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Un vero racconto natalizio, lo scaricatore e il fabbricante di giocattoli (prima parte)

di Emilio Iodice

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“Se non fosse stato per te,” disse, “non sarei qui stasera.
Mi hai tirato fuori da una macchina in fiamme.
Mi hai dato il tuo sangue in modo che potessi vivere.
Hai salvato la mia vita non una, ma due volte.”

A New York era una serata fredda, piovosa e battuta dal vento. Banchi di nebbia stavano scendendo sul porto insinuandosi nelle strade e nelle caverne della città. Era l’ottobre del 1944 e infuriava la Seconda Guerra Mondiale. Gli alleati erano sbarcati ad Anzio in aprile e in Normandia a giugno. Roma era caduta. Era tempo di mettere in ginocchio la Germania ed il Giappone. I bombardamenti incessanti e le battaglie stavano calando il sipario su Berlino e Tokyo. Uno scaricatore aveva appena terminato il suo turno nell’arsenale marittimo di Brooklyn. Aveva 31 anni, era un bell’uomo forte e sano, con i capelli ricci castani tendenti al biondo.

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Arsenale marittimo di Brooklyn, 1944

Aveva trascorso 12 ore a caricare le munizioni sulle navi ed era esausto. Il suo lavoro era difficile e pericoloso e spesso ne aveva paura.

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Carico delle bombe sulle navi della marina americana, 1944

A volte, qualcuno lasciava cadere o manovrava male il carico e si potevano verificare delle esplosioni, con gravissime conseguenze per gli uomini, che si ritrovavano senza gambe o braccia, mentre i più  fortunati morivano. Quella notte e durante quel turno, tutto andò bene per lo scaricatore. Ringraziò Dio per essere sopravvissuto un altro periodo al porto e aver avuto l’opportunità di guadagnare dei soldi. Alcuni mesi prima, nel magazzino militare Port of Chicago, in California, durante il carico su una nave destinata al teatro delle operazioni nel Pacifico, erano esplose le munizioni, trasformandosi in una palla di fuoco e uccidendo 320 persone, tra marinai e civili. Altre 390 rimasero ferite, molte delle quali erano afro-americani. In seguito a questo episodio, centinaia di marinai si rifiutarono di caricare le navi e vennero arrestati. Cinquanta di loro furono giudicati colpevoli di ammutinamento e dovettero scontare lunghi periodi di detenzione.

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La nave di linea francese, Normandie, al Molo 88
alla fine degli anni trenta

Due anni prima, dal molo in cui lavorava, aveva assistito all’incendio di una delle più grandi e veloci navi passeggeri e non dimenticò mai quella scena. Al porto, il pericolo si celava dappertutto.

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La Normandie mentre brucia al Molo 88 a New York, 1944

Era preoccupato, doveva pagare il conto del medico, sua moglie aveva appena perso un altro bambino dopo la gravidanza di nove mesi e si sentiva ancora debole. Era la sua quarta gravidanza ed il terzo aborto. Lo scaricatore aveva ancora dei debiti da pagare a causa della broncopolmonite di suo padre quasi dieci anni prima.

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Mentre si accendeva una sigaretta ed osservava la sagoma della corazzata che aveva appena caricato, si sentì opprimere dall’ansia e dalle preoccupazioni.  Il sole stava tramontando lasciando il posto al chiaro di luna. Uno Zeppelin stava volando mentre l’oscurità avvolgeva l’arsenale e la città. Le luci erano spente, il sole era scomparso del tutto. Per ragioni di sicurezza, il porto e New York dovevano rimanere al buio, protetti dagli occhi del nemico.

Istintivamente, si incamminò verso la macchina.

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La trovò in mezzo a tutte le altre, nonostante la pioggia e la nebbia che ricopriva il cantiere navale. Non vedeva l’ora di tornare a casa da sua moglie e da suo figlio di cinque anni, di trovare un pasto caldo, un bagno ed un letto morbido. Lei gli preparava la cena e la lasciava nel forno per mantenerla calda. Quando arrivava a casa, si alzava, non importava che ora fosse, per servirgli il pasto. Lo scaricatore voleva essere lì per prendersi cura di lei.

Salì in macchina, una Dodge station wagon marrone con le fiancate in legno, costruita negli anni trenta. Funzionava bene, ma era vecchia e cominciava a dare qualche problema, perché trasportava casse di frutta, verdura e altri generi alimentari. Per sopravvivere, lo scaricatore aveva anche un negozio. Lavorava giorno e notte, sette giorni alla settimana, non conosceva giorni di festa o vacanze. Quando non era al porto, stava al negozio.

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Edifici nel Bronx, 1944 ca.

Doveva lottare per dare da mangiare alla moglie e al figlio e sostentare una famiglia numerosa su entrambe le sponde dell’Atlantico. Era italiano e veniva da una piccola isola del Mediterraneo. Era contento di essere in America, di lavorare e servire il paese che amava, di avere un lavoro e guadagnarsi da vivere.  Un giorno avrebbe comprato una casa e avrebbe realizzato il sogno americano. Questi erano i suoi pensieri mentre avviava il motore e iniziava a guidare. La notte era fredda e buia.

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New York City, 1944 ca.

I fari delle automobili accecavano lo scaricatore mentre guidava con prudenza lungo la stretta strada principale che conduceva in città.

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Il Ponte di Brooklyn, 1944 ca.

Attraversò il Ponte di Brooklyn e gettò uno sguardo ai grattacieli luccicanti di Lower Manhattan che assomigliavano a case dalle mille luci che invitavano i viaggiatori verso il litorale di New York. Il fiume mugghiava sotto di lui mentre il vento spingeva le onde e le correnti che potevano rivelarsi fatali. Lo scaricatore si ricordò che alcune settimane prima, qualcuno si era gettato nel fiume dal ponte.

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Pedoni che attraversano il Ponte, 1944 ca.

Il corpo non fu mai ritrovato. Pregò per quell’anima dimenticata e si domandò il perché alcune persone si suicidassero. La vita era dura ma anche bella e riteneva che, più della felicità, la gente aveva bisogno di trovare un significato. Lui l’aveva trovato in un piccolo appartamento nel Bronx, in una brava moglie come compagna di vita e in un bambino che stava crescendo sotto i suoi occhi. Adesso stava andando da loro.

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Limousine, 1941

Non era facile vedere la strada nell’oscurità e nella nebbia.

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Il Ponte di Brooklyn, 1944 ca.

Prese un’uscita e imboccò una via secondaria per raggiungere la rampa che attraversava l’East River in direzione del Bronx. La sua casa era adesso a soli 30 minuti ed era ansioso di arrivare. Quando svoltò verso la rampa, all’improvviso vide qualcosa che lo allarmò.

Una limousine nero lucido si era schiantata contro la massicciata e si era cappottata iniziando a prendere fuoco. Lo scaricatore si fermò e smontò dalla station wagon guardandosi attorno. Non c’era nessuno che potesse chiamare o a cui chiedere aiuto. Era da solo. La pioggia gelata gli batteva sul viso e gli penetrava in tutto il corpo. Era fradicio e aveva freddo. Cominciò a tremare.

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