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L’idea dell’Europa unita nasce a Ventotene (prima parte)

Proposto da Vincenzo Ambrosino

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Isola di Ventotene, colonia di confino degli antifascisti, 1939.
«La guerra non la pagherà solo il regime: la pagherà l’Italia, e noi erediteremo le macerie.
Però noi vediamo l’occasione di ricostruire! Invece là, – puntò il bastone in direzione del continente, – la maggior parte della gente ancora sonnecchia, intorpidita dal fascismo. Qui a Ventotene vediamo il futuro, mentre nel resto d’Italia non ne hanno la minima idea! E allora chi sono gli isolati? Chi sono i veri prigionieri del loro tempo?»

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Ho letto il libro La macchina del vento (Einaudi; 2019) un romanzo storico scritto da
Wu Ming 1 pseudonimo di Roberto Bui che parla dei confinati antifascisti a Ventotene.
Il protagonista è Erminio Squarzanti un giovane socialista, ex studente di Lettere a Bologna. Stava elaborando la sua  tesi di laurea sui mari d’Italia nei miti greci quando, per delle azioni contro il regime viene arrestato e  segregato su uno scoglio nel Tirreno; ironia della sorte,  proprio di fronte alla dimora della maga Circe.
In quest’isola rischia di impazzire ma incontra personaggi della storia antifascista dove spicca la figura di Sandro Pertini..

A Ventotene vivevano circa 800 antifascisti
I confinati sono tutti antifascisti ma non tutti sono schierati ideologicamente dalla stessa parte. Questi vivono anche momenti di non solidarietà tra di loro. Vivono in cameroni ma hanno mense separate.
I comunisti più dogmatici hanno un momento di forte crisi  quando Stalin e Hitler stipulano una alleanza strategica (Patto Molotov-Ribbentrop).
“La Stampa fascista scriveva con perfidia  dei calorosi rapporti tra Russia e Germania. A Ventotene i militi leggevano ad alta voce e sogghignando. A tiro d’orecchie dei confinati comunisti, e a volte li apostrofavano: – Sentito? Combattete una battaglia persa. I vostri capi vi hanno lasciati con il culo bagnato. Manco sapete più perché state a marcire qui.

Alcuni comunisti avevano dubbi sulla linea ondivaga che Stalin impartiva: in un primo momento “tutte le altre forze antifasciste andavano ritenute nemiche alla stregua dei fascisti, e dunque i socialisti erano denominati “socialfascisti” Poi il contrordine: con quegli stessi “socialfascisti” andavano cercate intese e formati fronti popolari contro il fascismo”.
Così Terracini continuava a manifestare le sue perplessità: – Poi il patto tedesco-sovietico che ci è caduto tra capo e collo. Il tutto comunicato senza mai, dico mai, criticare la posizione di prima, come se la linea rimanesse ogni volta sempre la stessa, Vogliamo discuterne o no, di codesto fare e disfare?
Terracini, non era un militante comunista qualsiasi era uno dei fondatori del partito, amico di Gramsci e Togliatti a Torino ai tempi del “Ordine Nuovo”
Scoccimarro diceva che Umberto Terracini  andava espulso: – Ormai si è messo contro la linea del Partito pencola verso il Trotzkismo.
– Non possiamo assumerci noi confinati la responsabilità di espellerlo – diceva Pietro Secchia prendendo tempo.
– Di’, Pietro – diceva Scoccimarro – non ti sarai rammollito a dipingere conchiglie?

“Ma lo vedevano tutti che Terracini era isolato, tenuto a distanza, guardato con sospetto dagli altri compagni e con lui Camilla Ravera, altra comunista della prima ora”
– Quand’ero a Turi – mi disse un giorno Pertini – la situazione di Gramsci non era molto diversa. – E non aggiunse altro.
Noi sappiamo che anche Gramsci veniva isolato dagli altri compagni comunisti. Fu Pertini a protestare a Turi perché Gramsci avesse cure mediche e carta penna e calamaio per scrivere.
“I comunisti tenevano alla larga anche Spinelli, Lui non era un eretico: era proprio un rinnegato. Molto attivo nella gioventù comunista romana, negli anni di carcere aveva studiato  tanto, aveva perso la fede in Marx, Lenin e soprattutto in Stalin, lo aveva detto chiaro e tondo e così a lui sì, l’avevano espulso. Era accaduto a Ponza. Da allora gli avevano tolto il saluto, ma non sembrava crucciarsene”. 

“A guardarli in cagnesco, i comunisti, erano soprattutto, gli anarchici, proprio per come erano andate le cose in Spagna. Gli scontri dentro il fronte antifascista, il fratricidio che aveva reso più tragica la tragedia mentre il “franchismo” avanzava e faceva gargarismi col sangue. Tra i due gruppi Anarchici e Comunisti stava  in piedi uno spettro: quello dell’anarchico Berberi, ucciso da stalinisti a Barcellona”.
“Un giorno sentii Spinelli raccontare di quando era comunista in clandestinità. Il suo nome in codice era Ulisse e concluse: – E adesso sotto il peso di doglie profonde, in un’isola ei giace.”.
“Spinelli, Rossi e Colorni facevano già repubblica per conto loro. Stavano perfino pensando di aprire una nuova mensa, per mangiare solo tra federalisti.”
“Tutti gli antifascisti di Ventotene chiamavano Mussolini “Pasta e Fagioli”

“Alla mensa dei socialisti il capo mensa era Pertini: da fuori Pertini, al solito, non mostrava una incrinatura, ma  era in una fase di bilanci e di pensieri malinconici. Si avvicinava la scadenza del suo periodo di confino e sapeva già che lo avrebbero tenuto lì. La prefettura avrebbe proposto la riassegnazione e il ministero avrebbe agito di conseguenza , come faceva con ogni antifascista di spicco. Pertini, portavoce ufficioso dei confinati, agli occhi di Meo (il direttore del confino) era un piantagrane per cui non aveva speranze di andarsene a breve”.
“Non c’era uomo che ammirassi di più. Scegliendo la lotta contro il regime aveva rinunciato a una carriera promettente di avvocato e tra esilio, carcere e confino aveva bruciato ogni residuo  di gioventù. Era riparato in Francia a ventinove anni, lo avevano arrestato che ne aveva trentatré ormai ne aveva quarantaquattro. A casa, nei pressi di Savona aveva la madre anziana, che tanto aveva sofferto per il figlio e desiderava rivederla almeno una volta prima che morisse. Aveva quel peso nell’animo, ma c’era una cosa a cui teneva: era che il nostro morale non fosse troppo basso. E quel girono era bello alto”.

Discorso di Pertini in mensa: – Cari Compagni e amici, oggi vi vedo lieti e questa capacità di essere lieti, di essere superiori di restare vivi anche sotto il tallone dei prepotenti, questa, compagni è la nostra più grande forza. Quella dei prepotenti non è forza, ma debolezza. La condizione in cui ci troviamo dimostra, che nonostante spadroneggino da anni, i fascisti hanno ancora paura di noi. Se non avessero paura, nessuno di noi si troverebbe qui. E questo dice molto della loro debolezza. Noi, compagni, dobbiamo sempre tenerci pronti il momento verrà! Verrà il momento di opporre la nostra forza a la loro debolezza. Prima o poi coi prepotenti c’è il redde rationem, e… Un sorriso gli illuminò il viso e poi chiamò il brindisi: all’idea che non muore!”

Come parte la riflessione sull’Europa Unita
I tre federalisti – Spinelli, Rossi, Colorni –  vivono rinchiusi in quella isola, sottoposti a leggi severissime e poi circondati dal mare. Guardati con diffidenza dagli altri antifascisti soprattutto dai comunisti, riflettono insieme del mondo costretto alla guerra: una nazione contro l’altra, divise da  ideologie inconciliabili  che hanno saputo produrre solo l’odio tra i popoli. Il fascismo, lo stalinismo, il nazismo e il liberismo. Popoli in guerra l’uno contro l’altro, chiusi nelle trincee dei loro stati nazionali.  

I tre federalisti provengono da esperienze ideologiche diverse: Altiero Spinelli comunista espulso dal partito, Ernesto Rossi libertario e repubblicano, Eugenio Colorni socialista.
Indipendentemente e insieme con i loro diversi bagagli intellettuali, riflettono sulla guerra, sulla situazione nazionale e internazionale e sulla loro condizione umana.
A Ventotene nel 1941 spesso non arrivava  il Santa Lucia, a volte per cattivo tempo ma anche  perché impiegato in missioni di supporto militare. La condizione dei confinati antifascisti senza l’apporto di viveri della terra ferma in quei momenti, peggiorava a dismisura. 

Squarzanti incontra Spinelli, Colorni, e Rossi e ai tre confida i suoi pensieri
Squarzanti: – Ogni città è fragile come questa isola, se entrassero in crisi i circuiti che la alimentano anche la più ricca e potente delle grandi città si ritroverebbe nella condizione di questa isola, nelle condizioni che viviamo ora, anzi in una situazione da subito peggiore: in piena carestia.
– Corretto – disse Rossi. Colorni annuiva,
– Per far crollare una città – continuai – qualunque città, non serve un assedio, non servono le trombe che squillarono a Gerico: basta abbandonarla alla sua insufficienza, al suo stato di dipendenza. E maggiori saranno i progressi della tecnica, maggiore sarà la dipendenza. Man mano che tutto viene elettrificato e meccanizzato, in città tutto diventa più fragile: ma quale cittadino ne ha percezione? Forse bisogna essere su un’isola come questa , in un momento come questo, per rendersene conto”
Ernesto disse: – Molto acuto Squarzanti. Bella coincidenza.
Se ti dicessimo che da tempo i nostri ragionamenti vanno nella stessa direzione? -disse Eugenio
Ernesto: – Bisogna essere in un’isola come questa, in un momento come questo, durante una guerra come questa, per capire quello che anche tu hai capito.
Altiero: – Non solo ogni città, ma ogni Stato nazione è come Ventotene.  Checché ne dica il fascismo, al mondo d’oggi nessuna nazione può essere autarchica e quando più dipende da un complesso sistema di scambi internazionali, tanto più i suoi capi politici e militari cianciano di onore nazionale, supremazia, sacralità dei confini, posto al sole, spazio vitale… eccetera. Come i cervi infoiati, ogni Stato deve metter in mostra un bel palco de corna, e fare a cornate coi rivali, perché ciascuna nazione deve competere con le altre, conquistare risorse lontane, accaparrarsene le materie prime ecc.”
– E se dopo aver visto due grandi guerre nel giro di vent’anni non abbiamo ancora capito l’antifona – proseguì Eugenio – potremmo non avercela una terza occasione. Abbattere i fascismi non basta. Liberare le nazioni occupate dai tedeschi non basta. Se non vogliamo più guerre, dobbiamo superare gli stati nazionali.”
Squarzanti: – Ma questo noi socialisti lo diciamo da sempre. Dove sarebbe la novità?
Eugenio: – E’ vero noi socialisti predichiamo bene, ma razzoliamo male perché rimandiamo sempre a un dopo: le nazioni scompariranno quando scompariranno le classi, il nuovo ordine si svilupperà quando tutti i paesi saranno socialisti, e così via. E intanto continuiamo a ragionare nei termini della vecchia politica nazionale. Invece Altiero, Ernesto ed io ci stiamo persuadendo che si debba procede all’inverso: un nuovo ordine che superi gli Stati nazionali è la precondizione per tutto il resto. Per prima cosa occorre una federazione Europea.
Squarzanti: “Ma il Partito che ne pensa ne hai parlato con Pertini?
Altiero: – Tempo al Tempo, vogliamo mettere prima queste idee nero su bianco, con la massima chiarezza.
Squarzanti: – In che senso l’invasione nazista sarebbe un’occasione?
Rossi: – Il nazismo occupando buona parte dell’Europa rende sempre più chiara e netta la situazione: i popoli hanno un comune nemico, una comune lotta, una comune sorte. Possono vincere insieme per poi tornare a dividersi, cosa che sarebbe molto stupida o vincere insieme e restare insieme anche dopo” Per certi versi Hitler sta già federando l’Europa.
Squarzanti: – Mi pulsa la testa, troppi pensieri eppure mi sembra che manche qualcosa…
Risposero i tre: – Che cosa?
Squarzanti: – Beh, la forma non è il contenuto, che contenuto avrebbe questa Europa federata? Sarebbe capitalista o socialista? Rimarrebbero le divisioni in classi? E questa Europa federata manterrebbe o no le colonie dei singoli stati? Francia e Gran Bretagna non sono solo stati nazionali, sono anche imperi. Porterebbero in dote le loro colonie d’Africa e Asia? O l’Europa adotterà il principio dell’autodeterminazione dei popoli e dunque federandosi tra loro, gli stati europei rinunceranno ai loro imperi? Mi sembra improbabile. E allora non ne ricaveremo solo un Superstato imperialista?
Spinelli disse: – No, no, no… Tutto ciò dopo, altrimenti dividiamo subito le forze… È vero la forma non è il contenuto, ma certi contenuti in certe forme non possono entrare, ecco perché servono nuove forme. Si illude chi pensa che si possono evitare le guerre mantenendo gli stati nazionali. Per cui bisogna iniziare ad unire quelli che ci stanno e ce ne sono molti tra i socialisti, i cattolici e i liberali…
Colorni: – Anche tra i comunisti.
Squarzanti: – I comunisti? Che rapporto avrebbe questa federazione con l’URSS?
Spinelli: – Non ha senso domandarselo ora. la via da percorrere non è facile né sicura ma va percorsa!

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