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Il mare dentro

di Sandro Vitiello

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C’è tanta letteratura e ci sono tanti film che raccontano il legame indissolubile e totale tra alcuni uomini e il mare.
E’ una frenesia, è una condizione esistenziale.
Ho visto di persona cosa significa per alcuni vivere in maniera totalizzante il rapporto con il mare. Mio padre era uno di questi uomini.

Lui amava dire che si sta in mare tutto il tempo che si può. A terra si sta solo se non si può fare diversamente.
Non è vero che andava in mare esclusivamente per pescare. Nel suo mondo essenziale pescare era la ragione per muoversi, per andare, ma il tempo che dedicava all’impegno in mare non era solo quello della pesca.
Il mare lo chiamava costantemente e lui non si negava.

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Bastava poco per uscire in barca e fin quando ce l’ha fatta usciva anche da solo. A lui bastava stare in mare e la sua vita prendeva un altro ritmo.
C’era una simbiosi totale tra lui e l’elemento mare. Alcuni gesti o espressioni definivano meglio di tanti ragionamenti il suo stato d’animo.
Il suo viso si rilassava, lo sguardo si proiettava lontano e spesso cantava qualche strofa di canzoni napoletane. Più che canzoni erano litanie che accompagnavano il movimento della barca, il rumore del motore e anche solo il fruscio delle onde contro i remi.
I suoi occhi, dello stesso colore dei fondali poco profondi, raccontavano il suo personale piacere nel vivere in mare. Era una passione totalizzante.

Quando ha smesso di andare per mare -aveva ormai ottantadue anni- ha dedicato comunque tanto tempo a osservare il suo mare.
C’era un rito che si ripeteva tutti i pomeriggi, nelle giornate di bel tempo, nella sua tarda età.
Usciva di casa dopo aver fatto una mezz’ora di sonno nel pomeriggio e passava un paio di ore seduto sotto la pianta di fico.
Da lì dialogava con il suo mare.
Stava per quasi tutto il tempo in silenzio, assorto, e quello che passava nei suoi pensieri era un segreto tutto suo.
Raramente si lasciava andare a considerazioni esistenziali e se lo faceva usava un linguaggio semplice.
Come quando spiegò ad una signora di passaggio come passava i suoi pomeriggi: “Guardo il mare e mi basta”.

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Il mare può bastare.
Può riempire quelle parti della tua anima che credi perdute appresso ai fantasmi del tempo che ci tocca vivere.
Il mare può stare lì fino alla fine del tempo e non ti chiederà mai nulla se non il rispetto che si deve a chi può darti da vivere o toglierti quella vita che credi ti appartenga.
Eppure se esiste un legame tra l’uomo e l’ambiente, la gente come me, quella che ha passato gli anni fondamentali della propria formazione anche guardando il mare, quella gente si porta dentro un pezzo del mare. Dello stesso mare che ha accompagnato uomini come mio padre per tutta la loro esistenza.
Ci sono attimi del mio essere stato bambino che porto con me e sono chiari come se li avessi vissuti ieri..
A volte, quando non riesco a mettere ordine nei miei ragionamenti, ritorno a quel bambino che ero, al mio stare di fronte al mare seduto su un sasso, in fondo al giardino.
E tornano alla mente immagini a volte morbide e romantiche, altre volte figlie di un dio arrabbiato; si presentano chiare come se fossero presenti e rimettono ordine nel mio spirito.

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E aiutano a trovare un equilibrio forse smarrito, a sentire un respiro interiore che aiuta a guardare avanti.
E sciolgono nodi che bloccano i pensieri, e un senso di pace ritorna ad accarezzarti.