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‘La strada del mare’ di Pennacchi: ricordi in libertà

di Paolo Iannuccelli

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La strada del mare. Antonio Pennacchi – sul sito leggi qui [1] e qui [2] – ha scelto un titolo accattivante per il terzo capitolo della saga che racconta, ambientata negli anni Cinquanta, il periodo in cui Latina conosce una forte crescita demografica unita ad una spinta all’urbanizzazione.
La strada del mare è stata una delle opere pubbliche più attese e importanti. Sono gli anni che precedono e preannunciano il boom economico.

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Quando penso ad Antonio Pennacchi mi viene subito in mente il paese di Codigoro, da dove proviene la sua famiglia materna.
Quando andavo a Ferrara con il treno partendo da Bologna era scritto sul vagone: Bologna-Ferrara-CODIGORO, quasi a caratteri cubitali. Era diventata per me una curiosità.

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Codigoro, l’Abbazia di Pomposa

Andai poi a visitare la bella abbazia di Pomposa, un vanto per quei posti regno delle zanzare.
Nel libro Antonio cita il grande calciatore del Latina Vittorio Crociara, un ferrarese doc nato a Pontinia che ancora conserva usi e costumi di quelle parti come la passione per il ballo.
Mi ha appassionato davvero il racconto su Giovannino Duranti, il ristoratore di Foceverde arrivato da Ponza nel 1943 con la famiglia su una barca a remi.
Quando stavo per scrivere il libro Gente di Ponza [5] andai alle Forna per sapere qualcosa sulla famiglia Duranti che aveva lasciato l’isola in pieno conflitto mondiale. Vado in un bar dove alcuni vecchietti amici miei giocavano a carte.
– Vi ricordate di Duranti?
Pronta la risposta: – Lascia perde a chill’.
Non capisco e cambio bar, trovo un altro gruppo di anziani che conosco bene.
Al nome Duranti rispondono bruscamente: Vattenne va’.
Un mistero. Dopo qualche giorno apprendo che i Duranti a Ponza erano due. Uno – veneto di origine – lavorava alla miniera Samip, era un bell’uomo alto due metri, piacente tanto da essere ammirato da molte ragazze. Lui ci provava con tante, era lo spauracchio di tanti mariti allarmati. Ho capito – finalmente – il motivo per cui ne parlavano male dopo tanti anni e lo ricordavano lucidamente.

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Giovannino Duranti, quello arrivato sulla spiaggia di Focevede, era un fiumarolo – di fede comunista – del Tevere, approdato a Ponza per amore. Antonio Pennacchi descrive gli scioperi al Vittorio Veneto, la scuola per ragionieri e geometri. Nino Corona mi raccontava: “Abbiamo campato per anni marinando la scuola con la scusa che Moro voleva cedere Trieste al compagno Tito”.

Eppoi lo scrittore di Codigoro è andato a pescare quel simpaticone di Tullio Cinto, il più fascista tra i fascisti di Latina. Tullio era un arbitro di calcio, al campo dell’oratorio salesiano lo sfottevano dagli spalti. Lui, dal fisico filiforme senza un grammo di grasso, era sempre soggetto al coro “l’arbitro c’ha la panzaaaaa”.
Dal calcio il buon Cinto passava candidamente alla boxe. Tullio era lo speaker ufficiale in tante riunioni. Il suo metallico “fuori i secondiiiiii” al termine di ogni round era un piacere ascoltarlo. Cinto non ha mai avuto ruoli importanti nei match di Giulio Rinaldi che Antonio cita con molto piacere.
Il campione di Anzio riuscì a persino a battere il fenomenale americano Archie Moore nel 1960 al Palasport di Roma su 10 riprese in un incontro non valido per il titolo mondiale dei mediomassimi. Il leone di Anzio terminò la carriera dieci anni dopo battuto dal giovane Adinolfi, ciociaro tosto di Ceccano.
A proposito di incontri di calcio tra Anzio e Latina sul vecchio campo adiacente l’ospedale militare. Siamo sempre stati noi di Latina a vincere a botte con i portodanzesi che scappavano impauriti dal civettuolo ponticello che portava a quel leggendario rettangolo di gioco.