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Epicrisi 312… e che anno nuovo sia

di Enzo  Di Giovanni

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L’anno appena trascorso non è stato, con tutta evidenza, un anno normale. Quello che il Time ha definito il “peggior anno di sempre”, epiteto probabilmente esagerato ma che rende l’idea degli sconvolgimenti in atto sul nostro pianeta, lascerà senz’altro strascichi importanti.

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A voler storicizzare gli eventi, sono stati tanti i periodi bui della storia dell’uomo, ma nella “lista” gli storici mettono al primo posto il 536 d. C.: anno in cui una “grossa nuvola di polvere”, derivante da una enorme eruzione vulcanica, coprì interamente la Terra.
C’è una similitudine però, tra il 2020 e questo fantomatico 536, ed è il fatto che non lasciano tracce di sé nella memoria collettiva – se non, curiosamente, per la nostra storia di ponzesi, essendo il 536 l’anno dell’ascesa al soglio pontificio del nostro San Silverio -: nel 536 nessuna guerra epocale, nessuna pestilenza, nessun sommovimento politico degno di nota, in quello che fu un periodo relativamente tranquillo. Come, tutto sommato, “relativamente tranquillo” sotto questo punto di vista è stato anche l’anno appena trascorso.
No, il 2020 non lo ricorderemo sui libri di storia. Come non si ricordano altri eventi similari: alzi la mano chi sapeva che durante la spagnola, che colpì duramente il mondo intero nel 1918, era diventato “indumento” di uso comune la mascherina, con tanto di contorno di manifestazioni no-mask, esattamente come oggi!

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Ma la similitudine tra il 536 ed il 2020 è soprattutto un’altra: non nell’eccezionalità degli eventi, ma dagli effetti provocati dagli stessi.
Il 536 gli storici ce lo consegnano come un anno anonimo, ma le conseguenze climatiche di quell’eruzione – collasso delle temperature, siccità, nevicate estive e carestie diffuse – aprirono la strada ad un periodo di depressione che durò circa un secolo.
Il 2020, augurandoci ovviamente di non subire effetti troppo prolungati sull’economia mondiale, provocherà probabilmente mutamenti profondi nei comportamenti sociali, dalle conseguenze imprevedibili.
Niente di nuovo, per carità: siamo proiettati da tempo verso un mondo sempre più dipendente dalle tecnologie e dalla virtualità dei rapporti umani, ma per dirla con Rita Bosso, Niente ‘e nuovo [3]sta provocando uno scossone deciso in tal senso, a proposito di perdita di socialità…
L’esempio più evidente di questo mondo nuovo è la scuola, chiaramente. Da sempre filtro tra famiglia e società, luogo per eccellenza di imprinting, di crescita collettiva e scontro/incontro generazionale, la scuola ha subito uno stravolgimento improvviso e violento con la Didattica A Distanza, come ben descritto in È la scuola, bellezza! (seconda parte) [4].
E’ un argomento infido, un percorso ad ostacoli tra le potenzialità che il mondo virtuale offre, e su come utilizzare tale ricchezza in maniera tale che non comporti perdita di umanità.
Sì perché già i tempi sono difficili, e non si sentiva proprio il bisogno di una accelerazione come questa provocata dal Coronavirus.
Ed è evidente, e molti scritti di questa settimana a cavallo tra due anni lo testimoniano, come si siano acuite le distanze non solo tra generazioni, ma anche tra categorie sociali, chiusi come siamo tra compartimenti stagni, figli dei vari lockdown.
Il ricordo di una generazione che ci ha lasciato in questo anno funesto [5] ci parla di tutto ciò.
Senza fronzoli, la cruda realtà non solo ci racconta di come si muore, soli, senza alcun conforto. Ma, e non è meno terribile, si muore senza empatia, senza la consolazione di lasciare testimonianza di sé: …quando tutto questo sarà finito e avremo modo di fermarci a riflettere e leccare le nostre profonde ferite sentiremo un unico, grande, enorme sentimento: la mancanza.
Non siamo diventati affatto migliori. E non “andrà tutto bene”.
Il paradosso delle ultime generazioni è che esteriormente sembrano essersi ridotte le distanze: ascoltiamo le stesse musiche dei nostri figli, ci vestiamo tutti allo stesso modo, non ci sono più le differenze stilistiche ed espressive che c’erano a cavallo del boom economico, o per lo meno non così marcate. Ma in realtà siamo tutti più soli, soli ed incattiviti, gli uni contro gli altri, divisi da categorie sociali, economiche, culturali.
La cosa più sorprendente di una delle immagini-simbolo, terribili, dell’anno trascorso, i camion militari con le bare a Bergamo, non è la cosa in sé, ma il fatto che molte voci si sono alzate a negarne l’esistenza.
Il Covid, questa sfrontata pandemia irrispettosa, ha avuto l’ardire di sfidare ed infrangere uno dei tabù dell’edonismo imperante: ci ha ricordato che si muore. Come si moriva di peste, o di spagnola.
Ricostruire, come in nuovo dopoguerra, sarà difficile, perché quando finalmente abbandoneremo mascherine e distanze, ci sarà bisogno di ritrovare, tra le macerie, l’umanità perduta.
Cominciando col ricreare un legame storico, come ad esempio quello che ci propone l’evento “Glie sciuscie” a Gaeta [6]: “Una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente” . O, riprendendo un pensiero dell’antropologo Marino Niola “una cosa il Covid ce l’ha insegnata. Che senza riti la collettività entra davvero in sofferenza. Perché in realtà non è la società a fare il rito, ma il rito a fare la società”.
Noi a Ponza, in questo campo siamo in sofferenza da tempo, Covid o non Covid.
Leggetevi il racconto di Natale Figlio del mare [7], di Franco De Luca. Si parla di come tutti si vogliono bene ma superficialmente. Di come tutto sia cordiale, affratellato, amicale e invece sotto cova il rancore, l’invidia, il pettegolezzo. L’isola del secolo ventunesimo: lacerata nella sua carne sociale, impossibilitata a programmare un futuro possibile.

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E a proposito di programmi, divampa la polemica su Zannone, con continui lanci di accuse tra amministrazione ed opposizione: “Zannone venduta al Parco” [9]Consiglio comunale del 18 dicembre: approvato il protocollo con il Parco [10]“Mimma tace sulla svendita di Zannone. La figuraccia del ‘comunicatore’ del Comune” [11]Replica alla minoranza sul Consiglio Comunale del 18 dicembre 2020 [12]
In sostanza l’ex sindaco rinfaccia all’attuale giunta l’incapacità di sostenere un braccio di ferro proficuo con l’Ente Parco del Circeo; in risposta l’amministrazione accusa la minoranza di fare sterile propaganda ignorando volutamente che ci sono delle normative precise a cui bisogna adeguare l’azione politico-amministrativa, se si vogliono portare a casa dei risultati.
Quello che sembra continuare a mancare, purtroppo, è un progetto, un’idea organica di come si ipotizza il futuro di un pezzo importante della nostra terra.

Un annus horribilis ci ha lasciato con altri lutti. Salutiamo con tristezza Eleonora Perrotta [13] e Guglielmo Tirendi [14], che ci ha lasciato in eredità una preziosa testimonianza sui soprannomi ponzesi, pubblicata su Ponzaracconta nel lontano 2011.

Un anno nuovo è un evento che può essere raccontato con sensibilità diverse. Ne trovate ampia – e qualificata – testimonianza in 2021! Ma prima 2017… 2014… [15]con l’augurio che si possa tornare presto ad avere anni normali.
Altri auguri, graditi e ricambiati, ce li invia Silverio Lamonica attraverso una poesia di Erica Jong: Gennaio a New York [16], con una connessione spazio-temporale tra Ponza e la Grande Mela.
E, sempre in tema di auguri, come non omaggiare i cento anni di Emilia Vitiello [17]? Senza troppi giri di parole, a volte basta una foto a dare senso alle cose, come quella regalataci da Sandro Vitiello.

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Ampia eco ha avuto, sul nostro sito, il passaggio televisivo della rilettura in chiave cinematografica di “Natale in casa Cupiello” dell’immortale Eduardo. Al punto da far scaturire un dibattito, che partendo dal teatro – dove tutto è finto ma niente è falso – approda alla “napoletanità” (Chistu “Natale” fète ’e scarrafone [19] e Lettera sulla “napoletanità” [20]).
Noi a Ponza siamo in una specie di limbo. Il legame con Napoli lo abbiamo annacquato, almeno con le nuove generazioni, da quando il cordone ombelicale si è spostato a Formia, e la contaminazione turistica a Roma. Ma il “sentire”, quello no, appartiene al DNA e non è in discussione. La nostra è una napoletanità particolare – Fantasmi a Napoli? Risponderemo con i nostri munacielli [21] – con accenti rutunneschi e melanconie isolane, ammiccante e riservata.

E Oggi, 31 dicembre 2020, Ponza è così [22]:

[23]

E, per chiudere, facciamo finta per un attimo che l’anno vecchio sia stato come tutti gli altri e salutiamolo – senza rimpianti per carità – con la poetica di Eduardo [24]:

…sa che te rummane?
Te rummane ‘o ricordo ‘e nu mutivo
comme fosse na musica sperduta
‘e nu suonno scurdato,
ca t’è paruto vivo
chiaro cchiù d’ ‘o ccristallo
dint’ ‘o suonno
e nun ‘o puo’ cunta’ quanno te scite
manc’a te stesso,
tanto è fatto ‘e niente.