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“Accedìte a Masaniello!”

di Fabio Lambertucci

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Gli ultimi giorni del capopopolo Masaniello che nel 1647 sollevò i napoletani contro i dominatori spagnoli e i nobili.
Osannato, assassinato, vilipeso; infine considerato santo.

«Amice miei, popolo mio, gente:
vuie ve credite ca je so’ pazzo e forze avite raggione vuie: je so’ pazze overamente.
Ma nunn’è colpa da mia, so state lloro che m’hanno fatto ascì afforza n’fantasia!
Io ve vulevo sulamente bbene e forze sarrà chesta a pazzaria ca tengo ‘ncapa»
(Masaniello, l’ultimo discorso)

Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello (Napoli 1620- Napoli 1647), aveva 27 anni quando si illuse, per dieci giorni, di essere diventato uno dei potenti di Napoli. Basso, scuro di carnagione – …e chi dice che Masaniello / poi negro non sia più bello? / Masaniello è crisciuto / Masaniello è turnato”, cantava Pino Daniele nel 1979 in: Je so’ pazzo –, baffetti e codino, faceva il pescivendolo come il padre.

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Tra il 7 e il 17 luglio 1647 passò dalla gloria effimera alla morte. Visse dieci giorni di ebbrezza e follia, osannato dalla folla di piazza Mercato, usato e poi ripudiato dal prete e giurista don Giulio Genoino (1567-1648), regista occulto della rivolta, e ingannato dal viceré spagnolo Rodriguez Ponce de Leòn y Alvarez de Toledo, duca d’Arcos (1602-1672) e dai nobili.

La storia della rivolta è abbastanza nota e la rievochiamo – all’uso dei cantastorie – con l’ausilio delle tavole illustrate del disegnatore Giacinto Gaudenzi  nel secondo volume della Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi (Mondadori, 1979).
Meno conosciuti sono l’assassinio del capopopolo più famoso di Napoli e lo strano destino del suo cadavere.

La rivolta dei dieci giorni contro le gabelle del viceré di Spagna esplose il 7 luglio 1647. I popolani, guidati da Masaniello, invasero le vie di Napoli al grido di “Viva ‘o re ‘e Spagna, mora ’o malgoverno”.

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Prima distrussero la “dogana” di porta Nolana, dove si pagava la gabella sulla farina, poi la casa dell’esattore Girolamo Letizia.
Che cosa chiedevano? in primo luogo l’abolizione delle tasse sul commercio di frutta e verdura.
Il “braccio armato” della rivolta era un gruppo di 50 ragazzi, detti “alarbi, guidati da Giovanni Aniello, fratello di Tommaso: erano i più violenti.

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L’eminenza grigia di Masaniello era però il capitano generale (ossia il rappresentante) del popolo Giulio Genoino (immagine qui sopra). A fianco di Masaniello si schierò anche Francesco Antonio Arpaja (1587-1648), protagonista dei precedenti tumulti del 1620.

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L’8 luglio, il viceré tentò di trattare attraverso don Diomede Carafa (1611-1660), duca di Maddaloni e don Ettore Ravaschieri (1614-1650), principe di Satriano, due notabili della città. Anche all’arcivescovo di Napoli, cardinale Ascanio Filomarino, fu chiesta una mediazione.
Il 9 luglio i ribelli si impossessarono dei cannoni custoditi nel chiostro della basilica di san Lorenzo. La rivolta faceva ormai paura a nobili e spagnoli.

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L’11 luglio l’ex pescivendolo fu ricevuto a casa del viceré: Masaniello svenne, mostrando i primi segni del suo misterioso malessere.
Sabato 13 luglio arrivò quella che pareva una vittoria: nel Duomo il viceré giurò solennemente di abolire le gabelle, facendo concessioni a Masaniello.
Mentre si trattava però, due sicari del duca di Maddaloni, attentano, senza successo, alla vita di Masaniello. Si scatena la rappresaglia: viene decapitato Giuseppe, il fratello del duca.

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Il 14 e il 15 Masaniello va in barca insieme al viceré al largo di Posillipo e poi al banchetto organizzato dagli spagnoli, con la moglie Bernardina Pisa e il fratello.
Il giorno dopo, come raccontiamo di seguito, era morto, liquidato con 4 archibugiate dai sicari degli spagnoli.

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Assassinato
Abbiamo visto che Napoli, alla vigilia della ribellione, per la Spagna era soprattutto un serbatoio di tasche da spremere con le tasse per finanziare le casse di Madrid. Bastò che un uomo carismatico come Masaniello si mettesse alla testa del popolo per scatenare una rivolta che covava sotto la cenere. L’occasione furono le nuove gabelle sul commercio della frutta e della verdura: in pochi giorni Masaniello passò dall’anonimato alle cene con il viceré, e poi dalle stelle alla polvere, prima osannato dal popolo, poi abbandonato da tutti. Infine ucciso.
Nobili, religiosi e uomini fedeli agli spagnoli erano riusciti, in pochi giorni, a convincere i napoletani che il loro capo si era venduto e che aveva abbandonato la sua gente per mantenere il potere. Così Masaniello venne ripudiato da quasi tutti i suoi e infine assassinato. 

La mattina del 16 luglio Masaniello entrò nella chiesa del Carmine in piazza Mercato, dove il cardinale Ascanio Filomarino (1583-1666) stava celebrando la messa.
Tra la folla c’erano i suoi assassini. Erano quattro sicari: i venditori di farina Salvatore e Carlo Catania, insieme con Angelo Ardizzone e Andrea Cocozza.

Follia fatale
Masaniello quel giorno compì uno dei suoi tanti gesti inspiegabili: salì sull’altare interrompendo la cerimonia. Il pescivendolo da tempo dava segni di follia, forse soffriva di epilessia o forse di una malattia mentale. Si spogliò mentre la gente, aizzata contro di lui dai filospagnoli, cominciò a insultarlo.
Il cardinale sospese il rito e ordinò che Masaniello fosse accompagnato nel dormitorio dai frati.
Qui lo seguirono i sicari che bussarono alla porta.
Il pescivendolo riconobbe la voce di Angelo Ardizzone, che credeva ancora suo amico e aprì. Non fece in tempo a rendersi conto di cosa gli stesse capitando: gli spararono quattro archibugiate.
Si seppe in seguito che il mandante era il viceré Rodriguez Ponce de Leòn Come ricompensa ricevettero denaro (dai 300 ai 500 scudi) e promesse di carriera. 

Lo scempio
Dopo aver ucciso Masaniello, Catania, Ardizzone e Cocozza si accanirono sul suo corpo e gli mozzarono la testa. Il cadavere venne lasciato alla folla di piazza Mercato. Che, ancora convinta di essere stata ingannata dal capopopolo, lo fece a pezzi e lo scaricò nei fossati tra Porta del Carmine e Porta Nolana. La testa fu lasciata di fronte al palazzo del viceré. 

Perché tanto odio? Forse il popolo non perdonò a Masaniello la gita in barca insieme al viceré, la fissazione di farsi baciare i piedi, il rito del lancio di zecchini d’oro in mare e il sospetto di essersi accordato con il potere.
Poi, però, accade qualcosa che in poche ore ribaltò completamente la situazione. Tra il 17 e il 18 luglio le gabelle, abolite poche giorni prima, furono reintrodotte. Il pescivendolo, da morto, tornò ad essere un eroe. Anzi, un santo.

Reliquia
Uomini, donne e delinquenti si armarono di nuovo e invasero piazze e strade al grido di “Viva Masaniello!”. Cercarono gli assassini del pescivendolo, ormai al sicuro lontano da Napoli, per vendicarsi.
Il cadavere divenne oggetto di culto e la folla cercò di ricomporlo. Tentarono persino di riattaccare la testa al tronco. Quel che restava di Masaniello divenne in poche ore una macabra “bandiera” da sventolare contro le ambiguità del viceré.
Nobili e cardinali capirono al volo il potenziale rischio rappresentato da quel morto. Così, organizzarono per il pescivendolo un funerale solenne, che tenesse buoni gli animi.
Dopo il rito si disse che: “Masaniello aveva aperti gli occhi, sudava, muoveva le mani con una corona”. C’era chi era pronto a giurare che fosse resuscitato e qualcuno disse di averlo visto per le vie di Napoli.

Funerale di Stato
Masaniello venne ucciso di martedì. Il mercoledì una processione di napoletani era in fila per vederne il cadavere, cercando di toccarlo e baciarlo come una reliquia mentre le donne gli strappavano ciocche di capelli.
I resti di Masaniello furono sepolti vicino al portale principale della chiesa del Carmine.
Il piano degli spagnoli funzionò: il popolo aveva il suo santo rivoluzionario da adorare ma almeno aveva deposto le armi.
Quanto al cadavere, invece, non trovò pace. Oltre un secolo dopo con la repressione della Repubblica partenopea nel 1799, re Ferdinando IV di Borbone ordinò ai frati di rimuovere la tomba di Masaniello.
Le ossa furono spostate in una cappella che, qualche tempo dopo, fu demolita.
Che fine fecero i resti di Masaniello? Nessuno lo sa.

[8]

La basilica santuario del Carmine Maggiore è una delle più grandi basiliche di Napoli.
Risalente al XIII secolo, è oggi un esempio unico del Barocco napoletano; si erge in piazza Carmine a Napoli, in quella che un tempo formava un tutt’uno con la piazza del Mercato, teatro dei più importanti avvenimenti della storia napoletana. Il popolo napoletano ha l’abitudine di usare l’esclamazione “Mamma d’o Carmene”, proprio per indicare lo stretto legame con la Madonna bruna.

Di Masaniello resta solo una lapide, murata dai frati:
Mendace riparazione di un delitto preordinato,
il sepolcro di Masaniello qui era ma fu tolto
per mire politiche di un dispotico sovrano nel 1799

durante la Rivoluzione Partenopea (*)“.

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(*) –
Sulla Rivoluzione Partenopea, leggi sul sito: “L’anno travagliato 1799” [10]  (Nota di Redazione)