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Coltivare la conoscenza

di Enzo Di Fazio

 

E’ un po’ di tempo che si parla di Santo Stefano e di Ventotene con argomenti che riguardano il recupero e la valorizzazione di entrambe le isole come luoghi della memoria, per quello che sono state negli anni in cui hanno ospitato i confinati politici e per quello che rappresentano oggi come luoghi simbolo per l’idea di un’Europa unita nata dal Manifesto di Ventotene.

[1]Targa commemorativa dedicata agli ideatori del Manifesto di Ventotene

Queste notizie mi hanno istintivamente riportato alla mente alcune cose scritte da Tonino Impagliazzo e pubblicate sul sito, qualche tempo fa, in occasione del ricordo di Beniamino Verde a vent’anni dalla sua tragica scomparsa.
Nell’ultimo pezzo (leggi qui [2]), c’è un passaggio in cui si racconta di Beniamino contadino che aveva imparato ad amare la sua terra dal padre Silvestro che aveva aiutato, da giovane, nella coltivazione dei campi.
Con una punta d’orgoglio Tonino, nell’occasione, mi parlò del  contratto con cui alcuni terreni, di proprietà di Silvestro, vennero dati  in fitto nel 1942  ai confinati che in quegli anni si trovavano sull’isola e tra cui c’era anche Altiero Spinelli.

Sono venuto in possesso in questi giorni della copia di quel documento ed è interessante la sua lettura.

Il contratto, sottoscritto il 31 luglio del 1942 (XX anno dell’era fascista) tra Silvestro Verde da una parte e i coloni affittuari dall’altra,  reca tra le firme anche quella prestigiosa di Giuseppe Di Vittorio (1892-1957),  il combattivo  sindacalista segretario della CGIL dal 1945,  deputato eletto nel 1946 all’Assemblea costituente con il PCI, confinato pure lui in quegli anni per essere avverso al regime fascista.

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Giuseppe Di Vittorio ad una manifestazione della CGIL

Il contratto venne firmato per la durata di tre anni al canone di 3000 lire annue.
Il terreno era destinato a produrre lenticchie, piselli, fave e patate di cui Silvestro fornì al momento della stipula una prima dotazione per la semina. Il fondo aveva anche un vigneto ed una stalla con due mucche il cui latte prodotto veniva spartito a metà tra gli affittuari e Silvestro.
Tutti i particolari del contratto si possono leggere, anche se con un po’ di difficoltà, ingrandendo le immagini qui sotto riportate

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(cliccare sulle immagini per ingrandire)

Questa bella pagina di storia porta a fare delle considerazioni.
Coltivare la terra per ricavarne i frutti di cui nutrirsi è una delle più antiche pratiche di questo mondo. I monaci benedettini l’associavano alla preghiera e alla cura dell’anima, cioè ad una pratica che impegnava la mente e lo spirito.
E’ una di quelle attività essenziali per il sostentamento della vita che ha sempre nobilitato l’uomo.
Coltivare è un bellissimo verbo, porta con sé un concetto dinamico facendo pensare ad un risultato che può essere il frutto della terra ma anche la cura del sapere se lo associamo alla conoscenza, necessaria per il contadino quanto per lo scienziato.

Gli anni in cui i confinati vivevano su Ventotene erano anni di guerra e di fame. Siamo nel 1942.

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Gruppo di confinati politici

E attraverso la coltivazione di quel terreno Altiero Spinelli ed i federalisti si procurano di che nutrirsi mentre cresce, quasi in simbiosi con i prodotti della terra, il progetto del Manifesto. Non c’è esempio più efficace di come la cura della terra si abbini alla cura della mente e di come ogni frutto, ogni risultato abbia bisogno di dedizione, sforzo e tempo.
Così i confinati di Ventotene, alla stregua dei monaci, andavano in biblioteca finita la giornata di lavoro.

Perché mi è piaciuto riportare questa notizia? Al di là del valore documentale, perché la storia insegna sempre qualcosa ed oggi, più che mai, è il caso di fare tesoro di ciò che ci tramanda.
La conoscenza è sacrificio e, in un’era caratterizzata dal perseguimento del profitto a breve termine, ha perso sempre più significato un proverbio come “chi semina raccoglie”.

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L’Angelus di Jean-Francois Millet
(olio su tela conservato nel Museo d’Orsay di Parigi)

In un’epoca fatta di semplificazioni, slogan, scorciatoie, alienazione del proprio pensiero, della delega data per ignoranza, viene messo da parte l’approfondimento e in mancanza di conoscenze l’uomo pensante diventa soggetto passivo mettendo inconsapevolmente a rischio anche la validità dei propri diritti.
Lo vediamo, ad esempio, attraverso tutto quello che accade e si dice oggi in merito all’inesistenza del Covid-19 o alla sua costruzione in laboratorio o, addirittura, all’inutilità del vaccino.
Coltivare la terra, come coltivare il proprio sapere, è pratica dura e richiede sacrificio, costanza e tempo. Ma è impegno da cui non possiamo prescindere se vogliamo salvare il futuro della terra e, di conseguenza, l’umanità.
E non dimentichiamo mai che “il sapere rende anche liberi” come amava dire Socrate, tra i primi esseri umani a valorizzare il sapere.