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Ancona 1556, l’Inquisizione romana e il rogo dei 25 ebrei “marrani”

di Fabio Lambertucci

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Nel 1556 papa Paolo IV (Carafa), tradendo i patti precedentemente stipulati dai suoi predecessori con la comunità ebraica “marrana” portoghese di Ancona, decise di mandarla al rogo se non si fosse “riconciliata” con la fede cattolica: così arse 25 ebrei, altri li condannò al remo delle galee. L’unico sovrano che si levò contro tale infamia fu il sultano turco Solimano I il Magnifico che promosse un embargo contro Ancona. Tuttavia ben presto le ragioni dell’economia prevalsero su quelle morali…

Ancona 1556: l’Inquisizione romana e il rogo 25 ebrei “marrani” portoghesi

Il Tribunale dell’Inquisizione romana e l’apostasia
Alla metà del Cinquecento, la Riforma protestante ha ormai pervaso e organizzato varie regioni del Nord Europa.
Stimolata dall’offensiva dei luterani e dei calvinisti, la Chiesa di Roma intraprende il rilancio di un cattolicesimo rinnovato: papa Paolo III Alessandro Farnese (1468-1549) convoca nel 1545 un Concilio di Trento [Cfr. in approfondimenti: c)], volto al recupero della pace religiosa.
C’è però un fatto estremamente significativo che lo precede: il 21 luglio 1542 viene riorganizzato il Tribunale dell’Inquisizione romana. Dopo il fallimento del colloquio con i protestanti a Ratisbona (1541), la Chiesa cattolica sente di dover reagire alle istanze violente della Riforma protestante non con il dialogo ma con la repressione.
Così questo nuovo Tribunale della Congregazione romana del Sant’Uffizio ebbe giurisdizione oltre che sui reati, sui sospetti, sui complici, fautori e seguaci di eresia anche su quelli di apostasia.
Quest’ultimo reato viene definito dall’Enciclopedia Cattolica “l’abbandono totale della fede da parte di chi abbia ricevuto il battesimo, e si distingue dall’eresia, che consiste nella cosciente negazione o dubbio positivo su una o più verità della fede. E’ peccato grave che non ammette parvità di materia, essendo un’offesa diretta contro Dio” (1).
Il Tribunale, formalmente, non aveva quindi giurisdizione sugli ebrei. Come nota lo storico modernista Adriano Prosperi (1939): “Gli editti e i manuali che costituirono la letteratura specifica degli inquisitori precisarono sempre molto attentamente i limiti entro i quali si poteva procedere contro gli ebrei: fondamentalmente, era per il reato di apostasia che li si poteva giudicare” (2).
Perciò nessuna giurisdizione sugli ebrei in quanto tali. Esisteva invece sugli ebrei battezzati sospettati di essere tornati in segreto all’ebraismo: era il caso dei “marrani” (termine dispregiativo che in castigliano significa “porco” e in arabo “ciò che è proibito”, “mahran”). Erano questi ebrei spagnoli e portoghesi che, a causa delle politiche repressive dei sovrani iberici, avevano dovuto farsi battezzare ma continuavano a restare fedeli, in tutto o in parte, alla religione avita.
Stabilita così la possibilità di processare i “giudaizzanti”, l’occasione fu il varo nel 1555 della politica vessatoria contro gli ebrei del nuovo papa Paolo IV Gian Pietro Carafa (1476-1559). Nell’ambito di una più generale persecuzione antiebraica, si inserì quindi la vicenda dei roghi dei “marrani” portoghesi ad Ancona nel 1556.

I “marrani” portoghesi ad Ancona
Nel 1540 dal Portogallo, in seguito all’istituzione di un apparato inquisitoriale centralizzato e controllato dalla Corona (1536), diversi mercanti e banchieri “marrani”, ebrei costretti, pena la morte, al battesimo cattolico dal re Manuele I (1469-1521, re dal 1495) ma segretamente fedeli alla religione ebraica, iniziarono ad emigrare verso paesi già in precedenza raggiunti dagli ebrei espulsi dal regno di Spagna nel 1492.
Alcuni di essi si stabilirono nella città portuale pontificia di Ancona (annessa dal 1532) attratti dalla possibilità di esercitare un ruolo primario nel rilancio dell’economia dorica con la promozione e l’ampliamento dei traffici portuali con il Levante.
I “marrani” portoghesi avevano infatti stretti legami con gli ebrei sefarditi, cioè i discendenti degli ebrei espulsi dalla Spagna, da anni stabilitisi nell’Impero turco ottomano, dove avevano raggiunto una buona posizione economica.
Per attuare ciò, i “marrani” vollero essere sottratti alla giurisdizione inquisitoriale. Papa Paolo III concesse immunità e privilegi ai mercanti portoghesi, assicurando, con la bolla del 21 febbraio 1547, la franchigia del porto e la protezione dall’Inquisizione nel caso avessero deciso di tornare all’ebraismo, rimanendo soggetti però al tribunale ordinario. Ai “marrani” era inoltre concessa la piena libertà di residenza ad Ancona, di mobilità piena, di trattare qualsiasi tipo di commercio, di aver rapporti con mercanti di ogni fede, di non pagare tasse sulle mercanzie, di non portare il segno distintivo sugli abiti cui erano costretti gli ebrei anconetani.

Inoltre, scrive nel suo celebre saggio del 1963 
Storia degli ebrei in Italia (Einaudi) lo studioso dell’ebraismo italiano Attilio Milano (1907-1969)(ii): “Il Comune a sua volta garantì la loro piena libertà di movimento e liquidazione franca delle proprietà per chiunque fosse, eventualmente, citato a dover rispondere in via penale del proprio cambiamento di stato religioso”.

La storica dell’ebraismo Anna Foa
(i) [Cfr. in approfondimenti: a)] nel suo saggio del 1992 Ebrei in Europa. “Dalla Peste nera all’Emancipazione” (Laterza) descrive così la loro condizione: “Grazie alle garanzie concesse da Roma, e ribadite anche dalla municipalità, la comunità portoghese poté così prosperare e, con essa, il traffico commerciale del porto anconetano. Nel 1553, essa contava un centinaio di famiglie, era organizzata in una propria comunità, l’Universitas hebreorum lusitanorum seu portugallensium, con un tempio di rito ispano-portoghese ed era rigorosamente separata dalla comunità locale, di origine tedesca, ma accresciuta intorno agli anni Quaranta da profughi napoletani e pugliesi”.

Nell’agosto del 1554,
il sultano turco Solimano I il Magnifico (1495-1566) [Cfr. in approfondimenti: b)], su richiesta degli stessi mercanti “marrani” anconetani e dei suoi sudditi ebrei, ordinò a tutti i mercanti e marinai dei suoi Stati di non frequentare più la fiera di Recanati ma esclusivamente quella di Ancona, convogliando nel suo porto l’intero commercio con il suo Impero. Le circa cento famiglie di “marrani” tornarono quindi apertamente alla confessione ebraica: di nuovo ebrei, guardati però con sospetto sia dai cristiani che dagli ebrei mai convertiti.

La nuova politica pontificia, l’Inquisizione romana, il processo e i roghi
Dopo i cinque anni di pontificato di papa Giulio III Del Monte (1550-1555) che inaugura, nel clima della Controriforma, il nuovo ambiguo atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei, con il rogo nel 1553 del Talmud (3) a Roma e a Cremona, la tassa di dieci scudi anni per ognuna delle centoquindici sinagoghe nello Stato pontificio, il mantenimento a carico degli ebrei della nuova Casa dei Catecumeni (4) per l’indottrinamento in vista della conversione e la lunga trattativa con cui assicura la sua tolleranza verso i “marrani” in cambio di una tassa annuale di mille scudi e dopo la  brevissima parentesi di papa Marcello II Cervini (9 aprile 1555- 1° maggio 1555), sale al soglio pontificio il grande inquisitore, fondatore dell’Ordine dei Teatini e capo riconosciuto del partito reazionario della Chiesa, papa Paolo IV Carafa. 

Il nuovo papa, il 14 luglio 1555, emanò l’editto intitolato Cum nimis absurdum, nel quale stabiliva le norme per la discriminazione degli ebrei (segno distintivo, residenza obbligatoria nei ghetti e altre limitazioni nella vita sociale ed economica). In questo clima persecutorio, i privilegi dei marrani anconetani, confermati con un breve il 28 settembre, sono revocati il primo ottobre. Il provvedimento è reso esecutivo il 4 febbraio dell’anno seguente.
Si mette in moto la macchina procedurale dell’Inquisizione romana [Cfr. in approfondimenti: d)]: viene inviato un primo commissario pontificio, Giovanni Vincenzo Fallagonio, con l’ordine di imprigionare i “marrani”, giudicati rei di apostasia, e di estorcere loro con la tortura, pena la morte, una “riconciliazione” con la Chiesa cattolica. Grazie però a informazioni trapelate dalla Curia pontificia più della metà della comunità portoghese ripara a Pesaro e Ferrara, sotto la protezione del duca Ercole II d’Este (1508-1559). Così i catturati dalla polizia pontificia furono solo tra gli ottanta e i cento.

Le fonti di queste vicende sono due cronache in ebraico: Shalsheleth ha-Qabbalàh (La catena della tradizione) di Ghedalià ibn Jachià da Imola (1515-1587) e la Cronaca di papa Paolo IV detto Teatino di Benjamin Nehemià ben Elnatan (Donato) da Civitanova Marche che fu testimone oculare dei fatti di Ancona e visse di persona la persecuzione. Banchiere, amante della cultura, espulso dal Regno di Napoli nel 1541, si trovava nel 1556 ad Ancona e vide il cadavere di un portoghese suicidatosi gettandosi dalla finestra del carcere inquisitoriale, le processioni e i roghi. Arrestato a Civitanova nell’estate del 1559 e condotto con altri cinque compagni nel carcere del Sant’Uffizio a Roma, da cui fuggì il 18 agosto quando, morto Paolo IV, una folla assalì il carcere e liberò i prigionieri.
Racconta Benjamin Nehemià che il commissario inquisitoriale Fallangonio si fece corrompere: “Più volte come se fosse per errore o disattenzione, ne fuggirono alcuni dalla prigione, poi in una volta sola trenta, tutti uomini e tementi del Signore. Con essi si diede alla fuga anche il commissario, che riparò in territorio lontano”. Fallangonio, con i beni liquidati dei “marrani”, si diresse verso Genova; i “marrani” evasi verso Pesaro, nel territorio del duca d’Urbino Guidobaldo II della Rovere (1514-1574).
A Roma questa notizia provocò la furia del pontefice che inviò un secondo commissario, Cesare Galnaba, che viene descritto dal cronista Ghedalià ibn Jachià come: “Uomo molto crudele che dopo molte ricerche ed indagini decretò che quelli, i quali si rendessero alla cattolica fede, sarebbero perdonati, i riottosi abbruciati. Sessanta abiurarono; quelli che non vollero abiurare furono ventiquattro uomini e una donna, e dopo pochi giorni di martirio vennero appiccati; e poi i loro corpi furono abbruciati”.
La sorte di tutti i “marrani” era comunque già segnata qualsiasi comportamento processuale avessero tenuto. Scrive lo storico Adriano Prosperi: “Paolo IV in un decreto promulgato dall’Inquisizione nella seduta del 30 aprile 1556 stabiliva che tutti gli ebrei provenienti dal Portogallo o dalla Spagna, se praticavano l’ebraismo dovevano essere condannati come apostati, dal momento che da più di sessant’anni non c’era più nessun ebreo nella Penisola iberica che non fosse battezzato. Dunque, se anche avessero resistito alla tortura mantenendosi sulla negativa li si poteva condannare tranquillamente” (5).
I responsabili della città, resisi conto delle conseguenze economiche negative per Ancona, tentarono di evitare la tragedia e inviarono a Roma l’incaricato diplomatico Giovanni Trionfi per esporre le proprie preoccupazioni. Inutilmente.
In contrasto con la cronaca di Ghedalià quella di Benjamin Nehemià riporta il fatto che i portoghesi furono bruciati vivi, non dopo essere stati impiccati e ciò, in base alla normativa inquisitoriale, significa che sotto tortura non c’era stata abiura all’ebraismo e perciò i “marrani” vennero inviati al rogo come “eretici impenitenti”.

Il cronista inoltre testimonia di avere assistito alle processioni e ai roghi che ebbero luogo nel Campo della Mostra (odierna piazza Errico Malatesta) o secondo altri studiosi locali presso il Duomo (in piazza Malatesta è apposta una lapide a ricordo con una dedica dello storico e uomo politico Giovanni Spadolini, 1925-1994) tra l’aprile e il giugno del 1556 e riferisce espressioni e dichiarazioni di alcuni dei condannati, come il venerando Solomon Jachia, tutte informate a sentimenti di fede. Benjamin ci informa anche della sorte di quegli inquisiti che, fingendosi pentiti, furono condannati al remo delle galere: durante la loro traduzione verso Malta riuscirono a guadagnare la libertà, uccidendo i gendarmi che li avevano in custodia. Alcuni ripararono nel ducato di Ferrara, altri si diressero in Turchia, ripudiando la “conversione”, estorta loro sotto tortura.

La reazione
La vicenda di Ancona ebbe immediata eco in Oriente. Il 9 marzo Solimano I inviò al papa una lettera di violenta protesta contro i procedimenti in corso e richiedeva, ottenendolo, il rilascio di alcuni inquisiti suoi sudditi. Dopo i roghi la comunità “marrana” di Istanbul decretò l’embargo del porto di Ancona, ottenendo dal sultano il sequestro dei vascelli e delle merci anconetane. I principali animatori dell’operazione furono Donna Gracia Mendes Nasì (1510-1569), ricca nobile ebrea portoghese divenuta potente ed influente sia alla corte ottomana sia negli ambienti ebraici dell’impero, e suo genero Don Joseph Nasì, duca di Nasso. Con l’approvazione del duca d’Urbino si previde anche il trasferimento di tutte le agenzie dei mercanti ebrei levantini nel vicino, ma scarsamente attrezzato, porto di Pesaro. 

Dopo circa due anni però il blocco, che aveva danneggiato economicamente Ancona, ebbe termine e lo scalo pesarese si dimostrò assai presto insufficiente a reggere la concorrenza anconetana. Gli ebrei di origine italiana rimasti ad Ancona esercitarono forti pressioni in questa direzione perché fosse evitata la loro definitiva rovina economica e non si creassero ulteriori ondate persecutorie (inoltre navi turche provenienti da Bursa, sul mar di Marmara, avevano ripreso il commercio con Ancona) e la municipalità scrisse al pontefice che: “Le faccende sono in gran parte cessate, et vanno mancando ogni di più, di tal sorte che se la bontà della Stà. Vra non ci soccorre, questa sua città fedelissima resterà abbandonata et derelitta” .
Il duca d’Urbino, irritato per il fallimento del progetto e sottoposto alle pressioni papali, mutò rapidamente atteggiamento e nel marzo del 1558 espulse i “marrani” rifugiatisi nel suo territorio. Così conclude Attilio Milano (ii): “Cadeva nel nulla una impresa che, per la prima volta nella storia dell’ebraismo italiano, aveva portato alcune porzioni di esso a contrapporre un gesto di difesa organizzata e dignitosa alla prepotenza altrui”.

Note.

(1) – Voce “Apostasia”, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948-1954, vol. I, col. 1674.

(2)
Adriano Prosperi, L’Inquisizione romana e gli ebrei in Italia, in AA.VV. (a cura di M. Luzzati), Laterza 1994, Roma-Bari, p. 76.

(3) – Il Talmud è una raccolta di testi sacri dell’ebraismo.

(4) – La  prima Casa dei Catecumeni venne fondata a Roma nel 1542 da Ignazio di Loyola per educare alla religione cattolica ebrei e persone di altra fede che avevano deciso di convertirsi.

(5) – Adriano Prosperi, L’Inquisizione romana e gli ebrei in Italia, in AA.VV. (a cura di M. Luzzati), Laterza 1994, Roma-Bari, p. 78.

 

Bibliografia

i – Anna Foa: Gli ebrei in Europa. Dalla peste nera all’Emancipazione, Laterza 1992, Roma-Bari, nuova edizione 2013. Cap. VII par. 2 “La diaspora portoghese” pp. 214-226.

iii – Attilio Milano:Storia degli ebrei in Italia, Einaudi 1963, Torino, (2a edizione 1992), pp. 250 e 252.

iii. Cecil Roth: Storia dei marrani. L’odissea degli “ebrei invisibili” dall’Inquisizione ai giorni nostri, Serra e Riva Editori 1991, Milano, pp. 167-168.

Approfondimenti

a) – Anna Foa, nata nel 1945, è ebrea per parte di padre, Vittorio Foa, giornalista, scrittore e politico legato a ‘Giustizia e Libertà’, poi al ‘Partito d’Azione’, imprigionato nelle carceri fasciste dal 1935 al 1943, passato al Psi e successivamente a varie sigle di sinistra. Il bisnonno era Rabbino-capo di Torino, ma Vittorio era un ebreo laico. Ha insegnato Storia moderna all’Università Sapienza di Roma.
“Andare per i luoghi di confino” è il titolo del libro presentato da Anna Foa alla libreria Feltrinelli di Latina, Ed. Il Mulino di Bologna: cronaca dell’evento, di Paolo Iannuccelli del 28 marzo 2019.
Di Fabio Lambertucci: Viaggio ai confini del Confino (ott. 2020)
(*) – Anna Foa  è stata mia docente di Storia moderna alla Sapienza nel 1994 (nota dell’Autore)

b) – Solimano I, detto “il Magnifico” [in turco moderno: Süleyman I; 1494 –1566 o (tra i turchi) Kanuni, ovvero il Legislatore], fu sultano e padiscià dell’Impero ottomano dal 1520 alla sua morte, e uno dei monarchi più importanti dell’Europa del XVI secolo. Portò l’Impero ottomano ai massimi fulgori. Sotto la sua amministrazione lo Stato ottomano governava almeno 20-25 milioni di persone.

c) – Il concilio di Trento o concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L’opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma.
Il concilio di Trento si svolse in tre momenti separati dal 1545 al 1563 e durante le sue sessioni, a Roma si succedettero cinque papi (Paolo III (Farnese), Giulio III (Del Monte), Marcello II, Paolo IV (Carafa) e Pio IV). Produsse una serie di affermazioni a sostegno della dottrina cattolica che Lutero contestava.

Papa Paolo III ha la visione del Concilio di Trento. Dipinto di Sebastiano Ricci. 1687

d) – Periodizzazione e storiografia dell’Inquisizione
Con la denominazione “Inquisizione” o “Santa Inquisizione” si intendono istituzione ecclesiastiche diverse per epoca, localizzazione geografica e caratteristiche dell’attività (cfr. le relative voci in Wikipedia):
l’Inquisizione medievale (dal 1179 o 1184 fino alla metà del XIV secolo): di questa inquisizione era responsabile il Papa, che nominava direttamente gli inquisitori.
l’Inquisizione spagnola (1478-1820), sotto il controllo dei re spagnoli e l’Inquisizione portoghese (1536-1821): anche in questo caso gli inquisitori venivano nominati dai rispettivi sovrani.
l’Inquisizione romana (o Sant’Uffizio): collegio permanente di cardinali e altri prelati dipendente direttamente dal papa; fondata nel 1542 e a tutt’oggi esistente (l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede)

Una sala delle torture durante la santa Inquisizione

Ordine di commercio esclusivo con Ancona del 1554 di Solimano I (Archivio di Stato di Ancona

Traduzione italiana dell’ordine di Solimano (Archivio di Stato di Ancona)

Lapide a ricordo del rogo dei Marrani, in piazza Malatesta ad Ancona (restaurata nel 2018)

 

 

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