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Anno che viene, anno che va (4)

di Francesco De Luca

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Riprendo da dove ho lasciato nell’ultimo articolo.

Quarta riflessione: il futuro di Ponza dipende, a mio vedere, da una presa di coscienza della comunità di sentire il peso e l’orgoglio di vivere in un territorio con una storia che deve continuare ad essere illuminata dal suo piccolo faro.

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‘A mio vedere’ scrivo, e dunque è fuori luogo valutare questi scritti come dettati da chi sa quale autorità sapienziale.
Sono considerazioni che mi vengono dall’essermi occupato di questi temi da quando ero studente. Hanno la mia età (75) e sono tarlati dalla mia visione dei fatti. Criticabili dunque ma fondati nell’esperienza e nell’evoluzione che essi hanno avuto, sia per la mutata realtà oggettiva sia per la mutata condizione soggettiva. Auspicano una ‘presa di coscienza’ della comunità isolana.
La auspicano perché tutti i miei scritti attinenti alle problematiche ponzesi tendono a portare discernimento nelle logiche che le sottendono e, nel metterle in chiaro, aiutano me ad approfondimenti, a rivalutazioni, a confutazioni. Cresco con loro.

Ma… so bene che i cambiamenti culturali sono difficili da assorbire e lenti, purtuttavia mi sono assunto l’impegno di farlo, e cerco di svolgerlo.

Le resistenze più coriacee si avvertono nel seguire giudizi politici sull’onda del disappunto, del rancore, dell’insoddisfazione, e non della razionalità.
Ecco perché le nostre scelte politiche sono dettate dall’interesse, dalla parentela, dalla vicinanza anagrafica, mentre auspico che esse trovino fondamento nella consapevolezza che la comunità ponzese deve sentirsi obbligata moralmente a tutelare il territorio e, nel farlo, tenere a mente gli insegnamenti che la storia passata ci invia.

Ecco qui… il solito moralista, si dirà. Ecco qui lui (sarei io) che viene a dirci qual è il nostro dovere di ponzesi!

Non è così. Non ho nessuna autorità per discorsi del genere. Se la forma logica dello scritto si puntella su espressioni come: ‘si deve’, ‘occorre’, non implica per i lettori obblighi morali, bensì esplicita la mia posizione morale nei confronti di quanto affermo. Per i lettori può essere un invito o un auspicio… niente di più.

Da questa mia posizione nasce l’espressione: ‘il peso e l’orgoglio di vivere in un territorio con una storia…’.
Il peso e l’orgoglio sono sentiti anzitutto da me che cerco di parteciparli ai membri della comunità isolana.

Più volte ho scritto che non è sano sentirsi ‘padroni’ dell’isola. Non lo siamo per deficienza costituzionale. Se viviamo a tempo, va da sé che non possiamo padroneggiare alcunché. Possiamo ‘sentirci padroni’ e di conseguenza tener cura del possedimento. Il quale, essendo isola vulcanica, ha una precarietà litica costituzionale. Per cui non possiamo fare altro che curarla. Alla luce di quanto i nostri padri hanno fatto per renderla ospitale e fruttifera. Ossia badando a valorizzarne i pregi e a mitigarne i difetti.

I pregi sono di marca naturalistica. Ed è per questo che la salvaguardia dell’ecosistema deve trovare il nostro primario impegno.

Ci sono poi i meriti culturali e storici. Portano i segni della povertà, della fatica, della tenacia. Con essi i Ponzesi vi hanno edificato la loro identità. Chi non conosce e/o non ri-conosce questa identità è un ‘estraneo’. Da trattarsi con i guanti… e da aiutarne l’integrazione. Non possiamo ‘venderci’ a chi ci vorrebbe manodopera di traffici all’insegna del ‘turismo’.
E nemmeno consentire che talune categorie sociali, arricchitesi col turismo, lascino al margine gli altri. Perché gli ‘altri’ a Ponza sono i giovani. Buoni soltanto come manovalanza giacché le occasioni per attività imprenditoriali sono già accaparrate.

Il mercato del lavoro, come si è strutturato a Ponza, è chiuso ad ogni nuovo intervento. Ad aprire le possibilità occorrerebbe smuovere le Università e i Centri di Ricerca per convogliare le energie giovanili verso l’associazionismo e il cooperativismo. Battaglie dure da vincere e perciò da non essere lasciate al volontariato privato. Qui è l’Amministrazione a dover prendere in mano le redini dello sviluppo.

Per farlo occorrerebbe un diverso clima amministrativo e un diverso impatto politico della società ponzese. Ci si riuscirà ?
Mi fermo con una domanda. Perché l’analisi da qui in avanti deve essere corroborata dai fatti. Questi genereranno le risposte. Che spero siano tante.

La citazione del ‘faro’ è una caduta narcisistica. I Ponzesi hanno scritto pagine nella storia del mar Tirreno.
Sono stati un ‘faro’? No, sono stati un lumicino alimentato dal lavoro assiduo. Il legame fra la presenza di un ponzese e il lavoro che esplica è attestato in tutti i luoghi ove i Ponzesi si sono recati. Il lavoro non il benessere, il lavoro non il privilegio, il lavoro non il potere.
A Ponza la classe dirigente dall’Unità al Dopoguerra è stata appannaggio di chi lucrava su chi si guadagnava il pane andando per mare.
C’è stata una frattura insana fra la classe operaia e la dominante. Da qui la disparità più eclatante fra il Porto e la frazione di Le Forna.

Penso che occorra riflettere su questo aspetto della storia isolana e metterci mano per equilibrare le parti.

per la prima parte (leggi qui) [2]
per la seconda parte (leggi qu [3]i)
per la terza parte (leggi qui [4])