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“Mandria notarile”, di Annalisa Gaudenzi

segnalato da Sandro Russo

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E’ sempre un piacere segnalare sul sito la pubblicazione di un libro da parte di un nostro collaboratore abituale.
Annalisa Gaudenzi ha cominciato a scrivere sul sito dal primo lockdown, a seguito di un contatto occasionale; lei “straniata” a Parigi, noi in Italia, interessati a registrare come veniva vissuta “nel privato” questa inusuale esperienza, che si fosse a Ponza, in Italia o nel mondo. Si è diventati così amici di tastiera (prima si diceva amici di penna).
Dagli scambi viene fuori questo progetto di libro cui sta lavorando… manda delle anticipazioni, poi il .pdf completo del testo.
Devo dire che l’ho letto con interesse, abbiamo scambiato pareri, informazioni, dritte sulla ricerca della casa editrice. Evidentemente a buon fine, se ci presenta il risultato.

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E’ una storia gradevole, fresca e scoppiettante, con botto finale. Ne anticipo qualche pagina, poco più in là dell’inizio, che mi ha invogliato ad andare avanti. Il lettore ha già fatto la conoscenza con la bambina, Sucre, perché Guido, il padre, è laureato in Chimica e ha il pallino dei nomi – Sucre, per la dolcezza dei cristalli di zucchero (in francese), e come la capitale della Bolivia. Sucre, la cui mamma è sparita e lei non sa più che fare per farla tornare, nella grande fattoria (delle Marche) dove ora vive sola col padre…
“Questa piccola irriducibile, tornata dall’asilo, si rincalza il copricapo azzurro luccicoso, maneggia con maestria la bacchetta argentata e comincia a cercare fiduciosa la madre: sotto i letti, dentro gli armadi, là, sopra in soffitta, dietro i cespugli in giardino, issandosi sugli olivi del parco, sbirciando le teste delle querce secolari. Niente. Interpella pure lombrichi, cavallette, galline e gazze: “Sapete qualcosa?”. Niente”.

Dal risvolto di copertina
Sucre Goddi è oggi una notaia quarantenne di Roma, stimata anche se eccentrica. Infatti si presenta abitualmente al Mattatoio di Macerata. Perché? Di sua madre Adele, sa solo che è fuggita in India, lasciandola a 5 anni col padre Giulio, genuino e visionario, ad abitare Villa Amigdala, una fattoria sgangherata ma allegra, con la vacca Batuffola come compagnia. Dopo la laurea, la protagonista sperimenta la capitale e gli zii materni: Sergio (notaio avviato) e Marcella (snob col pallino di maritarla bene). Ma perché pure loro si ostinano coriacei a difendere il mistero su Adele? Finalmente giunge Totti, una avvocato italo-austriaca buffa e sagace, che non trova il coraggio di palesarle il suo amore. Diego Tumi, invece, va alla conquista di Sucre, con l’obiettivo di farsi finanziare un progetto parecchio rischioso. Sarà l’apertura di un testamento a rivelare un impensabile scenario e a imporre una severissima resa dei conti. Ecologia, animalismo, antispecismo, vegetarianismo fanno da sfondo alle vicende, dialogando coi protagonisti.

Annalisa Gaudenzi (dal risvolto del retro di copertina)
Mezzo secolo fa nasce a Trento. Prima per destino e poi per volontà segue i familiari in diverse città. Attualmente a Parigi. I trasferimenti hanno dilatato conoscenze e curiosità. Dopo la laurea in Filosofia nel 1994, 110 e lode, inizia come giornalista pubblicista, conducendo telegiornali per emittenti private. Dipendente Rai dal 1998, passa attraverso varie realtà aziendali: dalla Radio al Cerimoniale alla Televisione. Oggi è programmista-regista e realizza documentari, in particolare sulle bellezze italiane. La rubrica del suo cellulare è decisamente trasversale. Ma i suoi contatti preferiti restano quelli dei volontari animalisti.

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Note dell’EditoreAffinità Elettive Edizioni; data di Pubblicazione: novembre 2020, pagine 208 pagine, formato brossura (€ 15). 

Anticipo qualche pagina del libro (p. 24 e segg.)

Sucre è immersa tra i suoi giochi in soffitta, un ambiente quasi vuoto, lasciato a grezzo coi mattoni a vista. Regno di ragni dalle zampe a filo che iniziano a roteare all’impazzata se vengono sfiorati, e difatti la bimba sta molto attenta a non disturbarli, un po’ per rispetto, un po’ per schifo. Insomma sta là, col cono da fatina appoggiato su una poltroncina in vimini, ormai tutto sbrindellato, e lei a terra a escogitare favole per le sue Barbie.
Un rumore di cingoli sul brecciolino dello stradone la richiama verso le finestre e quell’argavagnu laggiù, vicino al cancello, corredato da quel gran gabbione impacchettato a casaccio (ma a celare chissà cosa…), non può non colpirla, nel poggio agreste dove vive. Pure le cicale sembrano azzittite. Solo il Sole irremovibile continua a picchiare coi suoi raggi appuntiti.
A tutta velocità e senza alcuna premura Sucre butta le bambole nel disordine di un cestone e dalla soffitta si fionda al piano terra. Non osa procedere perché teme un clamoroso liscio busso del padre: mai e poi mai, se ci sono sconosciuti, po’ gì furastica, può andargli accanto. Deve, al contrario, correre in casa e aspettare che lui rientri.
Perciò, seminascosta dal portone del garage, resta a fissare il padre vicino al cancello. Intanto Giulio è concitato col guidatore: la conclusione dell’affare è prossima.
Il trattorista, con un cappello di paglia aggraziato da una penna di fagiano, dall’alto del trabiccolo sta orientato verso l’interlocutore in basso. Indossa una camicia azzurrina, pulita stirata, a maniche lunghe, più adatta forse a un appuntamento in banca. L’eleganza tuttavia là si esaurisce, perché sotto l’uomo veste dei pantaloncini beige, che lasciano sbucare due gambotte pelose e goffe.
Il celeste impressiona Sucre, che lo ritiene il colore dei Maghi ma avendo sul copricapo quella lunga piuma cangiante (sicuramente di pavone!) può essere pure uno Stregone… E chissà cosa tiene nascosto dentro quella Cassa Incantata!? Oppure… Chi?
Non ci sono minuti per illudersi, ma attimi, perché subito il Magostregone manovra le leve di un verricello e il retro si apre. Evviva! La bambina esulta tra sé e, presa dall’euforia, decide che è tempo di scapicollarsi per scoprire il mistero. Perciò quatta quatta, sfruttando la copertura offerta dal cordolo della siepe, raggiunge silenziosa i due uomini.
Lu fiènu, scì, e l’acqua pure ’rcordate. Nu la mannà ju pe’ le jeppe, che se ’nfrociano e dopu? Chi te l’arporta su?» Si diverte il Magostregone a dare indicazioni a Giulio, che mostra viva partecipazione, ponendo quesiti e riflessioni. Terminata la spicciola formazione teorica, il padre la chiama a gran voce. Eccola sbucare all’istante, senza la minima tattica. Giulio sta per rimproverarla, ma lei lo neutralizza prendendogli la mano. E stringendogliela forte. Mantiene però lo sguardo ipnotizzato sul carrello. Qualcosa deve apparire, no? O addirittura… qualcuno!

Il trattorista intanto è sceso, s’è infilato dentro il box, ha maneggiato ganci e corde e un rumore di passi stridenti sulla rampa avvisa che quell’enigma sta scendendo: cosa sarà mai?
Presto svelato: a raschiare sul ferro sono gli unghioni cheratinosi di una vacca bianca, di razza Marchigiana, ipertrofica, colossale, che cala con grande lemma e senza tanti complimenti.
E Sucre? Un salto indietro dallo spavento, un’altra occhiata fugace e dopo via! Un fulmine, via via, tutto d’un fiato, su, fino in soffitta!
«No! Una mucca? Una mucca nooo! Ma io che ci faccio? Ma io speravo, ma io volevo… la mamma!» a piagnucolare fino a sera, barricata con tutti i cesti dei giochi a sprangare l’accesso.

All’ora di cena Giulio sale da lei e sgombra senza difficoltà l’esile barriera difensiva. Con estrema calma (qualità che in genere non lo contraddistingue) s’avvicina alla poltroncina in vimini dove Sucre sta buttata tutta rossa, volto e capelli, arruffata e mocciolosa. Non le dice nulla. Solo le accarezza il capo a lungo e poi sempre taciturno scende in cucina.
Non che non sia capace di parlarle, ma in quelle faccende così delicate a lui manca, evidentemente, il tocco materno. Poi comunque è smarrito e pure pentito. Credeva di farle una grande sorpresa, un dono speciale, a lei che piacciono tantissimo gli animali, che ne riporta di più assurdi e strani a casa (mentre un po’ paura dei cani ce l’ha, purtroppo, trasmessale dalla madre). E invece? Un bel guaio. E che ci fa, adesso, con quella vestiò?
La bestiona, intanto, senza complicarsi la vita, s’è avvantaggiata sulla cena e quel po’ di erba nei dintorni se l’è fatta bastare.
Giulio non che abbia mai fatto il mandriano, ma qualcosa di elementare sa. Così ritorna in giardino e, dopo averla rintracciata, la prende per la cavezza, conducendola sotto al patio. Un vecchio materasso a terra e una vasca rosa piena d’acqua (dove Sucre faceva il bagnetto da neonata) e per stanotte s’arrangi così.
Nessun timore che fugga? No: tutto recintato il parco intorno all’Amigdala e poi le vacche non hanno velleità esotiche.
Nel frattempo in soffitta, bella impiastricciata di moccio, Sucre si è finalmente calmata. Pure frignare costa fatica e poi muore dalla sete, una vera arsura! La calura la soffoca, sebbene sia arrivata la sera a stemperare l’afa. E la fame? Che fame! Ha saltato la merenda e non ha neanche mezzo cracker di riserva là sopra, che papà non vuole, perché richiamano le pentigà, i topi.
Ma chissà che sta facendo.., (tirata di naso) lei, sì, la Mucca.

Affamata di cibo e curiosità, Sucre sbircia nell’area sottostante. Niente! E poi ormai è a quasi buio. E va bene: occorre farsi coraggio e scendere. Silenzio! Deve arrivare al primo piano e passare accanto alla cucina senza farsi accorgere, che papà sta spadellando ai fornelli (che pizza, i soliti spaghetti col parmigiano!) e scivolare lesta di sotto.
Papà l’avrà messa in garage? No, in garage non c’è. Allora? Qui le cose si complicano. Potrebbe stare solo nei poderi. Ma sono molto estesi, come fare per scovarla? E poi ancora pochi minuti e papà sale in soffitta. Qua bisogna fare un blitz fuori, dai dai! Ops! Un capitombolo da circo e si ritrova a faccia in giù. Dove ha inciampato? Si volta: è incappata in un bloccone duro, di oltre un metro per quasi due.
Oddio: è Lei! Come raggiunta da un ordine (prendono calci in genere per questo) la vacca si premura di alzarsi dal materasso.
Quelle corna, quel corpaccione immenso, oh no! Mi schiaccia! Ora si vendica, aiuto!, pensa Sucre. Invece la bovina non si muove. Sta ritta sulle quattro zampe e l’osserva, coi suoi occhi marroni, così scuri e pieni che solo il cioccolato può tanta dolcezza. Poi storce il muso. E l’annusa.
L’annusa? Eh sì, perché le narici sono dilatate. I due musi sono vicini. Sucre respira quell’onda calda e colma d’odori salmastri, speziati, socchiudendo le palpebre. Che profumo buonissimo…
E può vedere quanto è bella questa capocciona dai capelli rasati e pettinati tutti in ordine. Mmmh, le viene una gran voglia: «E io… t’accarezzo!», ma la sfiora solo, la lambisce.
Gli sguardi s’incontrano. Gli occhi sono gli uni dentro gli altri. Dura quanto? Dura tanto. Fino a che quell’immensa bambagia fa la mossa di riadagiarsi pacifica, con massiccio aplomb, sul suo giaciglio. “Batuffola” la chiameranno, a conferma del fatto che si può essere soavi anche pesando 700 chili.
Sucre si appressa soffice come una lumachina e senza più alcun timore si accuccia nel suo grembo. Appoggia la testa sulla corta pelliccia e sente subito tanto calore.
«Mamma, tu sei come una mamma…». E con questa certezza s’addormenta.