di Enzo Di Fazio (anche a nome di tutti gli altri Redattori)
“Il mondo ha bisogno di testimoni, perché la testimonianza è il segno della vita”.
Questa frase la sentii ad un corso di fotografia di diversi anni fa quando facevo parte di un circolo fotografico.
Nella circostanza venne abbinata a Rinaldo Della Vite (1926-2009), autore FIAF (1) di quell’anno (mi pare fosse il 2001), fotografo definito “neorealista” per la sua capacità di raccontare l’Italia contadina del dopoguerra.
Mi sono servito di alcune sue foto qualche anno fa per parlare delle botteghe diffuse degli Scotti.
Dalla monografia di Giorgio Tani dedicata a Rinaldo Della Vite riporto:
Durante i tre decenni del secondo dopoguerra, quando i quotidiani e i settimanali concepivano, più di prima e più di oggi, la necessità di abbinare agli articoli scritti la relativa documentazione fotografica, il foto-giornalismo ha svolto una funzione essenziale di informazione visiva. Ecco quindi che a fianco della fotografia formalmente artistica si aggiungeva la documentazione etnografica e antropologica.
Questo per dirvi come la fotografia possa raccontare e tramandare assumendo un valore testimoniale enorme.
Per esempio, se non ci fossero foto d’epoca dell’Arco di Mezzogiorno di Palmarola non si saprebbe mai della metamorfosi subita da quell’arco prima di diventare quei due spuntoni di roccia che oggi emergono dal mare
Così avremmo avuto difficoltà ad immaginarci come fosse la zona di Ponza di Punta Bianca prima che realizzassero la banchina nuova o molo di Santa Lucia.
La fotografia è memoria materializzata (lo dicevo in occasione della mostra fotografica esposta nel giugno del 2014 sul sagrato della chiesa di san Giuseppe)
Della memoria possiamo diffidare, della fotografia no, soprattutto di quella documentale, perché l’immagine racconta il momento in cui la storia si è fermata e la proietta verso il futuro.
Questo sito, fin dal suo primo giorno di vita, ha arricchito i suoi articoli di foto, inserite tra le parole, mai in maniera casuale, nel tentativo di creare un nesso tra i contenuti e le immagini. Ma anche per alleggerire la lettura.
Come fin dagli inizi abbiamo raccolto in sezioni dedicate le foto, in bianco e nero, di com’eravamo e di com’era l’isola.
Una foto se la guardiamo bene è un contenitore di mille informazioni.
Osservate questa bella foto di Antonio De Luca
A parte la bellezza espressiva della bambina notiamo un bacile smaltato, oggetto uscito ormai da tempo dalla nostra quotidianità, e una cassa antica di quelle che, piene di attrezzi, pantaloni di jeans e camicie a quadroni, accompagnavano i ritorni dall’America dei nostri emigrati partiti da Ponza agli inizi del secolo scorso per trovare fatica e fortuna altrove.
E guardate quest’altra:
Una scolaresca di sole bambine, tutte composte, con i grembiuli, i colletti e i fiocchi tutti uguali. La maestra è la signorina Civita Albano. Una foto che è l’immagine di un’epoca quando c’erano ancora le classi fatte di soli maschi o sole femmine.
Osservate le scarpe delle bambine di prima fila. Nella maggior parte dei casi sono scarponcini compatti che dovevano essere adatti alle strade dell’isola e durare più di una stagione.
Nell’era moderna con l‘avvento del digitale la fotografia è alla portata di tutti; lo è diventata ancora di più con i cellulari di ultima generazione.
La Rassegna Stampa, con il numero di oggi, chiude i battenti ma con l’abolizione di questa rubrica non vorremmo perdere la buona abitudine di raccontare Ponza, le sue albe e i suoi tramonti, insomma le sue stagioni, con le belle immagini che quotidianamente abbiamo finora proposto.
Foto di Silveria Aroma
Foto di Annalisa Sogliuzzo
Foto di Dimitri Scripnic
Foto di Rossano Di Loreto
Proprio qualche giorno fa abbiamo avuto una conferma di come le immagini suscitino emozioni e facciano bene ai Ponzesi che da Ponza sono lontani.
Ce lo dice Maria Conte da Padova ammirando le foto di Martina
Foto di Martina Carannante
Ecco, questa abitudine non vogliamo perderla… anzi vogliamo rilanciarla ed arricchirla.
Nasce così l’idea di aprire una nuova rubrica che chiameremo Una foto racconta
La rubrica è aperta a tutti, anche se non tutte le foto potranno essere pubblicate.
Quali caratteristiche dovranno avere? Devono raccontare l’isola e la sua gente. Ma non solo. Accogliamo con piacere anche foto scattate altrove e significative perché frutto di uno stato d’animo particolare dell’autore. Devono parlare di colori, emozioni, personaggi, momenti di vita.
Devono essere il risultato della combinazione di tre elementi che Henri Cartier-Bresson diceva indispensabili perché una foto potesse farsi anche leggere: la mente, gli occhi e il cuore.
Possono essere anche foto di un tempo passato, quelle trovate in un cassetto o tra le pagine di un vecchio libro.
Inviatele in Redazione con una breve didascalia che indichi il luogo e il ricordo cui è legata…
Non serve molto di più… le immagini, spesso, da sole dicono più di tante parole.
Nota di Redazione:
– le mail con le foto che i lettori invieranno in Redazione dovranno contenere la dichiarazione riportata nell’allegato documento che riproduciamo in formato .pdf, ma anche word per una più facile riproduzione
– in formato .pdf dichiarazione
– in formato .word dichiarazione
– tutte le foto d’epoca di Ponza sono state tratte dagli archivi di Ponzaracconta, costruiti con i gentili contributi di Fabio D’Atri e Giovanni Pacifico.
(1) FIAF sta per Federazione Italiana Associazioni Fotografiche
Sandro Russo
3 Gennaio 2021 at 21:48
Molto pertinente con quanto ha scritto Enzo (a nome della Redazione) sulla Fotografia, trovo questa presentazione – di Marco Belpoliti, da la Repubblica di giovedì 31 dicembre 2020 – della figura e dell’opera di Leonardo Sciascia cui il giornale ha dedicato l’intero supplemento Robinson di ieri, sabato 2 gennaio 2021.
Riporto degli spunti:
“Non c’è quasi racconto o romanzo di Leonardo Sciascia – di cui nel 2021 ricorre il centenario – che non contenga il riferimento a un’immagine: citazioni figurative di quadri e fotografie, di stampe e incisioni, e anche di film”.
“(…) Lo stretto rapporto tra visualità e scrittura ha dunque una grande importanza nel suo lavoro letterario”. “(…) Amava l’arte e soprattutto la fotografia perché contiene in sé sia il passato che il futuro, la luce e l’ombra”.
“(…) Tra tutte le arti quella che ha catturato maggiormente la sua l’attenzione è la fotografia, che non a caso indicò come un’arte cui non era stata assegnata una propria musa”.
(…) “Perché proprio la fotografia? Prima di tutto perché più della pittura la fotografia sembra parlare della realtà, e la “realtà” è il mistero da svelare nell’opera di Sciascia: inafferrabile, incomprensibile, contraddittoria, misteriosa; è luogo in cui verità e menzogna s’affrontano senza fine. Inoltre, la fotografia sembra a Sciascia quella che più a che fare con la letteratura”. Lo interessa in particolare il ritratto, come mostra lo scritto Il ritratto fotografico come entelechia, ora in Fatti diversi di storia letteraria e civile.
In quello scritto parte dalla lettura de La camera chiara di Roland Barthes. Lo scrittore francese è alla ricerca della vera immagine della madre, la verità del suo volto, e la scopre in un’immagine di lei bambina. Quella che insegue, scrive Sciascia, non è la somiglianza fisica della madre, ma quella che egli chiama entelechia, termine coniato da Aristotele che designa lo stato di perfezione; meglio: il compiuto, l’intero di un ente che ha raggiunto il suo fine attuando ciò che era in potenza”.
Sandro Russo
5 Gennaio 2021 at 08:39
Un concetto in cui mi sono imbattuto per caso ieri, in un contesto del tutto diverso da Ponzaracconta, viene da un basilare saggio di Susan Sontag (1933-2004): “Sulla fotografia” – “On photography”, del 1977:
“Una narrazione può farci capire… Le fotografie fanno qualcos’altro: ci ossessionano”.
E ancora…
Ha scritto Walter Benjamin (1892-1940): “L’osservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nell’immagine quella scintilla magari minima di caso, di hic e nunc, con cui la realtà ha folgorato il carattere dell’immagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui, nell’essere in un certo modo in quell’attimo lontano si annida ancora oggi il futuro, e con tanta eloquenza che noi, guardandoci indietro siamo ancora in grado di scoprirlo”.
silverio lamonica1
5 Gennaio 2021 at 12:36
Ho notato, con piacevole sorpresa, la foto della mia famiglia quasi al completo (anno 1953/54)
Al centro mio papà Fausto, tra mia mamma Amalia (a sinistra) e zia Matilde di Frontone (a destra, sorella di mia madre e nonna della prof. Ennia Mazzella, Gerardo, del Museo Etnografico di Frontone, ecc.). In prima fila da sin. a dx: Anna, Angelina (con la bambola) e Amalia, figlie di mio fratello Peppino, quindi mie nipoti, emigrate a Bastia, Corsica nel 1955/56, ora nonne). In piedi, in senso orario: mio fratello Francesco, mia sorella Anna, morta nel 2012; mia cognata Maria, figlia di Zia Matilde e madre delle tre bambine nella foto, deceduta alcuni mesi fa in Corsica, i miei fratelli Michele e Tommaso, maestro elementare che ci ha lasciato nel 1987, mia sorella Angelina e dulcis in fundo o in cauda venenum (come preferite) chi scrive.
Manca mio fratello Peppino, marito di Maria e padre delle tre bimbe, il quale all’epoca già lavorava in Corsica come carpentiere navale e di cui è stato pubblicato un profilo, tempo fa, su questo sito.
La foto fu scattata da un fotografo tedesco in vacanza a Ponza, assieme ad altre che ritraevano sia il paesaggio della nostra isola che ponzesi dell’epoca intenti al lavoro.
Silverio Lamonica
5 Gennaio 2021 at 21:45
Precisazione.
Nella foto manca pure mio fratello Luigi che all’epoca era sposato e che è scomparso nel 2002
Enzo Di Fazio
5 Gennaio 2021 at 21:48
La foto della famiglia di Silverio è tra le più belle esistenti nell’archivio di Ponzaracconta. Confesso di averla selezionata essenzialmente per due motivi: il primo per la presenza del mio indimenticabile maestro Tommaso; il secondo perché speravo che stimolasse l’intervento di Silverio. Che puntuale è arrivato a conferma di come una foto possa risvegliare ricordi legati a situazioni e momenti particolari e aiutare a ricostruirne alcuni appartenenti all’epoca in cui sono stati vissuti.