’attentato al presidente. In questa sequenza Spielberg ci disorienta, facendo un doppio gioco sorprendente. Crea un’aspettativa in noi spettatori mostrandoci una scena ambientata in un teatro (2),  dove, essendo giunti all’epilogo del film, ci attendiamo che venga consumato l’attentato. Che invece accade altrove, fuoricampo.
Ci sono altri esempi magistrali di utilizzo del fuoricampo nel cinema di Spielberg. Pensiamo a Duel (1971), oppure a Lo squalo (1975), in entrambe le pellicole è dal fuoricampo che proviene la minaccia.
Anche Schindler’s List è un film costruito intorno al fuoricampo. Il fuoricampo della lista del millecento ebrei salvati da Schindler. Il fuoricampo della Storia. Il fuoricampo della non rappresentabilità dell’atrocità dello sterminio nazista.

Lincoln rappresenta un’altra tappa di un percorso stilistico che Spielberg ha iniziato giustappunto con Schindler’s List. Un percorso dove non troviamo più né il meraviglioso, né il fantastico, segno caratteristico del primo Spielberg. Il cinema come parco giochi che raggiunge con Jurassic Park (1993) il suo apogeo è finito. Lo si capirà di più e meglio con i titoli successivi, come il già citato Salvate il soldato Ryan, A.I.(2001), Munich (2005).

Un’ultima considerazione sul finale del film.
Come dicevamo all’inizio dello scritto, la memoria è un architrave del cinema di Spielberg. Pensiamo agli epiloghi di Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, dove la mdp ci mostra uomini e donne contemporanei (i film, ricordiamolo, sono entrambi degli anni novanta del XX secolo, mentre gli episodi narrati risalgono agli quaranta, quelli della seconda guerra mondiale) e rendono omaggio a chi ha fatto del bene nel passato.

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Per il finale di Lincoln Spielberg ci mostra un flashback (3) dove vediamo Lincoln ancora vivo, mentre pronuncia un discorso. È lo sguardo cinematografico che, attraverso l’utilizzo del flashback, ritrova la supremazia nello spazio scenico, dopo aver lasciato il passo per tutto il film alla parola.

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Note

(1) – Nel linguaggio del cinema si intende per fuori campo tutto ciò che accade fuori del campo visivo del quadro (la scena che compare sullo schermo) ma è presente nell’immaginario spazio adiacente. Il fuori campo viene spesso descritto, tramite le tecniche cinematografiche, in maniera che possa essere immaginato e ricreato dalla fantasia dello spettatore.

(2) – Lincoln fu ucciso il 14 aprile 1865 presso il Ford’s Theatre, a Washington

(3) – Flashback – in italiano analessi o retrospezione (addirittura è più noto il termine inglese) -, è un procedimento narrativo che riavvolge la struttura del racconto (cioè la sequenza cronologica degli eventi) su se stessa, raccontando – o, nel caso di un film, mostrando – avvenimenti che precedono il punto raggiunto dalla storia

(*) – Di Lincoln hanno scritto recentemente sul sito, Emilio Iodice  (leggi qui [7]) e Fabio Lambertucci, in commento a Garibaldi [8], sempre di Iodice (nota della Redazione).