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Gli italiani in Grecia nella seconda Guerra Mondiale (2)

di Fabio Lambertucci

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per la prima parte, leggi qui

La Grecia rimossa ci costringe a riflettere.
Come dice nel film – “La sporca guerra di Mussolini” (2008), diretto da Giovanni Donfrancesco (cfr. nella prima parte)- lo storico tedesco Lutz Klinkhammer (1960), il massimo studioso di atrocità tedesche in Italia, “la leggenda del bravo italiano non è completamente inventata”. Quel che è inventato è che tale immagine fosse l’aspetto dominante nell’occupazione di quei territori”.
I generali Carlo Geloso (1879-1957) e Benelli altro non fecero che applicare le linee guida del generale Mario Roatta (1887-1968) in Jugoslavia che teorizzò la strategia “testa per dente”.

Klinkhammer dichiara che le fucilazioni italiane in Slovenia nella provincia di Lubiana ebbero le stesse dimensioni delle fucilazioni tedesche in Alta Italia dopo l’8 settembre. Oltre 100mila slavi transitarono per i campi di concentramento italiani in Jugoslavia. Nell’isola di Rab, di cui il film mostra cadaveri scheletrici, morì il 20 per cento dei prigionieri.
Klinkhammer usa per l’esercito di Mussolini, ricordando crimini in Etiopia e Cirenaica con l’impiego di gas contro i civili, il termine “programma di eliminazione”. E se dopo il 1945 i generali Pietro Badoglio (1871-1956) e Rodolfo Graziani (1882-1955) furono i primi due criminali di guerra elencati dalle autorità etiopi, per la Grecia e i Balcani furono sollevate analoghe richieste per i generali Roatta, Vittorio Ambrosio (1879-1958), Mario Robotti (1882-1955) e Gastone Gambara (1890-1962).

“A Londra la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ricevette una lista con più di 1.500 segnalazioni di crimini di guerra italiani.
Perché tutto andò insabbiato? Ecco un’altra rimozione nazionale. Nel 1946 era cambiato tutto: l’Europa spaccata in due tra Alleati e blocco sovietico. L’Italia di Alcide De Gasperi (1881-1954) rientrava nella strategia di compattamento occidentale contro Stalin.
Il nostro governo rifiutò la consegna dei responsabili di atrocità alla Grecia. Mentre De Gasperi istituiva una commissione d’inchiesta chiedeva a Washington di temporeggiare. Stessa richiesta da Lord Halifax (1881-1959, dal 1941 al 1946 ambasciatore britannico negli Stati Uniti) per il governo britannico, pur vicino alla Grecia, dove infuriava la guerra civile tra monarchici e comunisti. In breve l’Italia rinunciò a chiedere l’estradizione e processo per i criminali nazisti (ricordate ‘l’armadio della vergogna’), la Grecia fece lo stesso con l’Italia. La Guerra fredda fu la pietra tombale sulle richieste di giustizia.

Domenikon è oggi un paesino circondato dalla macchia, da ginepri, cardi e rosmarini. I tramonti lo tingono di rosa come nel 1943. I patrioti come Stathis Psomiadis hanno cercato di sollevare il velo dell’oblio e questo documentario è un tributo agli innocenti. La realtà però è amara. Domenikon, riconosciuta città martire nel 1998, non è diventata memoria collettiva, come da noi Marzabotto. Molti greci non conoscono queste vicende. Perché già nel 1948 con la rinuncia del governo a chiedere l’estradizione dei criminali italiani la questione si chiuse. I processi non furono mai istruiti. Anni dopo anche il Tribunale di Larisa archiviò il caso. E di Domenikon resta la memoria di pochi, gente semplice, “poco mediatica”, come si dice oggi. E un tramonto rosa malinconico. sopra il villaggio, sopra la giustizia e la storia”.

Nel novembre 2012 la rivista divulgativa Focus Storia (Mondadori) uscì con un numero dedicato all’invasione italiana della Grecia intitolato “Noi che c’eravamo” (2). La redattrice Giuliana Rotondi intervistò lo storico Luca Baldissara, dell’Università di Pisa, sulla rimozione italiana di quella guerra e della feroce occupazione. L’intervista venne intitolata “Scomoda realtà”:

Un’immagine simbolo della guerra di Grecia di Mussolini (Cfr. in note)

“Meno epica delle campagne d’Africa e di Russia. Inefficace come gran parte delle iniziative militari di Mussolini. Iniziata per dimostrare di avere un ruolo nello scacchiere internazionale e portata a termine solo dopo l’intervento dei tedeschi, grazie ai quali il duce poté “brillare” (poco e di luce riflessa). La Campagna di Grecia è stata questo e molto altro: un esercito mandato allo sbaraglio senza armi né strategie adeguate, che durante l’occupazione non si sottrasse a deportazioni, rappresaglie e violenze. Salvo poi, a guerra finita, dimenticare il tutto. Al punto che oggi la campagna è pressoché sconosciuta.
Ma perché questa rimozione? E quali interessi hanno permesso di insabbiare la giustizia che nelle fasi postbelliche provò a mettere alla sbarra i quasi 200 criminali di guerra italiani, senza successo? Ne abbiamo parlato con lo storico Luca Baldissara, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa”.

Cominciamo dalla fine: perché la Campagna di Grecia, iniziata con il consenso degli italiani, fu poi rimossa con tanta facilità nel Dopoguerra?
“In realtà tutta la Resistenza è stata la foglia di fico con cui gli italiani hanno rimosso le loro responsabilità nel conflitto. La nostra repubblica è nata dalla rimozione di memorie scomode, non da un’elaborazione comune dei crimini commessi durante il fascismo.
Nel caso greco però si devono precisare alcuni punti: quando l’Italia entrò in guerra, l’esercito era già stato impiegato in Etiopia (1935), in Spagna (1936) e in Albania (1939). La stanchezza aveva fiaccato il morale delle truppe, facendo emergere le lacune strategiche e belliche del nostro apparato militare. La Campagna di Grecia inoltre fu accolta con ambivalenza anche dalla popolazione: da un lato sognavamo di avere un orizzonte strategico, autonomo dalla Germania. Dall’altro, capivamo di non essere all’altezza dei nostri alleati. Alla fine, durante l’occupazione, approfittammo furbescamente della situazione, sfruttando i vantaggi politici che l’alleanza ci garantì. Non si capirebbero le cause della rimozione senza tener conto di questi aspetti”. 

Ciò spiega perché la campagna ebbe una memorialistica scarsa?
“Sì, abbiamo meno testimonianze dirette rispetto ad altre fasi belliche. Nulla di paragonabile per esempio alla Campagna di Russia (1941-1943). Lì fummo sconfitti in modo epico. Idem in Libia: anche gli avversari inglesi ci riconobbero atti di eroismo. La sconfitta greca invece fu desolante: per questo non la tramandammo”.

Però, sulle prime, la sconfitta non fece diminuire il dissenso…
“Gli italiani avevano compreso l’inadeguatezza del nostro esercito, ma fino al 1942 sostennero Mussolini, sperando in vantaggi per l’Italia derivati dalle vittorie dell’alleato tedesco. Chi invece già allora si staccò dal regime furono gli operai e parti significative della borghesia intellettuale”.

Poi venne l’occupazione, con i crimini di guerra. Nessuno ne seppe nulla?
“La popolazione non era informata come oggi: credeva alle informazioni della propaganda. Nel 1948 una commissione delle Nazioni Unite fece i nomi di quasi 200 italiani responsabili di crimini di guerra commessi lì dal 1941 all’8 settembre 1943. C’erano nomi grossi, come quello di Carlo Geloso, comandante dell’11^ Armata, e di altri alti ufficiali. E in più, circolari che autorizzavano rappresaglie come quella di Domenikon e testimonianze di campi di internamento e di misure per ridurre i generi alimentari, che innescarono carestie e fecero morire di fame molti greci”.

Ma nessun criminale fu giustiziato…
Uno solo venne condannato ad Atene nel Dopoguerra (ma poi graziato): la ragione è da ricercare nei nuovi equilibri internazionali della Guerra fredda. La Grecia era appena uscita dal conflitto civile (1946-49) e aveva bisogno del sostegno economico e diplomatico dell’Italia. Con un tacito accordo si decise di insabbiare ogni crimine per evitare che Atene finisse nella sfera di influenza dell’Urss”.

I Greci oggi sembrano avere più rancore verso i tedeschi che verso di noi. Chiedono persino che siano conteggiati i danni prodotti dall’occupazione nazista: sono solo strumentalizzazioni?
“Indubbiamente. I popoli del Mediterraneo oggi ritengono solo la Germania responsabile delle misure di austerity che stanno mettendo a dura prova i loro Paesi. C’è però da dire che molti nostri soldati in Grecia, dopo l’8 settembre 1943, scelsero di partecipare alla Resistenza greca. In migliaia, sempre dopo l’Armistizio, subirono ritorsioni per mano dei tedeschi come a Cefalonia. Infine, il nostro esercito rispetto a quello della Wehrmacht fu più contraddittorio: commise sì crimini e violenze, ma ci furono anche tanti casi di fraternizzazione. La ragione è che i nostri soldati furono sempre meno motivati di quelli tedeschi, in alcuni casi quindi meno duri”.

Così infine scoprii come si era veramente svolta la storia dell’occupazione italiana della Grecia. Per chi, però, ne volesse sapere molto di più consiglio vivamente il saggio delle storiche Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti: Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani. 1940-45, edito da “il Mulino” di Bologna.

Unimmagine-simbolo-della-campagna-di-Grecia-Mussolini-spinge-la-sua-macchina-rimasta-impantanata-nel-fango.-1941Un’immagine-simbolo della campagna di Grecia. Mussolini spinge la sua macchina rimasta impantanata nel fango (1941)

Nota
Su Focus Storia (Mondadori Scienza) n° 165 del luglio 2020 è stata pubblicata nella rubrica “La pagina dei lettori” questa mia nota con allegata una foto eccezionale raffigurante il dittatore Benito Mussolini mentre spinge la sua auto in avaria durante un’ispezione al fronte greco-albanese nel marzo 1941.

[Gli italiani in Grecia nella seconda Guerra Mondiale (2) – Fine]

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