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Per Leo. Caro amico ti scrivo…

di Domenico Musco

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Quando si perde un amico si vorrebbero dire tante cose… ma ormai il tempo è scaduto, il treno è partito…
Forse questo mio scritto, dopo una lunga mia assenza da Ponzaracconta, sarà lungo e noioso per molti; però è la storia che con lui ho vissuto, la storia di una persona che ha molto amato e aiutato Ponza. È stato grazie a lui se si sono trovate comprese e importanti opere di epoca romana nel campo dell’idraulica che era il suo regno incontrastato.
Mi scuso se mi sono un po’ dilungato…
D. M.

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Caro amico ti scrivo…
Hai deciso di partire per questa nuova avventura perché stanco di questo mondo dove non potevi essere più protagonista ed il “numero uno” in ogni attività che intraprendevi.
Anche a te, come a noi tutti, gli anni hanno pesato anche se non è stato l’avanzare dell’età ad abbatterti, ma i tanti problemi sopraggiunti, primo tra tutti la progressiva perdita della vista, causata dalla terribile maculopatia di cui hai sofferto… Soprattutto quella deve averti spinto ad andare via.

Mi ricordo bene che anche quando le tue gambe non funzionavano più come prima, i tuoi piedi – calzati rigorosamente Clark comperate a Londra – ti portavano comunque dappertutto. La mancanza di forza nelle gambe è stato il primo avvertimento; poi, con la perdita della vista, ti sei proprio stancato di restare in questo mondo.

E sì, era con quelle gambe che scendevamo a Palmarola dopo aver fatto bisboccia con Ernesto, per le scale di Vardella, in una notte di luna piena, con un mare color argento; con quelle gambe giocavi e raccontavi storie, anche se ti eri infortunato un dito; comunque raccontavi, instancabile…
Con quelle gambe hai girato l’Italia come geologo, anzi come uno che nella professione è stato un precursore, poiché nell’Albo dei Geologi figuravi al n° 5, superato solo da quattro altri come te.

Hai lasciato l’Italia per la tua seconda patria che è stata l’Africa, a cercare l’acqua nei villaggi sperduti della brousse africana, per dar vita a pastori e nomadi di quei luoghi sperduti.

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Leo con Leda

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Le tue gambe ti hanno portato fino in America Latina, a studiare dighe e acquedotti per scriverne… Mi ricordo anche – credo in Perù – dovevano fare una diga distruggendo una grande estensione di foresta; migliaia di villaggi dovevano essere evacuati per far posto all’acqua.
Tu dicesti: – Questa diga non si può fare, è pericolosa la roccia a destra o a sinistra non tiene; può succedere una grande disgrazia.
Il progetto fu perciò accantonato. Al che ti chiesi: – Ma perché non si può fare? Lacqua è importante…
Al che tu rispondesti: – Perché distruggere migliaia di ettari di foresta quando puoi trovare altre strade?
E io di rimando : Ma ti staranno a sentire?
Certo che mi stanno a sentire… sono molto temuto come geologo!

Infatti mi ricordo, quando a Ponza c’era il geologo Paternò, capo dell’Ufficio della regione Lazio.
Mi dicesti: – Chiamalo e guarda la sua reazione quando mi vede…
Io lo chiamai – stavamo a mangiare al ristorante Ippocampo, l’unico aperto d’inverno – e vidi che Paternò ti girava attorno come un cane che fa la corte al suo padrone… Pensai fra me e me: – Certo che Leo è veramente importante…
– Guarda Domenico… – mi disse – alla Comunità Europea per tutti i progetti idraulici dellEuropa, dellAfrica e del mondo intero se c’è la mia firma subito li passano. È una gara continua di tutti i geologi avere me nei loro progetti.

Quelle stesse gambe ti hanno condotto a Ponza, sopra la falesia di Chiaia di Luna dove in due secondi contati hai detto: – Questa prima metà di montagna fino al ristorante da Giacomino si può salvare: occorre regimentare le acque, perché sono loro che provocano i crolli: lacqua tracimando dalle pareti crea dei canali nella montagna e di conseguenza dei mammelloni di roccia che poi cadono giù. Eliminando lafflusso delle acque, diminuiranno sia i crolli che le frane.
Laltra metà di spiaggia purtroppo – essendo tufo sabbioso compattato – va giù senza neanche avvisare…
Queste furono le tue parole e da lì prese le mosse il primo progetto serio volto a tentare di risolvere il problema di Chiaia.

Con quelle stesse gambe camminavi per Roma, su e giù per il Colosseo, le Terme di Caracalla, quelle di Diocleziano, pronto ad infilarti in ogni buco per scoprire ogni canale…
Come pure a Ponza ad infilarci nell’acquedotto romano… tu, Ernesto e Silverio Di Lorenzo e io, e da allora Ernesto esaltava la sua esperienza, di avere messo il piede nel canale dell’acquedotto che da Cala Inferno porta a Santa Maria, scavato lungo tutta la costa.

Quell’acquedotto in cui  siamo entrati dalle spiaggette di Frontone introducendoci nel ventre della terra fino ad arrivare sotto la chiesa di Santa Maria, dove una frana bloccava il percorso.
Alla Grotta del Serpente, abbiamo ragionato con Leo sulla possibilità che  quel canale approvvigionasse la Grotta del Serpente, come era credenza comune condivisa dalla Soprintendenza.
Leo storse il muso come per dire “state dicendo una grande fesseria” e infatti disse: – Vedete, qui stiamo a 45 metri sul livello del mare, l’acquedotto parte da Cala Inferno a circa 16 metri sul livello del mare; a Ponza dovrebbe arrivare, calcolando la pendenza, a massimo a 10-12 metri, altrimenti l’acqua non cammina, tenendo presente che i Romani non avevano le pompe elettriche per portare l’acqua in alto; quindi sicuramente i serbatoi di accumulo dell’acquedotto non possono stare a 45 metri sul livello del mare ma al massimo a 10 /12 metri.

Le sue gambe ci portarono di nuovo alla chiesa di Santa Maria e dopo neanche due minuti scoprì l’ingresso delle cisterne che prendevano l’acqua dall’acquedotto, trovando il cunicolo di entrata e quello di uscita.
Così si chiarì definitivamente la vecchia storia che i ponzesi entravano in quel cunicolo per arrivare fino a Frontone…

A proposito del Colosseo mi rimase impresso il fatto che Leo avesse la chiave di ingresso, così che aprimmo una porta… ed entrammo! Arrivati agli ultimi spalti in alto mi facesti una domanda a bruciapelo: – Secondo te, in questo stadio che in realtà è un grande teatro, dove stavano i bagni?
Sotto le gradinate c’era un grande canale che girava attorno a tutte le gradinate, e quello era lo scolo delle acque dei gabinetti.
Il tuo atteggiamento scientifico e matematico in ogni situazione archeologica faceva sì che venissero fuori risultati stupefacenti.

In Mali mi hai fatto scoprire l’Africa vera, che pochi hanno avuto la fortuna di conoscere. Eravamo con un fuoristrada cassonato attraverso la savana, ai confini col Sahara a cercare un villaggio: con la bussola perché non c’erano strade. Io ero in piedi dietro, sul cassone, per ammirare quelle vallate brulle. Tu facesti fermare la macchina ordinandomi di stringermi nell’abitacolo, perché c’erano i leoni ed era pericoloso.
Quando raggiungemmo il villaggio – era la zona dove vivono i Dogon – gli abitanti ti osannavano come un Dio perché tu con una pompa a mano avevi portato l’acqua al villaggio con una tubazione. A loro ora sembrava assurda la vita di prima quando erano costretti a percorrere un chilometro per riempire le pelli di capretto che fungevano da secchio per fare scorta di acqua.
Emanuela – prima donna bianca mai apparsa ai loro occhi – faceva piangere i bambini, con la sua pelle bianca a loro sconosciuta.

Quelle stesse gambe ci hanno portato anche a Giancos, a quello che tutti chiamavano “il ponte romano”.
Senza scomporti mi dicesti: Andiamo a vedere.
Mi hai fatto intrufolare in mezzo ad una fogna con acqua che cadeva lungo le pareti, in continuazione. Hai subito constatato che il muro era circolare e quindi aveva l’aspetto di una diga… Hai tratto le tue conclusioni: i romani avevano bisogno di tanta acqua per rifornire una flotta che potesse dominare il Mediterraneo. Quindi non bastava l’acqua dell’acquedotto, ci volevano tante cisterne e ne scoprimmo tantissime insieme. Ma sicuramente occorrevano altri rifornimenti d’acqua. E cosa, più di una diga, accumula una quantità d’acqua enorme?
Hai detto: Sicuramente è una diga romana e se voi ponzesi non siete stupidi, sappiate che è lunica che sta in Europa. Fate valere questa unicità.

Ponza è l’unico posto al mondo dove ci sono resti idraulici romani di importanza unica: un acquedotto, una diga e tantissime cisterne di accumulo d’acqua.
Dopo la scoperta della diga, andasti alla Sovrintendenza dei Beni Archeologici per riferire della tua scoperta della diga e dell’acquedotto che scaricava nei depositi a fianco alla chiesa di Santa Maria. Ovviamente ti hanno osteggiato, perché eri un geologo e non un archeologo. Solo dopo che hai pubblicato i risultati su delle riviste scientifiche internazionali hai avuto la tua rivincita.

Leo, avremmo voluto fare ancora tanti progetti insieme: studiare le grotte di Pilato, studiare i faraglioni della Madonna, capire se la Grotta del Core è naturale o artificiale…
Dovremo lasciare ad altri il compito di risolvere questi misteri ora che Leo non c’è più.

Io sono fiero di essere stato tuo allievo e portaborse. Mi ricordo che stavamo alle terme di Diocleziano, quelle vicino alla stazione Termini, e studiavamo l’impianto idraulico: erano le più grandi di Roma! Le gambe già non ti aiutavano più ma avevi dei collaboratori efficienti compreso me… Spedivamo dei gatti nei buchi dell’acquedotto delle terme, gli davamo una botta al sedere e i gatti sparivano; poi uscivano da un altro buco dandoci modi di ricostruire il percorso dell’acquedotto.
Nello stesso complesso c’erano i resti di un palazzo che aveva ai quattro angoli delle canne fumarie che partivano a una certa distanza da terra, senza mostrare traccia di un forno sottostante. Ne trovammo più di una, di queste canne fumarie, agli angoli dei palazzi… Questa cosa non ti tornava.
– Se sotto non c’è un forno che significano quelle canne fumarie?
Dopo giorni interi a pensarci ed a studiare finalmente hai trovato la soluzione: Diocleziano aveva deciso di tenere aperte le terme anche di notte e c’era bisogno di una illuminazione. Per evitare che i nobili con i loro vestiti puzzassero di fumo di catrame, l’illuminazione delle terme si otteneva mediante bracieri col fuoco a ogni angolo del palazzo, e il fumo andava in alto.

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Con il calo della vista ti sei inventato col computer un sistema per proiettare vicino al muro le lettere più grandi per poter leggere e informarti sempre su tutto ciò che riguardava l’archeologia e l’idraulica. Ma quando poi non sei riuscito più a leggere e a vedere quasi nulla, allora forse hai deciso che era il momento di partire.
Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per la nostra isola che poi forse è stata più tua che di tanti che non la amano.

Ciao Leo buon viaggio
Domenico         

Immagine di copertina. Leonardo Lombardi in Bolivia, nel 1962

Appendice
Altre foto di Leonardo, inviate da Domenico qualche giorno dopo l’articolo

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Late Leonardo Lombardi. Alle Terme di Diocleziano. Con Leda