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La svolta impressa da Mattarella nell’analisi di Miguel Gotor

Proposto da Sandro Russo; presentazione di Tano Pirrone 

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Conosco bene il compagno Miguel, è venuto in Sezione più di una volta a fare delle relazioni, sempre molto interessanti e approfondite: la politica e la storia viste da un’angolazione particolare. Storia, perché Miguel è uno storico di rilievo di cui ho letto il suo monumentale “Memoriale della Repubblica”, analisi degli scritti di Aldo Moro dalla prigionia, connettendoli al calderone del Potere.
Nello specifico, l’articolo è da me sottoscrivibile in ogni sua parte.
È da anni che sostengo che in questa fase storica la discriminante fra destra e sinistra non è solo o tanto nella divaricazione di classe, quanto sulla scelta “definitiva” e sostanziale dell’Europa come Patria sovranazionale. Posizionamento che incide sull’asse delle scelte politiche (singole, di partito, di alleanza). Gotor ribadisce un altro principio fondamentale, che è pietra miliare di una forza politica realmente e modernamente riformista: l’azione progressiva della sinistra deve mirare anche a migliorare l’assetto qualitativo della destra democratica ed europeista al fine della condizione fondamentale di un confronto, anche alternato fra i due poli di “sinistra” e “destra”. È il gioco dell’alternanza, nell’ambito di una struttura definitivamente democratica, in cui in cui agiscono due poli che si confrontano sui progetti e sui risultati, dopo aver alzato in modo considerevole il piedistallo democratico, costituito, appunto dalle regole democratiche generali – comuni -, fra cui, appunto, un sistema elettorale finalmente maggioritario (che era, detto fra molte parentesi) l’obbiettivo che Walter Veltroni si era dato costituendo, con altri, il Partito Democratico.
Condivido, inoltre, in ogni punto l’analisi sulla creazione di un ‘assemblement‘ fra le forze del Governo Conte II e la scelta dei tre ministri di sesso maschile: esattamente nei termini enunciati da Gotor. Infine, mi dichiaro totalmente d’accordo con le conclusioni e sul valore strategico della scelta di Draghi anche in funzione del passaggio dalla Presidenza Mattarella a quella dello stesso Draghi.
T. P.

La copertina del libro di Miguel Gotor, Torino, Einaudi, 2011

Sorpresa, la politica esiste
di Miguel Gotor da la Repubblica del 17 febbraio 2021

Il governo Draghi è un esecutivo di convergenza democratica che non costituisce un’alleanza politica, ma un campo di unità e di coesione nazionale per continuare a fronteggiare l’emergenza sanitaria e per avviare la ricostruzione economica e sociale dell’Italia.
Il cammino si preannuncia lungo e faticoso, ma le polemiche di alcuni esponenti della Lega e non solo, nella loro pretestuosa tendenziosità, sono rivelatrici delle difficoltà che i partiti potranno incontrare nell’interpretare l’attuale cambio di fase e il modo di stare nella nuova maggioranza.
Infatti, quanto accaduto nelle ultime settimane è una cosa grossa che peserà a lungo e in cui la regia del Quirinale ha svolto una funzione istituzionale e politica di assoluto rilievo, producendo tre esiti sistemici che meritano di essere analizzati.

Il primo esito è nel segno dell’europeismo. Sembra passato un secolo, ma le elezioni del 2018 avevano consegnato una fotografia in cui due forze anti-sistema e anti-europeiste come la Lega e i 5 stelle, tendenzialmente contrarie all’euro, avevano superato il 50 per cento dei consensi ed erano persino riuscite a stringere un contratto di governo per guidare insieme l’Italia.
Tre anni dopo quelle stesse forze sono parte integrante di un governo istituzionale dal nitido impianto europeista, dopo avere compiuto un giro di 360 gradi. Se nel 2018 rappresentavano, per diverse ragioni, i barbari alle porte, oggi sono costrette, volenti o nolenti, a rafforzare il loro processo di costituzionalizzazione democratica. Forse non si riflette mai abbastanza su quanto il sistema politico italiano, nella sua flessibilità parlamentare e mobilità trasformistica, dimostri una certa virtuosa capacità nell’istituzionalizzare le forze anti-sistema.

Il secondo esito riguarda le forze politiche, cui è stato rivolto un invito, dall’antico sapore moroteo, a scomporre e ricomporre la propria identità per definire nuove prospettive. Per quanto concerne l’area del centrodestra ciò è avvenuto con un taglio delle ali sovraniste nei singoli partiti grazie all’isolamento all’opposizione di Fratelli d’Italia e una chirurgica scelta della compagine ministeriale: i tre rappresentanti della Lega appartengono a un’area moderata autonoma dal segretario Salvini e quelli di Forza Italia avevano da tempo manifestato il proprio disagio per la scelta di campo sovranista del loro partito.
Anche all’interno dei 5 stelle si stanno determinando le condizioni per una scissione dal sapore identitario e sovranista guidata dall’ala “dura e pura” di Di Battista e compagni, a tutto vantaggio di Di Maio e dei sostenitori di un rafforzamento dell’alleanza giallorossa intorno alla figura dell’ex presidente Conte che ha saputo uscire di scena con stile, dando prova di indubbia sensibilità politica.
Per quanto interessa il campo del centrosinistra è arrivato un implicito invito all’attuale dirigenza del Pd a prendere un’iniziativa che non si occupi soltanto dell’alchimia delle future coalizioni, ma anche dell’identità e della funzione di quel partito che, mai come in quest’ultima fase, è parso in balia degli eventi.
La scelta dei tre uomini come ministri, proprio perché si è accettato di pagare l’ingente costo politico dell’assenza di una rappresentanza femminile, rivela che si è voluto fare ogni sforzo per sostenere la maggioranza interna del segretario Zingaretti premiando i leader delle tre principali correnti. Prova ne sia che nel Pd esiste una quarta corrente guidata da una donna, Anna Ascani, ex viceministro dell’Istruzione nel governo Conte, la quale è stata ignorata non per questioni di genere, ma appunto perché rappresentante di un’area turbo-renziana dal peso assai inferiore rispetto alle altre tre componenti.
Da questi dati emerge la necessità di una ristrutturazione del campo del centrosinistra all’insegna dell’unità e della chiarezza, la cui responsabilità principale dipenderà dalle scelte che saprà compiere il fratello maggiore: nel Novecento per molto meno si sarebbe fatto un congresso ri-costituente.

Il terzo e ultimo esito è servito a porre le condizioni politiche affinché questo Parlamento possa essere in grado di eleggere nel febbraio 2022 il nuovo capo dello Stato con una larga maggioranza. Compiere una simile operazione alla vigilia del semestre bianco è stata una prova di notevole saggezza perché ha delineato le premesse e definito il perimetro europeista di una successione al presidente Mattarella ordinata e ampiamente rappresentativa. Nel vecchio quadro non era affatto scontato.
In una fase storica in cui in tanti suonano le campane a morte per la politica questi tre esiti sistemici sono lì a significare che essa è ancora viva e lotta tra noi. Sarebbe utile che tutti i partiti, invece di alimentare un clima da scaramuccia permanente, che rischia di avere come unico effetto quello di aumentare il loro discredito davanti all’opinione pubblica, cercassero di approfittare di questo tempo di tregua e dell’opportunità suggerita loro dal presidente della Repubblica.

[Di Miguel Gotor, da La Repubblica del 17/2/2021, in Commenti]

Nota della Redazione

Miguel Gotor (Roma, 1971) è un politico, docente, storico e saggista italiano. Insegna Storia moderna presso il dipartimento di studi storici dell’Università di Torino. Ha collaborato alle pagine politiche e culturali dei quotidiani “La Stampa”, “Il Sole 24 ore” e, dal 2020, scrive su “la Repubblica” (lo aveva già fatto tra il 2011 e il 2013) e sul settimanale “L’Espresso” (fonte Wikipedia).

 

2 Comments

2 Comments

  1. silverio lamonica1

    19 Febbraio 2021 at 18:16

    La svolta che il professor Gotor ha illustrato così bene, indubbiamente c’è stata. E’ impossibile negarla. Tuttavia non si deve trascurare il “travaglio” dei 5 Stelle che, partito con 225 deputati e 111 senatori eletti ad inizio legislatura, ha dato un apporto a questo nuovo Governo con 191 voti alla Camera e 92 al Senato, il che sta a registrare una “emorragia” certa di ben 34 deputati e 19 senatori. “… E non finisce qui”, considerando gli astenuti e i non partecipanti al voto in entrambi i rami del Parlamento.
    Questi ultimi, assieme ad altri, stanno di certo sul “chi va la” e i nodi da sciogliere non sono pochi, primo fra tutti il “reddito di cittadinanza”. Quale ne sarà la sorte? Quali saranno le modifiche? Perché in una compagine così eterogenea e con un Primo Ministro proveniente dal “Mondo della Finanza” certe modifiche più o meno radicali bisogna aspettarsele, al pari della reazione di coloro che quel provvedimento hanno promosso.
    Poi c’è il problema “immigrazione” con opposte vedute tra Lega e Centrosinistra…
    Insomma è prevedibile che il consenso a questo Governo si assottiglierà, anche se non correrà il pericolo di cadere, considerata la larga base dei consensi.
    Mi auguro che possa realizzare il programma annunciato, sia pure a grandi linee e che non dimentichi i problemi della nostra gioventù e delle periferie, isole minori comprese.

  2. vincenzo

    19 Febbraio 2021 at 19:27

    Io non la chiamerei la svolta di Mattarella, ma la svolta di Renzi, e poi dei Cinque Stelle e ancora del PD. Non parlerei di svolta di Berlusconi perché lui è un pragmatico, non fa svolte, lui coglie l’attimo.

    Questi partiti “della svolta” hanno imbrogliato i loro elettori. Perché? Perché sono deGLi arruffa-popolo, dei pulcinella. Si arrangiano a campare. Populisti, demagoghi, opportunisti.

    Ma la cosa meravigliosa in tutto questo è che a imporre il silenzio alla demagogia, alla propaganda da bar non è stato il “mangiafuoco” di turno quello che tramuta i burattini in asinelli, ma un banchiere. Il migliore banchiere. Un uomo che non fa miracoli ma sa fare i conti.

    A chi piace un banchiere al popolo?
    A questo nostro suddito popolo italiano nel 2018, sono piaciuti i discorsi dei grillini, giovanotti rampanti che al grido di “onestà” aggiungevano “meno Europa e più sovranità”. Sono piaciute le tute popolari di Salvini che sgolandosi urlava “prima gli italiani” .

    È oggi quegli italiani si trovano al potere il nemico numero uno di questi discorsi.
    Ecco riflettiamo…
    Perché andare a votare se poi non serve a niente? La prossima riforma elettorale chiediamola ai mercati finanziari.
    Non perdiamo tempo e denaro pubblico a fare campagne elettorali perché è così che funziona la democrazia turbocapitalista.
    Se dobbiamo parlare di vera svolta è questa. Il voto degli italiani è stato assolutamente invalidato da questa svolta europeista, che ha come simbolo “irreversibile” l’euro.
    Un solo cartello politico in parlamento sotto il segno dell’euro.
    Nessuno oggi può criticare Draghi se parla di tagliare i rami secchi, di riforme strutturali, di tagli alla spesa pubblica, di incentivare transizioni ecologiche che siano al passo con le nuove tecnologie già sperimentate da grandi multinazionali, di moneta digitale. Nessuno si meravigli se il banchiere non parla nel suo discorso di Costituzione.

    La Costituzione italiana che cos’è? A che serve?

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