Carannante Martina

#Quarantine: diario di bordo, speriamo di non affondare

di Martina Carannante

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Silvio Pellico, arrestato a Milano per adesione ai moti carbonari, con le sue memorie “Le mie prigioni” racconta il periodo di reclusione durato circa 10 anni (1820-1830). Certo la mia condizione non è minimamente paragonabile, però per chi come me è abituata a non avere limiti e confini, una quarantena può essere paragonata ad una prigione. Quando circa un anno fa il mondo entrò in lockdown per colpa del virus Covid-19 nessuno avrebbe immaginato effettivamente come si sarebbero evolute le cose. Nel giro di pochi giorni ci trovammo tutti chiusi dentro casa e proiettati verso una nuova vita; tutto sembrava difficile e inaccettabile: le file lunghissime per la spesa, orari da rispettare, distanze e l’odiata mascherina.

Non si accettava di non poter andare al bar a fare colazione o l’aperitivo, la cena al ristorante, i viaggi o a ballare in discoteca. In molti hanno perso il lavoro, in tanti i loro cari. Tutto il mondo a maggio 2020 era distrutto da questa situazione, ma la bella stagione arrivò e portò oltre al caldo anche aria nuova e speranza. La sperimentazione e la promessa dell’arrivo dei vaccini hanno ridato nuova linfa al mondo, che pian piano è ripartito.

Sull’isola, essendo appunto isolati, si è anche, spesso, dissociati dalla realtà ed il tutto è stato vissuto in maniera differente anche nelle tempistiche. I primi casi sono comparsi solo ad ottobre, prima isolati e poi man mano sempre a cerchia più ampia, ma fino a queste ultime settimane tutto era sotto controllo e tranquillo; poi… qualcosa è cambiato.  C’è chi sostiene che ci siano tanti asintomatici che involontariamente hanno propagato il virus e chi dà la colpa alla variante inglese che è tanto veloce ed aggressiva; si comincia a puntare il dito e si ritorna ad essere sospettosi ed insicuri. Tutti, forse, abbiamo dimenticato che il virus è sempre stato dietro l’angolo, nascosto, ma presente, vigile, e non è puntando il dito contro o accusando che lo si combatte.

Ad un anno dal lockdown mondiale sono in quarantena anche io: in pratica festeggio l’anniversario della pandemia. Non si dica che non sia una persona generosa. Il virus è arrivato tra i miei amici e i miei affetti, e anche se al momento sono negativa ho preferito isolarmi per tutelare una parte della mia famiglia. Così martedì pomeriggio ho fatto le valigie e mi sono trasferita a casa a Le Forna, anzi al “casello ‘i Copp’ a Chiesa!”

Era la casa dei nonni paterni, con la loro scomparsa è stata divisa e risistemata; ho sempre rivendicato la mia proprietà, ma mai avrei pensato di venirci ad abitare in una circostanza del genere. E’ una casa puramente estiva, tanto che aprendo la porta trovo ancora il ventilatore poggiato sul mobile; lenzuola estive ed ovviamente abbastanza vuota. Zia Ros al piano superiore mi cede una stufetta elettrica che non usa; mi organizzo così per la prima “notte fornese”. Nonostante la situazione, essa mi dà il senso di casa, di calore: sarà che qui venivo a dormirci quando ancora c’era Nonno Michele. Lui e mia cugina dormivano giù ed io su al mezzanino, proprio dove sono ora. La prima volta che ho dormito qui potevo avere 14 anni e i miei cugini convinsero i miei genitori a farmi fare il primo Capodanno da sola (con loro ovviamente) e a dormire su a casa a Le Forna. Fu un bellissimo Capodanno per tutti, tranne che per nonno che aveva un pensiero per i suoi nipoti che vagavano a piede libero, sebbene fosse stato proprio lui a garantire per tutti noi! ‘U nonn Mchel’ faceva l’appello dei nipoti ogni volta che sentiva aprire la porta di casa: non dormì per tutta la notte e alle nove di mattina ci buttò tutti giù dal letto perché così come non aveva dormito lui non dovevamo dormire neanche noi! Con questo ricordo chiudo gli occhi e finisce il primo giorno di isolamento. #day1

Non mi abituerò mai a svegliarmi presto, tutti mi prendono in giro perché al lavoro attacco alle 11:00 facendo l’orario pomeridiano: “Martì fai orario da signori!!” mi dicono… e un po’ è vero e mi piace, perché io prima delle nove e mezzo proprio non ce la faccio ad alzarmi dal letto, in quarantena poi, che ve lo dico a fa’!

Squilla il telefono, mamma mi comunica che mi ha lasciato una parte della spesa fuori dalla porta; scendo e saluto lei e mio fratello da lontano, hanno la faccia scura e già questo mi dispiace e mi fa “mangiare un po’ la foglia”.

Solo successivamente e forzatamente mi dice cosa è successo; gli sguardi cattivi o le battute acide in questo periodo proprio non aiutano nessuno e soprattutto non servono a guarire da questo virus. Poi, fatte a persone che proprio non c’entrano niente e che nessuna colpa hanno, è ancora peggio. Consolo mia madre dicendole che dal Covid-19 si può guarire mentre dall’ignoranza no.
Io ho fatto una scelta di testa e di cuore: potevo rimanere a casa mia, con i miei genitori e magari positivizzarmi e mischiarlo a loro, ho scelto di andare via per dare un’opportunità, che la popolazione parli, non mi interessa… Intanto è ora di pranzo e la Ros mi lascia fuori alla porta primo e pure dolce. Questa quarantena comincia a piacermi, certo alla fine rotolerò.
Iniziano ad uscire i primi 10 casi positivi e il mio umore non è dei migliori: il cerchio inizia a stringersi, e ai miei amici cominciano a comparire i primi sintomi… la mente vacilla, ma anche quest’altro giorno finisce… it’s #day2.

I giorni dentro casa sembrano tutti uguali, poi in queste giornate umide e nebbiose non migliora né l’umore e né la voglia di fare qualcosa. Rtl 102.5 è un’ottima compagnia e la musica sicuramente aiuta in questo momento; Palmarola, finalmente, fa capolino tra la nebbia e mi rimbombano in testa le parole di mio padre che, dopo essersi sposato e trasferito a Santa Maria, si lamentava di non svegliarsi con la visione dell’isola di fronte; io mi dedico alle serie tv, alla fine di questa storia avrò una cultura completa e Netflix e Prime ringrazieranno. #day3 uggioso e vott’ a passa’.

Il weekend si avvicina; niente cene con gli amici, niente aperitivo in compagnia al bar; escono altri 10 casi e si inizia a mormorare “Zona Rossa”; la popolazione la chiede, si diffonde la paura, ai piani alti si prende tempo, le scuole sono state chiuse e da lunedì ripartirà la Dad, il virus continua a camminare, anzi a correre. Ci si preoccupa a livello nazionale, ma soprattutto locale; domenica sarà San Silverio a Le Forna, la popolazione spera nella sua mano. #day4

Zia Anna di prima mattina ha addobbato il terrazzino con le coccarde rosse e gialle, almeno l’aria di festa si vede, Frate Francesco è rammaricato, mi dicono.

La processione non potrà uscire, anche San Silverio di febbraio sarà sotto tono, peggio di quello del 20 giugno. L’umore isolano è veramente basso, polemiche sui social, polemiche in strada, malumore generale; siamo come sospesi in un mondo parallelo ma qui rimaniamo fermi, immobili. Io sono ancora nel limbo negativo ma il mio umore è migliorato, sarà che è uscito il sole e tutto sommato è festa. Il pranzo della domenica e un bicchiere di vino aiutano a tenere l’umore alto; mi portano anche il garofano benedetto di San Silverio.

Mi raccontano che in chiesa, alla messa solenne, c’erano pochissime persone; si parla di casi nuovi, sia giovanissimi che adulti: per me meno 2 giorni al secondo tampone.

Inizia la campagna vaccinale a Ponza, è un bel traguardo e sicuramente darà speranza e sicurezza maggiore alle persone. #day5

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