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“Foibe, il dramma e le radici dell’odio”

di Luisa Guarino

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E’ stato celebrato oggi nel nostro Paese “Il giorno del ricordo”, istituito con la legge n. 92 del 2004, con cui si rinnova la memoria dei massacri di quindicimila tra uomini e donne gettati vivi nella cavità carsiche della Venezia Giulia denominate foibe, dopo la fine della seconda guerra mondiale; e dell’esodo giuliano dalmata, cioè l’emigrazione forzata di circa trecentomila italiani cacciati dalle proprie terre dal maresciallo Tito: una pulizia etnica per anni “negata”. Dal 2004 le cose sono cambiate, anche se a volte si nota tuttora una certa resistenza da parte di alcuni media a toccare quest’argomento.

Ecco perché ci fa piacere dare visibilità a un’iniziativa che si è svolta in occasione della giornata odierna nel territorio di Latina, nell’ambito della rassegna “Ricordati di non dimenticare” in programma dal 24 gennaio al 15 febbraio, organizzata da un nutrito gruppo di associazioni culturali del capoluogo e provincia.
“Lo facciamo – spiegano gli organizzatori – perché riteniamo che la Storia non possa essere di parte: è la Storia e basta, e chi fa appello alla memoria deve farlo a 360 gradi, con coraggio. Anche perché chi vuole far ricordare cosa sono stati la Shoah e i valori della Resistenza, non ha nulla da temere dal fare luce su questa tragica vicenda”.
Per l’occasione, sulle pagine social delle associazioni e degli enti organizzatori è stato trasmesso alle 18 il video intitolato “Le Foibe. Il dramma e le radici dell’odio” che ha ospitato due interventi: quello di Antonio Scarsella, che ha parlato de “Il dovere del ricordo e il coraggio della memoria storica”, e quello di Anna Sangiorgi, insegnante di Norma, che ha fatto un breve excursus storico e ha letto una poesia in tema.
Ricordiamo che le associazioni coinvolte nell’iniziativa sono: Solidarietà e Sviluppo Sermoneta, Metropoli’s Roccagorga, Associazione turistica Pro Loco, Centro Studi Arte Maenza, Archeoclub Sermoneta, Futura Latina, Agave Norma, Pro Loco Bassiano, Pane e Teatro, Cittadinanza Attiva; con il patrocinio del Consiglio regionale del Lazio e della Compagnia dei Lepini.

“Sia la Shoah che le Foibe – sottolineano i promotori della manifestazione – hanno una comune origine: il nazionalismo, la pulizia etnica, la guerra, l’odio razziale, gli esseri umani trattati come carne da macello. Riteniamo che sia giunto il momento di finirla di contrapporre, come spesso è avvenuto per meri motivi ideologici, le due celebrazioni. Chi pensa di avere una rivincita sulla Resistenza con la vicenda Foibe sbaglia: proprio perché le sue origini sono le stesse che hanno prodotto la lotta civile contro le oppressioni. Così come chi onora la Resistenza e la Shoah fa bene a ricordare tutte le vittime di quel grande olocausto che è stato la guerra”. Oggi in un’Italia e in un’Europa che grazie alla vittoria sul nazismo e sul fascismo vivono 75 anni di pace – concludono -, è ora di uscire dall’uso di parte di avvenimenti, che occorre conoscere fino in fondo affinché non si ripetano.

Sergio Mattarella e del suo omologo sloveno Borut Pahor il 13 luglio 2020 presso i luoghi delle foibe
ed in particolare a  Basovizza, nei pressi di Trieste

La Redazione propone, a corollario di quanto scritto, un articolo di Guido Crainz, pubblicato nella ricorrenza odierna da la Repubblica.
Qui di seguito in file .pdf:
10 febbraio. Il Giorno del ricordo Foibe, quei morti di tutti

3 Comments

3 Comments

  1. silverio lamonica1

    10 Febbraio 2021 at 19:28

    Finalmente un articolo che pone nella giusta luce il dramma delle Foibe, simile alla Shoah. L’odio razziale alla base di entrambi.
    E’ da condannare Tito per le efferatezze perpetrate ai danni degli italiani d’Istria, vero e proprio criminale di guerra, ma nello stesso tempo è d’obbligo condannare Mussolini che in nome della “razza italica superiore” si accodò ad Hitler in quella guerra infame che causò oltre 500 mila vittime italiane, e chissà quanti altri morti di altre nazioni, feriti e distruzioni a non finire, oltre allo sdegno dei popoli che voleva sottomettere e che reagirono (alcuni) con la stessa efferatezza dei fascisti e dei nazisti.
    L’odio chiama odio, la violenza invoca violenza.

  2. Rosanna Conte

    10 Febbraio 2021 at 21:23

    L’equiparazione tout court fra Shoah e tragicità delle foibe sbiadisce lo spessore storico che sta dietro ai due fenomeni e questo non è mai bene per comprendere cosa sia successo. Infatti, Crainz, che è uno storico va a guardare da dove nasce la violenza che ha portato alle foibe che non sono un fenomeno del dopoguerra, ma nella loro fase di ferocia anti-italiana sono da concentrarsi in due momenti, nell’autunno 1943 e nella primavera 1945, cioè quando crollarono le strutture del potere oppressivo dei fascisti e dei nazi-fascisti. Non è facile andare a distinguere le uccisioni legate all’affermazione dei nuovi vincitori, i comunisti di Tito, e quelle a cui si abbandonò la gente normale.
    Come in ogni rivolta popolare gli eccessi sono legati, come lo fu per la Vandea o per i sanculotti parigini durante il Terrore, come per la plebe napoletana al ritorno del re, sia ai soprusi subiti sia a cogliere il momento che può consentire, in assenza di un potere fermo e sicuro, vendette personali o espropriazioni incontrollate.
    La ferocia della “plebe” è quanto di più dissacrante ci sia per il corpo umano. Questo senza nulla togliere alla responsabilità di coloro che, pur rappresentando il potere, e proprio per mantenerlo, fecero giustizia sommaria. La Shoah non fu niente di tutto questo: fu una pianificazione fatta dal potere costituito, basata sull’idea di supremazia razziale che considerava l’ebreo, come il rom, come l’omosessuale, la feccia dell’umanità.

  3. Tano Pirrone

    11 Febbraio 2021 at 11:04

    Ringrazio Rosanna Conte per aver riportato sulla retta via la rituale commemorazione di altri poveri morti nella scia delle pandemiche carneficine che sono ormai lo scenario abituale della storia dell’uomo.
    Anche Serra stamattina, con la solerzia che lo contraddistingue, ha pubblicato il fondino del giorno sull’argomento: Una pagina e il suo libro. Raffronta la tragedia delle foibe a una pagina di un libro, da esso strappata e letta, compresa e divulgata per se stessa, avulsa dal contesto, il libro da cui pretestuosamente è stata strappata.
    Tutte le terre di confine che nel corso dei secoli sono state un po’ di uno e un po’ dell’altro sono soggette a essere unte dall’odio, dall’invidia e dalla vendetta.
    Mi sono ricordato di vecchie letture, fatte quando andavo spesso in Aldo Adige per brevi vacanze estive. Immancabili nei miei bagagli erano le guide rosse del Touring, preziosissime per le puntuali descrizioni dei luoghi e delle opere d’arte, meno pronte a dare un quadro sociale del territorio cui erano dedicate. La mia guida, che m’è guida ancor oggi per scrivere queste poche righe, è la 6a edizione del 1976 (“…con 15 carte geografiche, 8 piante di città, 6 piantine di edifici e 23 stemmi” e con un cenno storico consistente – 14 pagine di notizie particolareggiate).
    Stoppo subito le critiche dei miei solerti critici: le foibe non sono in Alto Adige, direte voi, e neanche nel Salento né tantomeno nella Ducea di Nelson, precedo io. Infatti, parlo di quell’area dei nostri territori alpini da sempre sballottata fra le italiche genti e le bulimie asburgiche. Che furono, invero, pesantemente ridotte da Napoleone, la cui luce durò troppo poco per interrompere il dominio austro-germanico, che per più di un secolo trascinò alla guerra l’Europa intera, fino a coinvolgere tutto il mondo. Il primo sangue a scorrere in quell’area fu quello di trentini e tirolesi, che subirono anche deportazioni di massa: dalle aree meridionali 105 mila autoctoni furono portati a scavare trincee e fortificazioni o confinati in Stiria, in Moravia e in Boemia. Nel 1919 la regione passò all’Italia, sotto la giurisdizione di un Commissario generale civile, di cui il regime canaglia che s’era nel frattempo impadronito d’Italia, illiberale contro tutti, iniziò una politica durissima verso la popolazione germanofona: ignorata ogni autonomia, trasferita l’autorità alla provincia di Trento (fino al 1929), confino di polizia, vessazioni, avvio delle procedure per l’abolizione del bilinguismo.
    Nel piccolo delle tragedie del popolo si enumerano: cambiamenti forzati dei cognomi tedeschi in versione italica, così la toponomastica, i cartelli, financo le lapidi dei cimiteri.
    Questa italianizzazione (vi ricorda qualcuno dei nostri “politici” italiani, europeista dell’ultim’ora, dopo l’apparizione visionaria di animali fantastici?), questa italianizzazione, dicevo – scusate, ho quasi finito – portò all’annessione nazista e a decenni di destabilizzazione dopo la guerra. Ora sembra tutto pacifico, finalmente.
    L’Istria, diversa e simile, sorella di sventura, lacerazione, perdite incommensurabili: al termine della guerra in quell’area, mancando un controllo militare, si registrarono i primi casi di rappresaglia da parte dell’elemento slavo nei confronti degli italiani che rappresentavano il potere politico e militare (gerarchi, podestà, membri della polizia, ma anche del personale civile della Questura) nonché alcuni esponenti della borghesia mercantile e gli operatori commerciali: queste azioni consistettero in omicidi, infoibamenti e altri generi di violenze (le cosiddette “foibe istriane” del 1943).
    Nulla di paragonabile con lo sterminio nazista né con la morte di 26 milioni di russi a causa della guerra, ma un richiamo, usando le parole conclusive di Serra: «Parlare delle foibe e di comunismo senza parlare di nazifascismo, della Seconda guerra mondiale, di occupazione italiana, serve giusto ad accontentare gli umori di una parte politica. Non a onorare la storia e la memoria».

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